Emilio Salgari - Jolanda, la figlia del Corsaro Nero

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Jolanda, la figlia del Corsaro Nero: краткое содержание, описание и аннотация

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Uno aveva l’aspetto d’un gentiluomo e indossava anche l’elegante costume dei ricchi spagnoli, l’altro sembrava un soldato, avendo indosso la corazza ed in testa un mezzo elmetto d’acciaio con una piuma.

«Non sono che due» disse Carmaux sottovoce, volgendosi verso l’amburghese.

«È aperta la porta?»

«Mi sembra».

«Spingi ed entriamo. E le torce?»

«La stanza è illuminata e non ne avremo bisogno».

«Avanti dunque».

Carmaux spinse violentemente la porta, che non doveva essere stata assicurata internamente e s’inoltrò colla spada in pugno, dicendo con voce un po’ ironica: «Buona sera, signori!…»

Capitolo ottavo. Un duello terribile

I due giuocatori, vedendo entrare quei tre personaggi, di cui due armati di spada e d’archibugio, balzarono rapidamente in piedi, allontanando le sedie.

Colui che pareva un gentiluomo, era di statura piuttosto alta, magro come un biscaglino, colle gambe e le braccia estremamente lunghe e poteva avere una quarantina d’anni.

Il suo volto, dai lineamenti duri, angolosi, con due occhi grigi dal lampo vivido, non era affatto piacevole.

L’altro, che doveva essere un soldato, era invece piuttosto tozzo, basso di statura ed abbronzato come un indiano o per lo meno come un meticcio.

Aveva gli occhi nerissimi invece ed i lineamenti assai meno duri del compagno, quantunque avesse nell’insieme qualche cosa che ricordava il muso astuto e feroce del coguaro.

«Chi è di voi che si chiama il capitano Valera?» chiese Carmaux sempre ironico, scoprendosi con finta cortesia il capo.

«Sono io» rispose l’uomo magro squadrandolo dal capo alle piante. «E voi chi siete?»

«Vi preme saperlo?»

«Certo, prima di cacciarvi di qui a calci».

«Ah!… È una cosa un po’ difficile, mio signore» disse il filibustiere ridendo. «Ho dunque l’onore di dirvi che noi siamo due corsari agli ordini del capitano Morgan».

Una bestemmia era sfuggita dalle labbra dello spagnolo.

«Chi vi ha guidati qui?»

Carmaux aveva gettato un rapido sguardo verso la porta e non vide che l’amburghese. Il prudente don Raffaele non aveva osato comparire dinanzi al capitano, che probabilmente lo conosceva.

«Siamo venuti di nostra iniziativa» disse, ritenendo inutile compromettere il piantatore.

«E che cosa volete?»

«Null’altro che la restituzione della signora di Ventimiglia, che il conte di Medina vi ha affidata».

«Chi ve lo disse?» gridò il capitano, sfoderando rapidamente la spada.

«Adagio colle armi» disse Carmaux, facendo due passi innanzi, mentre l’amburghese alzava l’archibugio.

«Ci minacciate?»

«Siamo gente di guerra, mio caro signore. Basta! Abbiamo chiacchierato abbastanza e non abbiamo tempo da perdere. Consegnateci la figlia del Corsaro Nero».

«Alcazar, a me!» urlò il capitano. «Cacciamo questi gaglioffi».

Il soldato era già balzato innanzi snudando la spada, e con un urto improvviso aveva rovesciata la tavola, gettando a terra il candeliere.

Wan Stiller aveva fatto fuoco sul capitano, ma in causa dell’improvvisa oscurità aveva mancato il colpo.

«Mano alla spada, compare!» urlò Carmaux. «Ci piombano addosso.

«Don Raffaele, accendete una torcia!»

Nessuno rispose.

«Tuoni d’Amburgo!» gridò Wan Stiller, indietreggiando verso la porta, e menando colpi all’impazzata per impedire ai due spagnoli di accostarsi. «Il piantatore è scappato come una lepre!…»

«Tieni testa tu per qualche minuto?»

«Sì, compare».

Carmaux, indietreggiando, aveva ritrovata la porta. Avendo lasciate le due torce nel corridoio, appoggiate alla parete, s’avanzò a tentoni per ritrovarle ed accenderle, avendo con sé l’acciarino e l’esca.

L’amburghese, che non correva più il pericolo di venire colpito dal compagno, tirava stoccate in tutte le direzioni e si copriva con mulinelli fulminei, urlando a squarciagola.

«Avanti, se l’osate!… Prendete questa, capitano!… A te, soldataccio, che tremi come un coniglio!… Tuoni d’Amburgo!… Vi faccio in cinquemila pezzi!…»

I due spagnoli, trincerati dietro la tavola, tiravano anch’essi colpi all’impazzata, per tener lontani gli avversari, e non facevano meno fracasso gridando:

«Ladri!…»

«Assassini!…»

«Fuori di qui, bricconi!…»

«Volete la figlia del Corsaro? Eccola colla punta d’acciaio».

Mentre i tre uomini battagliavano contro le tenebre, senza osare fare un passo innanzi, Carmaux trovò finalmente le torce, ma non il piantatore, il quale aveva approfittato per darsela a gambe. Carmaux ne accese una.

«Vedremo ora come se la caveranno» disse.

Spalancò la porta e si precipitò nella sala sotterranea, urlando:

«Giù le armi o vi uccidiamo!»

Invece di abbassare le spade, i due spagnoli si posero in guardia, gridando:

«Avanzatevi, se l’osate!»

Carmaux piantò la torcia in una fessura del pavimento, e si fece innanzi, dicendo:

«A te il soldato, a me il capitano».

«Sì» rispose l’amburghese.

Prima però d’incrociare la lama, Carmaux fece un ultimo tentativo.

«Siamo allievi del Corsaro Nero, che fu il più formidabile spadaccino della Tortue» disse. «Noi vi uccidiamo, questo è certo. Volete arrendervi e consegnarci la signora di Ventimiglia?»

«Il capitano Valera non si arrende ad un mascalzone pari tuo» rispose lo spagnolo. «Vedrai come ti scucirò il ventre».

«Tuoni dell’aria!… A noi due!…»

Carmaux con un salto si era gettato verso la tavola, dietro la quale si tenevano i due spagnoli ed aveva incrociata la spada col capitano.

Wan Stiller, dal canto suo aveva girato l’ostacolo, piombando addosso al soldato, il quale era stato costretto a lasciare il riparo per non farsi prendere alle spalle.

I quattro duellanti mostravano di conoscere a fondo tutte le sottigliezze della scherma e di essere spadaccini di vaglia.

I due corsari però, avendo fatte le loro prime armi sotto il Corsaro Nero, che fu il più famoso schermitore del suo tempo, fino dai primi colpi avevano gettato un po’ di timore negli animi dei due spagnoli, i quali si erano illusi di sbrigare presto la partita, non essendo generalmente i filibustieri che dei bravi tiratori d’archibugio.

Carmaux incalzava furiosamente il capitano, senza concedergli un istante di tregua. L’aveva costretto a lasciare il riparo ed a rompere tre o quattro volte, ed ora combattevano presso un angolo della sala.

Wan Stiller tempestava il soldato di botte. Già due volte l’aveva toccato, ma avendo lo spagnolo il petto coperto dalla corazza, non ne aveva avuto alcun danno.

Si capiva però che il suo avversario, assai meno destro del capitano, non poteva durarla a lungo e si vedeva che si esauriva rapidamente vibrando stoccate inutili.

«Ti arrendi?» chiese ad un certo momento l’amburghese, accorgendosi che non parava più colla rapidità di prima.

«Mai» rispose il soldato. «I Bardabo muoiono, ma non si arrendono».

«Non vedi che sto per ucciderti, e che non ne puoi più?»

«Allora prendi questa!»

Il soldato che si trovava quasi addosso al muro, con uno scatto improvviso si era gettato sull’amburghese e, mentre gl’impegnava la spada guardia contro guardia, aveva allungata una gamba, tentando di dargli uno sgambetto e di farlo cadere.

«Ah!… Traditore!…» urlò l’amburghese. «Non è leale ciò. Muori dunque!…»

Si gettò bruscamente da una parte per disimpegnare meglio la lama, poi andò a fondo, spingendo il ferro con velocità fulminea.

La punta, entrata sotto l’ascella destra del soldato, che la corazza non difendeva, era scomparsa nel corpo del disgraziato.

«Toccato» brontolò lo spagnolo, con voce semi-spenta.

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