Francesco Domenico - La battaglia di Benvenuto
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Noi non istaremo a narrare come adoperasse Innocenzio la sua qualità di padre del pupillo Federigo, per togliergli gran parte dei feudi donati da Enrico VII ai suoi cavalieri, protestando esser parte delle donazioni di Carlomagno, e della Contessa Matelda: non come dopo una rotta di Marcovaldo tedesco, che pretendeva sottomettere la Sicilia, supponesse un testamento di Enrico VII, nel quale, tra le altre disposizioni, si ordinava al figlio Federigo riconoscesse il Reame della Chiesa, ed alla Chiesa, lui morto senza figli, ricadesse; non come, incapace a difendere il Regno dai Tedeschi, chiamasse con poca prudenza Gualtieri di Brienna, marito di Albinia, figlia di Tancredi liberata dalla prigione di Enrico, il quale avrebbe certamente spogliato del Regno il giovanetto Federigo, se per irrimediabile piaga, ricevuta in un fatto d’arme sotto Samo contro il Conte Diopoldo, non avesse perduto la vita; nè pure narreremo come Filippo, zio di Federigo, invece di sostenere le parti del nipote in Germania, se ne facesse incoronare Imperatore a Magonza, mentre un altro partito coronava Ottone, Duca di Aquitania, in Aquisgrana; non come Filippo, aiutato da Filippo Re di Francia, fugasse Ottone da Colonia, sovvenuto da Riccardo Re d›Inghilterra, e come indi a poco assassinato dal Signore di Witellaspach, al quale tradiva la promessa di dargli in moglie sua figlia, lasciasse Ottone pacifico possessore dell›Impero: solo racconteremo, che il Papa, di cui continuo disegno era impedire la riunione del Regno di Napoli agli Stati degl›Imperatori Germanici, consentì, in danno di Federigo, col trattato di Spira, coronare Ottone in Roma. Scendeva questi per la valle di Trento in Italia, assumeva la corona reale a Milano, la imperiale a Roma; ma giunto al sommo della sua dignità, scoprendosi avverso al Pontefice, negò cedere il patrimonio della Contessa Matelda, e si volse alla conquista della Sicilia. Innocenzio, non avendo armi, adoperò le scomuniche; e tanto erano tali mezzi potenti a quei tempi, che gli Arcivescovi di Magonza, di Treveri e Turingia, il Re di Boemia, il Duca di Baviera, con molti altri Baroni dell›Impero, di súbito ribellatisi, strinsero lega con Filippo Augusto contro Ottone, e riuniti a Bamberga lo dichiararono decaduto dall›Impero, e Federigo in suo luogo surrogarono. Ottone, abbandonato ogni disegno in Italia, torna velocissimo in Lamagna. Veramente Innocenzio non avrebbe voluto che Federigo si mescolasse nelle cose dell›Impero, ma adesso non gli si presentava persona migliore per opporla ad Ottone, e nelle cose di questo mondo bene spesso non si fa come si vuole, ma come si può: certo è poi che questo fu caso unico di vedere i Ghibellini prendere le parti della Chiesa, e muoverle contro i Guelfi.
Intanto Federigo lasciato Napoli si porta a Genova, poi ad Aquisgrana, dove Re dei Romani lo confermarono. In questa, Ottone muovendo contro Filippo Augusto di Francia pervenne al ponte di Bouvine, tra Lilla e Tournay, dove il 27 luglio 1214 toccò la memorabile rotta, per la quale disperando di più risorgere si ritirò al castello di Harburgo a piangere le sue colpe, e logorare tra le penitenze la vita. Innocenzio percosso da gravissima malattia si moriva: fu egli uomo di molta dottrina, delle cose legali intendentissimo profondo, cupido di regno. Il suo Pontificato va famoso pel fondamento che dette alla Inquisizione; imperciocchè sebbene il Tribunale del Santo Officio, propriamente detto, cominci sotto Innocenzio IV, pure fu Innocenzio III, che commise a San Domenico di Guzmano predicasse contro gli Albigesi, e con ogni sforzo s›ingegnasse a distruggerli.
Erano gli Albigesi una setta di Manichei fuggiti dall›Asia per le persecuzioni degl›Imperatori Greci, e ricovrati in Linguadoca presso il Conte Raimondo di Tolosa: si chiamarono anche con diversa denominazione Paterini, da Puti (soffrire), per distinguersi dai Martiri della Chiesa cattolica. Consisteva la eresia loro nel credere la esistenza di due principii, l’uno buono, l’altro tristo. Attribuivano al primo il Testamento Nuovo, al secondo il Vecchio: negavano la discesa corporale del Salvatore su la terra; credevano gli uomini angioli decaduti, che dovevano tornare un giorno alla gloria antica; rigettavano le indulgenze, il purgatorio, e i miracoli, non meno che la transustanzazione , il culto della Vergine, la dannazione dei fanciulli morti senza battesimo. San Domenico, per consiglio del Pontefice, recatosi nella Gallia Narbonese, suscitò contro essi una Crociata, concedendo quelle medesime indulgenze, che solevano darsi a coloro i quali passavano a combattere in Terra Santa.
Ora San Domenico, sovvenuto dal Conte Simone da Monforte, scorre i contadi di Tolosa, Albi, Carcassona ed incendia Beziers; finalmente, seguendo il suo cammino, cade in potere degli Albigesi, i quali gli domandano se tema la morte: «Io temere la morte!» rispondeva il Santo «io temere la morte per la fede, per la gloria di Cristo, e della Santa Chiesa romana? Non mi uccidete a un tratto, vi prego, ma a poco a poco mutilate ciascheduno dei miei membri, e mostrateli ai miei occhi; poi strappate anche questi, e lasciate così il mio corpo, in mille parti piagato, rotolarsi dentro il suo sangue, finchè giunga il punto della morte.» Gli Albigesi lo lasciarono in libertà.
Innocenzio non potè mai ottenere da Federigo, che decretasse la pena di morte contro questi, ed altri eretici, siccome Arnaldisti, Gazari etc. – Onorio III suo successore valse però ad ottenerla, come si rileva dalla costituzione Hac edictali conservata nel Codice Giustinianeo. A noi duole non potere più a lungo seguitare la storia degli Albigesi, chè il nostro soggetto ci preme; onde null’altro possiamo fare di meglio che rimandare il lettore all’opera che l’irlandese Mathurin con tanta forza d’immaginazione ha composto intorno le loro vicende.
Onorio III, conformandosi in tutto alla politica d’Innocenzio, esitava a concedere la corona Imperiale a Federigo; nondimeno costretto poneva per condizioni, che il Regno delle Sicilie al suo figliuolo Enrico cedesse, la Contea di Fondi alla Chiesa restituisse, egli a militare in Palestina trapassasse. Federigo prometteva tutto, perchè a promettere non iscapitava nulla; ma ricevuta la corona imperiale, se ne andò in Puglia: dove, vinti i Conti di Aquila, di Caserta, Tricarico, e Sanseverino, acquietò il Regno, vi promosse le arti e le lettere, instituì Università; e molte altre cose così per la pace, come per la guerra lodevoli, condusse a buon fine. Il Papa, che non voleva venire ad un’aperta rottura con Federigo, e d’altronde lo temeva vicino, si avvisò, per mandarlo in Palestina, di dargli in isposa Yole figlia di Giovanni di Brienna erede del Regno di Gerusalemme. Lo Imperatore, che poco tempo innanzi aveva perduta la prima moglie Gostanza di Arragona, tolse ben volentieri Yole, che fanciulla leggiadrissima era; ed apprestata una flotta s’incamminò col Langravio di Turingia alla conquista di Gerusalemme l’otto settembre 1227. – Qualunque però ne fosse la causa, di lì a pochi giorni vôlte le prue, tornasi in Calabria, prorogando la impresa all’anno venturo.
Era morto il prudente Onorio, ed in suo luogo sedeva Gregorio IX dei Conti di Signa, siccome Innocenzio III, il quale forte sdegnato del ritorno di Federigo, senza nè pure citarlo, lo scomunicò nel settembre di quell’anno medesimo 1227. Federigo per niente sbigottito appella da questa sentenza al Concilio, ordina continuarsi nei suoi Stati gli uffici divini, lascia al governo del Regno il suo suocero Giovanni di Brienna, e si reca a Tolemaide. Quinci mandava Legati al Papa, affinchè si placasse; questi rispose, instigando il Brienna a ribellargli il Regno. Federigo, fatta pace col Soldano, torna in Italia, vince il Brienna e il suo esercito, distinto col nome di chiavesignato da quello di Federigo, che si chiamava crocesignato . Il Papa è costretto a ricomunicarlo.
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