Or, sopra uno di questi carretti scricchianti, tra molte scatole da cappelli e un mucchio di cuscini, viaggiava una gabbietta. Dentro alla gabbietta c'era un canarino giallo. Le suppellettili mutavan posto: alla casa nuova la gabbiuzza fu appesa nel tinello che dava in un giardino. Di rimpetto, dietro certe grate fitte, si vedevano confusamente soggoli biancheggianti: c'era un antico monastero. Il figlio della signora, un ragazzo che odorava di poesia, appena fu alla nuova casa e, per la finestra del tinello, vide le monache, fu preso da un impeto sentimentale e stampò una sessantina di versi claustrali in un giornaletto letterario.
Il povero canarino poeta pur lui, era stato tolto piccoletto al nido, e più non ricordava dove e come. Ricordava senza precisione certo aggrovigliamento di rami e di fronde, una fiorita stesa di piano, un gran pezzo di cielo azzurro – niente più. L'adozione era stata larga di cure e, dapprima, dolce fu la prigione. E lì come se fosse stato a San Pietro a Maiella, il canarino diventò un cantore elegantissimo, una specie di tenorino di grazia.
– Bene, bene – esclamò il marito della signora – ecco il canarino che comincia a dirci qualcosa.
E ogni volta che si trovava nel tinello a lavarsi la faccia, gli faceva lo zufolo col tovagliolo fra mani.
La casa dalla quale era sloggiato era scura e silenziosa. Le finestre non davano sulla strada, riuscivano in un cortile abbandonato, dominio di terribili pipistrelli, qualcuno de' quali perfino veniva a sbatter l'ali intorno alla gabbiuzza, dove il povero canarino tremava di terrore. La bestiola, di sotto l'arco della finestra, non vedeva che i muri grigi del cortile dagli angoli ch'erano scale di polverose ragnatele, da' buchi neri che a notte diventavano case di nottole. Le carrucole nei pozzi stridevano, le secchie si urtavano, le serve, a prima ora, trovandosi tutte ad attingere, dicevano male della gente, appiccicando a ognuno un aggettivo che svegliava goffe risate per tutto il pozzo. Questa la vita del cortile. Una volta solamente il canarino uscì dalla sua malinconia. Una delle fantesche ripuliva la gabbia d'un altro canarino, lasciando cader giù nel cortile le boccate sfuggite del miglio, i rifiuti del prigioniero, e canticchiando. E come quel canarino, per la soddisfazione del miglio fresco e dell'acqua pulita, metteva, di tanto, piccoli gridi acuti, quest'altro credette di aver trovato finalmente qualcuno col quale potesse chiacchierare, nelle ore di noia.
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