Francesco Domenico - Lo assedio di Roma

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Questo è lo stato nostro restando le cose come si trovano; caso mai rompesse la guerra a cui ricorre il Ministro per provvedere i danari? – Il Ministro quando sentirà il governo potrebbe convertirglisi in croce da trovarcisi un bel dì confitto sopra lo butterà in terra; ovvero nicchierà come donna partoriente: «su, amici, su, votatevi le tasche, che, me auspice, vi colmaste fino all’orlo, su....» Vedremo allora: alla svolta ti provo. Però se dal passato è concesso argomentare il futuro hassi a credere, che la parte Moderata continuerà l’esempio dei ranocchi i quali stando pure col muso fuori dall’acqua del padule si tuffano sotto al primo stormire della procella per ricondursi al consueto gracidìo tosto che torni l’aura serena e la dolce stagione. – Allora e’ converrà, che taluno si voti alla salute della Patria. Lo assista Dio secondo i meriti suoi, e le benedizioni le quali, fino da oggi, noi gli mandiamo dal cuore: dove (e a pur pensarlo ci tronca lo affanno) fosse nei fati, che ogni sforzo abbia a riuscire invano a lui, e a noi desideriamo la morte; – perchè è amaro, oh! è amaro dopo tanto alito di speranza lasciare scritto per epitaffio da apporsi sopra la tomba: cercando Patria e Libertà sono morto «schiavo.»

Intanto pongo per debito qui le parole del deputato Saracco uomo temperatissimo, e non avverso al Ministero: «avete voi pensato, che per entrare in lizza liberamente non a rimorchio di estranea potenza, e sostenere l’urto di tanti nemici i quali ci disputeranno questo sacro suolo d’Italia ci vuole danaro, e molto danaro? Eppure, ch’io mi sappia, danaro noi non abbiamo, all’opposto siamo scoperti di oltre 500 milioni, però che sarebbe chimera grande immaginare alla vigilia della guerra la possibilità di vendere beni demaniali, e mettere in circolazione Buoni del Tesoro. – Al primo rumore di guerra i forzieri si aprono di preferenza alle grandi potenze le quali in simili casi ricorrono al pubblico credito. – In così grave condizione di cose non si farebbe atto di accorgimento pratico pigliare fino da oggi le provvidenze opportune onde il giorno della prova non si converta in giorno di sventura per la Patria?»

Dal discorso del Ministro, in aumento di ciò che sono venuto a mano a mano allegando, si cavano lo seguenti proposizioni.

Al primo di Decembre egli possedeva in cassa quattordici milioni, resto dei 500 già scontati, e 200 da scontare, i quali non pativano riduzione come dubitava il Polsinelli bensì erano effettivi; con questi si riprometteva sopperire in parte allo sbilancio del 1864: ora tu che hai senno mira svarione: possono elleno sostenersi effettive le cedole della rendita da vendere? Sta a lui fissarne fino da ora il prezzo venale? Col caro del danaro, ed i rumori di guerra sa egli, sappiamo noi di quanto rinviliranno? I diari ci affermano per sicuro l’alienazione di 75 milioni di questa rendita al Vicario di Mammone su questa terra al saggio del 71 per cento, che atteso la imminente riscossione del 2 e mezzo d’interesse fa 68 e mezzo; nè ferma lì, che io vorrei vedere tra ceralacca, e spago quanto ci si debba aggiungere. Ciò è male, e questo altro è peggio: se aliena 75 dei 200 milioni nel 1863 si ha da credere, che il prodotto si serbi per le occorrenze del 1864, o non piuttosto per pagare gl’interessi del debito pubblico a fine di anno? – Certa volta un banchiere, di quelli che vanno per la maggiore, mi ammoniva così: «quando ella vedrà il Governo creare debiti nuovi per pagare gl’interessi del debito vecchio la non si stia a confondere, e si tiri addirittura da parte; gli è il segno dei topi, che lasciano la casa minacciata dalla ruina.» Ora che facciamo noi da molto tempo in qua? Ad ogni modo questo pongasi in sodo, che i 200 milioni non possono bastare al saldo parziale dello sbilancio del 1864. Il Ministro però nega la vendita, e sarà vero, perchè il Rothscild non ne avrà voluto fare la compra, o allora gl’interessi si pagheranno co’ Buoni del Tesoro, e fie pur sempre fermo che gl’interessi si saldano col capitale.

Intorno alla difficoltà di accomodare altri 150 milioni di Buoni del Tesoro in tempi così difficili, per iscarsezza di moneta e per presagi di guerra, il Ministro sta come torre fermo, che non crolla nelle sue virtù teologali (eccetto la carità) di collocarli con vantaggio. Per lui 300 milioni di Buoni del Tesoro, senza riscontro delle rendite da riscotersi in saldo di loro, e’ sono ninnoli di cui non vale il pregio trattenere la brigata.

Il Ministro non ha promesso mai bilanciare le spese straordinarie dentro i quattro anni, che per queste la Italia dovrà masticare fave per un pezzo; ma in ogni evento la Italia avrà proprio debito a lui, e all’onorevole suo predecessore Sella di averla salvata da fallire ordinariamente; quanto a fallire straordinariamente è un’altro paio di maniche: di questo egli se ne lava le mani nel 1867, e sempre.

Il Ministro non vede perchè abbia a rimanere inefficace la tassa sopra la rendita mobile; nè manco la vede al pareggiamento della imposta prediale: queste hanno da operare fino dal primo dì del 1864: quanto a quelle sul consumo delle derrate non può negarsi, bisognerà aspettare; ma non fa nulla, bocca baciata non perde ventura, ma si rinnuova come fa la luna.

Certo, nè anco il Ministro nega che vuolsi renunziare al pareggio delle spese con le rendite ordinarie pel 1867; e ciò che rileva? Se non avverrà pel 67, sarà pel 77; pel 97; per qualche sette sarà; e poi per lui non rimase, che tanto benefizio comparisse, le sue brave leggi ei compose, ed ordinò, e non potersi appuntare lui se il Parlamento non le mise a partito, come nè anco fie sua la colpa caso mai gli Italiani non pagassero i balzelli; colui che tolse ad avvezzare l’Asino a starsi digiuno, quante volte gli levò la biada il suo dovere lo fece, se poi l’Asino in capo a sei giorni volle morire, la colpa è dell’Asino, non dell’Asinaio.

A colmare il vuoto ci si butteranno dentro i beni demaniali; se non bastano questi, dietro a loro i beni delle casse ecclesiastiche della Italia settentrionale, e media; e se si trovassero corti anco gli altri delle province del mezzogiorno. I quattrini si trovano, o Signore! che ci vuole mai a battere moneta? Nulla; portare l’oro e l’argento alla zecca perchè te li conino, operazione semplicissima a cui basta l’ingegno del Ministro, e ce ne avanza.

Leggesi su per le storie, che le Castellane d’Inghilterra, venute meno le provviste, mettevano su la mensa al nobile marito un piatto con dentro un paio di sproni: a questa cena, se la dura così, io temo riserbata la Italia; per me credo, che il signor Minghetti, il quale è uomo di lettere, abbia imparato dalla lettura del Canto del Conte Ugolino a comporre i suoi poemi di Finanza, però che l’ultimo suo meni dirittamente la Italia a mangiarsi le mani per colazione.

In onta a ciò, e al troppo più, che potremmo dire ogni cosa sarà non pure approvata, ma laudata, e levata a cielo, imperciocchè ormai gli avversari nostri non possano più come una volta sostenere che noi divide la opinione del metodo da praticarsi diverso per comporre la Italia: questo per taluno può essere, ma dai più ci separano cause bene altramente profonde. I nostri nemici tacciono, e così adoperando si gloriano savi; se così è sbrancate sette bufali e collocateli dentro le nicchie dirimpetto i sette sapienti della Grecia; essi tacciono perchè loro sta lo ingoffo in gola; se mai favellano borbottano come quelli, che tengono sempre il boccone in bocca: rettile di nuova specie, il Moderato si assidera finchè dura il tempo del ragionamento; quando poi spira l’aura dello errore e della servitù si rizza fischiante, e velenoso a mordere la Libertà, che lo sopporta. Miralo! cieco e incatenato ai suoi compagni contro la Patria, e la Libertà pari a Giovanni di Lussemburgo re di Boemia, il quale privo di vista, è fama, che così facesse insieme alla sua baronìa nella battaglia di Crecy. – Chi non ha le mani pure, vada prima a purificarsi, e torni poi a sagrificare nel tempio, comanda il Vangelo, e noi chiunque tira soldo, e tiene ufficio di governo non apra labbro, se gli cale la fama, nei Parlamenti, e rifugga da parteciparvi, che le intenzioni Dio solo guarda, e l’uomo diritto ha da aborrire ogni sembianza, che sia vile. Prima a costui per la salute della Patria non parve abbastanza appiccare fuoco al Vesuvio, ora con poco spazio di tempo accostato ai geli delle Alpi, anch’essi non reputa sufficientemente ghiacciati: prima il popolo voce e braccio di Dio, adesso polvere soffiata dal Demonio su questa terra; o dove te sacramenti sincero, e immune da ogni vile talento, sarà, ma comincia dallo affermarlo senza il boccone in bocca: sputa i dodicimila franchi; sputa la cattedra; sputa la strada ferrata; sputa la badìa, sputa, e sputa o poi parla. Capitani allo esercito, Professori alle università, Giudici ai tribunali: la sua parte ad ognuno. E gli Avvocati dove? In paradiso a tenere compagnia a Santo Ivone, che ci entrò (dicono) di contrabbando. – Lo dissi e lo ripeto, il popolo ha proprio sete di onestà. – Noi pertanto abbiamo bisogno di Roma sia che dobbiamo ridurci in pace, ovvero rompere in guerra; o procediamo congiunti con la Francia, o ci separiamo da lei; o soli vogliamo combattere le nostre guerre, o in compagnia di Francia combattere le comuni: così durando nè per noi siamo buoni nè per altrui.

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