Anton Barrili - I rossi e i neri, vol. 1
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- Название:I rossi e i neri, vol. 1
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– Non è nulla; – disse Lorenzo, poichè ebbero guardato. – Non è nemmeno una scalfittura. —
Si rimisero in guardia; e qui davvero cominciò il combattimento. Lorenzo incalzava cosiffattamente, che il marchese di Montalto dovette balzare indietro due volte. Ma questi, tornando all'assalto, si avvide che il Salvani si studiava di non cedere d'un passo, e non abbandonava mai il terreno guadagnato. Allora il duello fu continuato di pie fermo, e i padrini dovettero poco dopo intromettersi, che già i due avversarii stavano elsa ad elsa, guardandosi e sorridendo.
Ambedue i padrini ruppero in un grido di ammirazione.
– Bravi! bravi, perdio! – esclamò il conte Nelli, il quale, da buon gentiluomo, non faceva più da padrino, ma da giudice imparziale. – Signori, voi siete due valenti avversarii. Io, con licenza del signor Assereto, vi prego a farla finita, e chi ardirà dire che non vi siete diportati da prodi cavalieri avrà da aggiustarla con noi.
– Signor conte, – disse Lorenzo, voltando a terra la punta della sua spada, – io di buon grado ascolterei i vostri consigli e la vostra preghiera, che tanto onora il vostro carattere. Ma per quanto io senta degno di stima il mio avversario, non posso dimenticare l'asciutta accoglienza che è stata fatta testè alle nostre prime parole, quando siamo venuti, con tanta nostra confusione, ad annunziare il brutto tiro del signor Collini. Non posso dimenticar la frase del signor marchese Aloise di Montalto, nè il suo riso sardonico, nè certe parole che ho dovuto udire, sebbene pronunziate a mezza voce con voi. Ora, io ho molta stima pel marchese Montalto, e non mi farei lecito mai di pensare che egli potesse ritrattare nessuno de' suoi gesti, o nessuna delle sue parole.
– Io vi ringrazio; – disse il Montalto, con molta cortesia di gesto e di accento, – e queste vostre parole m'insegnano a stimarvi di più.
– Sicchè?.. – dimandò il mastro di combattimento.
– Sicchè, mio caro Rovereto, – rispose il Montalto, – noi ci rimetteremo in guardia, con vostra licenza.
– E Dio v'aiuti; – soggiunse il bravo capitano. – Signori a voi! —
Il duello ricominciò. Ma Aloise di Montalto fu questa volta assai più guardingo e fece a studiar molto le parate. Il giovane cominciava a sentire dentro di sè un tal poco di pentimento per certi suoi modi, e da quel leal gentiluomo ch'egli era badò più a schermirsi che a ferire l'avversario.
Ma Lorenzo Salvani non era uomo da accettare simiglianti cortesie, e appena si fu avveduto che il Montalto tirava soltanto a difesa, spiccò un salto indietro, e piegando la spada a terra, parlò in questa guisa:
– Signor marchese, o assalite voi pure, o ch'io mi metterò ad imitarvi, e tireremo innanzi di questo passo fino al dì del giudizio universale.
– Oppure a quello di San Bellino, che casca tre giorni dopo; – soggiunse tra sè il vecchio Michele, che stava dal suo buco a guardare la scena.
– Avete ragione! – esclamò Aloise di Montalto. – Volete vincermi di cortesia, e ne avete il diritto. Ecco dunque, io vi contento. —
E così dicendo, si rifece al primo giuoco. Le spade giravano, s'inseguivano, si legavano e si districavano con una rapidità meravigliosa, senza dar tregua a quell'armonico soffregamento dell'acciaio, che fa ribollire il sangue nelle vene ai più dolci di tempera. Ma ogni bel giuoco dura poco; certe battute di terza e di quarta, che erano il forte del marchese di Montalto, non furono più così aggiustate come prima, e Lorenzo, che se ne avvide, incalzò. Finse una botta al sommo del petto, appoggiandola con una forte spaccata di gambe, e poi, girando il pugno, passò incontanente al fianco. Il Montalto non fu in tempo a respingere l'assalto, e la parata bassa che egli fece, giunse a mala pena a sviare un tratto la lama dell'avversario, la quale, in cambio di andargli al petto, lo colse in quella parte del costato, dove s'incurva verso le spalle.
Lorenzo, fatto il colpo, trasse la spada a sè, rimettendosi in guardia. Ma fu inutile: il Montalto era caduto a terra, e il sangue spicciava dalla ferita.
Allora tutti quanti accorsero per rialzare il caduto, e il dottor Mattei, ottimo giovanotto che faremo conoscer meglio ai nostri lettori quando ci venga a taglio, cortesemente aiutato dal suo collega in Esculapio, si fece a visitar la ferita.
Egli alzò dapprima la camicia, e con una pezzuola inzuppata d'acqua ripulì tutt'intorno alle labbra della ferita; per la qual cosa il Montalto, che nella repentina commozione del fatto era quasi uscito di sensi, si riebbe ed aperse gli occhi, sorridendo agli astanti.
Ma a costoro il sorriso del giovine non poteva bastare. Essi stavano tutti muti, con tanto d'occhi, aspettando il responso, ed interrogando gli sguardi del Mattei, che continuava la sua esplorazione.
– Penetrante? – gli chiese il collega, in quel gergo che i profani intendono così poco.
– Probabilmente: – rispose il Mattei, – la ferita è tra la settima e l'ottava costa, e dalla natura del colpo si può argomentare che vada dal basso all'alto nella cavità toracica.
– E, – disse l'altro con esitanza, – non c'è lesione?..
– Questo vedremo ora, – soggiunse il Mattei, guardando attentamente il collega e il ferito. —
Aloise intese la mimica, e fu pronto a mettere innanzi la sua parola.
– Parlate pure, mio caro Mattei; – disse egli, – con me potete dir tutto liberamente.
– Non temete, – interruppe il chirurgo; – io non ho l'uso di tacere la verità ai malati della vostra tempra. E poi, ancorchè il polmone fosse tocco, non ci sarebbe quel gran male che il volgo crede, ogni qual volta si tratta di simili lesioni. Aspettate, ora faccio un esperimento. —
Così dicendo, il buon discepolo di Chirone cavò fuori un moccolo, lo accese e lo accostò alle labbra della ferita.
– Vedete? – disse egli allora sorridendo con aria trionfale al collega. – La fiamma non si muove, e questo è buon segno. Ora guardate i tessuti circostanti alla ferita; essi non offrono alcuna traccia di enfisema. La qual cosa significa, – proseguì egli voltandosi ai profani, – che non c'è sfogo d'aria e che il polmone non ha ricevuto la visita del ferro. E nemmeno è lesa l'arteria intercostale, come possono vedere dalla pochezza del sangue spicciato dalla ferita.
– Non è dunque altro che una ferita leggiera? – chiese il Pietrasanta.
– Leggiera! Intendiamoci; – soggiunse il chirurgo; – per me non ci sono ferite leggiere, tranne le scalfitture; ed anco queste ci hanno i loro malanni, secondo i luoghi. Questa poi è una ferita bella e buona, e se fosse consentito dalle regole d'arte esplorarla con uno specillo, mi riprometterei di misurarvela profonda di sei centimetri o sette. Il marchese di Montalto si metta in riposo, e lasci fare a me ed alla natura, quella gran medichessa che ne sa dieci volte più di noi tutti.
– Potete immaginarvi, caro dottore, – disse Aloise, – che io seguirò i vostri consigli. Io non ho nessuna voglia di morire, e sono molto lieto di non avere in corpo quel tal personaggio greco di cui parlavate poco anzi.
– Ah, volete dir l'__enfisema__? Certamente gli è un personaggio fastidioso; – rispose il Mattei, che stava molto volentieri alla celia, – ma se egli non è venuto ora, non vien più di certo. —
Le parole del medico e la buona cera di Aloise avevano rasserenato la comitiva. Ma appunto allora, e in quella che i due medici stavano intenti a riunire le labbra della ferita con alcune strisce di sparadrappo ed una acconcia fasciatura, fu notata la presenza di due personaggi, i quali assistevano in disparte alla scena.
VII
Di un'alzata d'ingegno che fece l'uomo dai capelli rossigni, e di quello che poscia ne avvenne.
Quella apparizione improvvisa scosse un tal po' la brigata; ma ebbero da strabiliare addirittura quando videro chi fosse l'uno dei due nuovi venuti.
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