Anton Barrili - I rossi e i neri, vol. 1
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- Название:I rossi e i neri, vol. 1
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Lorenzo appariva tranquillo; solo l'amico Assereto si faceva lecito di scrollare il capo e di battere de' piedi sul terreno, in guisa da lasciar trapelare che non il freddo soltanto gli recasse molestia.
Così la intese il Salvani, perchè, dopo alquante battute di quella fatta, si voltò all'amico e gli disse:
– Diamine! che impazienza è la tua?..
– Di' piuttosto che disperazione; – soggiunse l'Assereto. Lorenzo non rispose altrimenti a quelle parole dell'amico che con un dispettoso crollar delle spalle.
– Sentimi, Lorenzo; – disse allora l'Assereto. – Io, già lo sai, ho accettato questa seccatura per te, non per altro riguardo al mondo. Ora ci ho in capo che questo signor Collini ce ne voglia fare una delle sue.
– Suvvia! – interruppe Lorenzo. – Tu l'hai sempre con lui, e questo non istà bene.
– Bravo! E tu vedi tutti gli uomini buoni, come un collegiale tutte le donne belle. Figliuolo mio, non si dànno di questi appuntamenti alla gente. Quando si è pronti a battersi, si dice ai padrini: venite a casa mia a svegliarmi. Quando se n'ha una voglia deliberata, si dice loro: dormite pure della grossa; io verrò a cercarvi a casa vostra. E in questo caso ci si arriva un'ora prima. Qui invece, che cosa avviene? Che si dà la posta a mezza strada, e si ritarda per giunta.
– Sia come tu vuoi; – rispose Lorenzo, – ma l'ora non è anche passata. D'altra parte, in questo negozio, siamo andati un po' tutti col capo nel sacco, senza consultare il lunario. Tu vedi che incomincia appena ad albeggiare. Gli avversarii non sono giunti ancora.
– Oh, in quanto a quelli, guardali là in capo alla strada.
– E chi ti dice che non sia invece la carrozza del Collini?
– Vuoi scommettere?
– No, Assereto; non scommetto mai. Spero che quella sia la carrozza del Collini, e non mi curo del rimanente.
– Ed io ti dico che sono gli altri.
– Vedremo.
– Sta bene, vedremo. Ma intanto, se egli non viene, che cosa si fa?
– E che cosa vorresti fare? – chiese Lorenzo. – Già, credilo, il Collini non istarà molto a giungere, e quasi mi pare di fargli villania a darti retta. Ma, dato e non concesso, come dici tu, con eleganza curiale, che egli non venisse, la cosa è chiara come un'operazione aritmetica. Si va sul terreno, e si fa testimonianza dell'accaduto.
– Profferendosi prima ai comandi della parte avversaria, – interruppe l'Assereto.
– S'intende; ma è anche debito di gentiluomini rifiutare la generosa offerta; e i poveri padrini di un vigliacco se le vanno a capo chino e con la coda tra le gambe, come cani bastonati.
– Convieni che sarebbe una brutta cosa…
– È verissimo; ma che vorresti tu farci? A certi malanni che capitano tra capo e collo non c'è rimedio che tenga. Ma ecco la carrozza che gira il gomito della salita.
– Ahimè! – esclamò l'Assereto. – Siccome io sono certo che ella porta nel suo grembo i nemici, come il famoso cavallo di Troia, ti propongo di ritirarci nella scaletta, perchè non ci abbiano a vedere in questa disgraziata postura.
– E che c'è di strano, – rispose Lorenzo, – che noi stiamo qui aspettando il Collini? Noi non dobbiamo rendere ad essi altro conto che di una assenza sul terreno, all'ora prefissa. Del resto, ci avranno già veduti. —
Intanto che questo dialogo si proseguiva tra i due, la carrozza, girato il gomito della strada, veniva al trotto verso il ciglio della collina. I due amici si fecero per moto naturale a guardarla, e per la portiera, che era aperta, videro il Montalto co' suoi padrini e il chirurgo.
Quei della vettura e quei della strada si scambiarono il saluto con molta freddezza. A Lorenzo il sorriso del marchese di Montalto parve altiero anzi che no. Tuttavia non volle dirne nulla all'Assereto, di cui temeva i commenti sarcastici. Ma all'Assereto non era sfuggito quel sorriso, e siccome egli nella furia del suo malumore non perdonava a nessuna cosa, si affrettò a dire:
– Hai veduto? Ci squadrano dal capo alle piante come bordaglia di strada. Ma riderà bene…
– Chi riderà l'ultimo! – gridò Lorenzo, levando le parole di bocca al compagno. – Hai ragione, Assereto. Ora usami questa cortesia, di aspettare un poco in santa pace. Sono le quattro e quaranta minuti, e il ritrovo davanti alla chiesa è fermo per le cinque. Il Collini non vorrà tardare più molto. Forse ha perduto tempo a trovar la carrozza. Aspettiamo dunque… fino a tanto che si può.
– In questo caso, ottimo Lorenzo, tu sveglierai me, quando l'eroe sarà giunto, o tu ti sarai stancato di attenderlo. —
Così parlò quella buona lana dell'Assereto, e ravvoltosi bene nel suo mantello si sdraiò sul sedile di lavagna che correva intorno ai murelli del terrazzo, cercando di pisolare un tantino.
VI
Nel quale si dimostra che l'Enfisema non è un personaggio greco.
L'aspettare è la più brutta, la più fastidiosa delle occupazioni, anche quando non si abbia altro da aspettare che un amico, per andar di brigata a desinare in campagna; figuriamoci poi quando sia per un così grave negozio, come quello per cui Lorenzo e l'Assereto aspettavano il dottor Collini.
I preliminari di un duello e il tempo che scorre dalla disfida ai colpi, sono la pietra di paragone del coraggio di due avversarii. Ai tempi antichi, quando i gentiluomini portavano tutti la spada al fianco, il combattimento si faceva di sovente appena avvenuta la provocazione. Oggi, in cambio, manca l'uso dell'arma e manca per conseguenza l'occasione di far subito. Bisogna anzitutto mettersi in balìa di due padrini, i quali trattano, e qualche volta anco bistrattano la faccenda. Poi si ha da dormirci su; poi bisogna svegliarsi fuor d'ora, vestirsi, uscire e andar sul terreno, aspettare che i padrini s'intendano su cento minuzie, scelgano il luogo, misurino il campo, dividano, giuochino a sorte il lato migliore, visitino il petto e le braccia, diano le armi, i segnali e via discorrendo. Di questa guisa, un uomo di poco animo ci ha tempo a pentirsi d'essere andato tanto oltre; un uomo di polso ci ha tempo a sbadigliare di molto, come un povero viaggiatore sul disagiato sedile di una carrozza. Ma il Collini non era un uomo di polso, e Lorenzo Salvani lo aspettava inutilmente da un pezzo.
Guardò l'orologio per la ventesima volta; erano le quattro e cinquanta minuti.
– Oh, insomma! – gridò egli allora, – Assereto, levati su! —
L'Assereto balzò in piedi tutto confuso, stropicciandosi gli occhi.
– Perchè svegliarmi? – esclamò egli. – Facevo un sogno così bello! Figurati; sognavo che il tuo Collini era venuto, con un cuor da leone, tutto armato di feroci propositi. Ma vedo bene che bisognerà notare di falsità il detto di Omero.
– Qual detto? – chiese Lorenzo, in quella che ambedue, seguiti dal taciturno Michele, si avviavano verso la viottola di San Nazaro.
– Non sai? nel primo libro dell'Iliade, dove Achille dice che «__da Giove anco il sogno procede__». Ora il mio è stato un sogno inspirato da Momo, il Dio dello scherno. Il Collini non è venuto; andiamo noi.
– __Tu dixisti__, – rispose il Salvani, imitando la burlesca gravità di Giorgio Assereto. – Soltanto ti prego di studiare il passo, perchè la viottola è lunga, e mancano appena otto minuti alle cinque. —
A mezza strada trovarono la loro vettura, svegliarono il loro medico, che russava beatamente nel fondo; pigliarono le spade, e poi giù a passo di corsa fino a San Nazaro.
Il sole non era anche spuntato dallo scoglio di Portofino, dove i primi Genoati credevano che stesse a dormire; ma i primi colori dell'aurora dipingevano timidamente il cielo e le digradanti costiere ligustiche. Il rancio, il rosato e il verdognolo, magnifici colori che l'alba tiene in serbo nella sua tavolozza d'estate e d'autunno, cedevano qui il luogo ad una tinta pallida, tra turchiniccia e cenerognola, unico segno della mattutina risurrezione del creato.
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