Renato Fucini - Napoli a occhio nudo - Lettere ad un amico
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Per questa medesima ragione, non è facile trovare fra loro persone di servizio. Ogni lavoro che gli obblighi lo scansano con ribrezzo, e non vi si adattano finchè il bisogno non gli abbia presi per la gola. Da questa tendenza della loro indole e dalla scarsità di opificj che potrebbero accogliere quelli che stretti dalla necessità vi si adatterebbero, resulta quella enorme moltitudine di semioziosi, che si dànno al lavoro avventizio nei luoghi di maggior movimento commerciale o al piccolo commercio ambulante per le vie della città, tormentando il prossimo in centomila maniere dalla mattina alla sera.
Le loro occupazioni perciò sono intermittenti. Fra l'arrivo e la partenza dei convogli della strada ferrata e fra quello di battelli postali e navi mercantili nel porto, il lavoro cessa e negl'intervalli migliaia di persone restano disoccupate. Alla stanchezza per il lavoro fatto si aggiunge l'influenza del clima, e allora chi casca di qua e chi di là, e tutti si buttano allo sdraio sui muriccioli, sui marciapiedi, giù per gli scali, lungo la marina, sui carri, su le balle, su le casse, in qualunque luogo insomma dove ci sia da schiacciare un pisolino in pace, presentando così agli occhi dei passanti quel pittoresco, ma ributtante spettacolo che forse ha fatto alquanto esagerare l'idea che generalmente si ha della fiaccona e della indolenza di questo popolo.
Son troppi quelli che abbisognano di lavoro, di fronte al movimento industriale e commerciale del paese, onde molti, lo ripeto, rimangono involontariamente inoperosi; ma quando offriamo loro da lavorare, è un'atroce calunnia, almeno ora, il dire che lo ricusino, perchè hanno mangiato. Sono stato troppe volte e sul molo e nei quartieri poveri, dove abbondano gli sdraiati e gli addormentati e troppe volte ho fatto la prova, destandoli e incaricandoli di qualche piccola commissione e qualche volta anche grossa e faticosa, e mai mi son sentito rispondere il famoso aggio magnato . Sorgono in piedi come se scattassero per una molla, si stropicciano gli occhi e per pochi centesimi si mettono alle fatiche più improbe, fanno due chilometri di strada correndo, e ritornano ringraziandovi, domandandovi se comandate altro, e scaricandovi addosso un diluvio di eccellenze e di don , come se avessero da voi ricevuto il più grosso favore del mondo.
Gli ho osservati nelle loro botteghe, passando per le vie, ed ho visto che lavorano; sono stato a visitare opificj e ne sono uscito con le mie convinzioni più radicate che mai. Non contento de' miei occhi, ne ho domandato ad alcuni direttori di stabilimenti manifatturieri, non napoletani e perciò non pregiudicati, e tutti mi hanno confermato nella mia scismatica opinione. Chi ha gambe venga e chi ha occhi veda, e dopo, se è onesto, dovrà convenire con me che lo sbadiglio lungo, sonoro, spasmodico, che quell'aspetto di prostrazione fisica, che quelle fisonomie assonnate e quasi sofferenti per la noia che s'incontrano specialmente nelle città di secondo ordine delle altre provincie, fra le quali non ultima la nostra leggiadra Toscanina, a Napoli non le troverà certamente; e giri, e cerchi, e osservi pure a suo piacere, assolutamente non le troverà.
Il temperamento di questa gente è troppo nervoso, è troppo adusto da poter la linfa concorrere efficacemente insieme col clima a spossarli del tutto, per cui quando hanno da lavorare lavorano, e la loro opera è intelligente e produttiva al pari di quella di qualunque altra popolazione della penisola. – Mi sarò anche ingannato, ma non lo credo.
Date Caesari quod Caesaris est , c'insegnò il Cianchi bon'anima maestro di rettorica, e giacchè sono entrato nello sdrucciolo delle eresie, mi scappa la voglia di seguitare e seguito. La seconda eresia la comincerò in forma di preghiera, pregandoti che, quando capiterai in questo paese benedetto dalla Provvidenza, in questa terra privilegiata del canto e del sentimento musicale, tu sfoderi gli orecchi, tu giri nei quartieri del popolo e tu ascolti. Principierai la tua peregrinazione immaginandoti di dover inciampare ad ogni svoltata di via in comitive di giovani spensierati, i quali se ne vadano rallegrando la poesia della notte coi loro canti, con le loro armonie di chitarre, di flauti e d'organini, come ti accadrà ad ogni passo in Toscana, e come ci accadeva incontrare tanto spesso a Milano, a Venezia e su i laghi, ma tutte le illusioni presto ti spariranno. Non ti parrà d'affacciarti a una vasca per sentir cantare i pesci, ma poco meno. Qualche truppa di suonatori e cantatori la incontrerai verso le locande o intorno ai caffè, dove vengono per danaro, anzi dove vengono in troppi e troppo spesso, ma chi canti per solo piacere di cantare le stupende e poetiche ariette che questi maestri di musica compongono a tavolino e non il popolo lungo la marina, come generalmente si crede, non lo incontrerai mai o molto, molto di rado. Una plebe che si diletta quasi esclusivamente del cembalo e della caccavella, due strumenti che dànno rumore monotono e non armonia, a mio parere, non può nè deve avere quello squisito sentimento musicale che da tutti, e senza rendersi conto del perchè, le si è voluto sempre attribuire. Un mezzo secolo addietro, quando l'Italia era da vero la terra del canto, la plebe di Napoli sarà stata per la musica tutto quello che si racconta; ma ora che questa terra del canto è diventata la terra degli urlacci, può darsi benissimo che anche quaggiù le cose vadano diversamente. Avrò preso un granchio anche questa volta? Speriamo di sì.
Tutte le volte che ripenso a questa specie di disinganno procuratami da un pregiudizio che è universale, forse perchè i suonatori e cantatori napoletani (che non sono di Napoli) inondano i trivj della Terra, mi torna in mente la leggenda del cigno. Tutti i poeti hanno esaltato a cielo le dolcissime note e il canto melodioso di questo taciturno abitatore dei laghi, senza averne mai udita la voce. Bugiardi! Io l'ho sentita questa voce incantevole, l'ho udito davvero il canto di questo voluttuoso amico di Leda, e non ho saputo somigliarlo ad altro che allo strepito roco d'una canna secca stroncata bruscamente.
Ma tutto questo non tolga nulla ai lati pregevoli di queste disgraziate ed allegre creature; anzi, dopo aver trovati martiri della fatica dove non credevo trovare che sbadiglianti bighelloni, voglio accennarti altre buone qualità che ho notate con piacere fra costoro, e gentili passioni portate qualche volta fino all'eccesso dalla loro natura meridionale.
L'amore e gli affetti di famiglia li sentono con violenza; si soccorrono in caso di sventura e sono fra loro ospitali e caritatevoli fino al sacrifizio; hanno venerazione pei vecchi e li rispettano e li accarezzano affettuosamente; contentabili in modo che è raro udire un lamento dello stato di miseria più che bestiale, nella quale la maggior parte languiscono; non dediti all'ubriachezza; non punto turbolenti, almeno nei periodi di calma sociale, e questo lo prova il fatto che spesso l'Arsenale e l'officina di Pietrarsa hanno messo fuori cinquecento ed anche mille operai e la città non si è accorta minimamente di questo avvenimento; non facili alla rissa ed al coltello, sono dotati poi di molte altre qualità che non voglio rammentare, sebbene appaiano buone, perchè figlie troppo spontanee di quel fango morale, in cui sono tenute sommerse queste misere scimmie a due mani.
Ma sotto quale enorme farragine di difetti restano soffocate le loro poche virtù! – Con la più feroce usura si strozzano fra loro. La passione per il giuoco in genere ed in specie per il Lotto giunge fino alla frenesia, e forse il desiderio di soddisfare a questa sfrenata libidine, se si volessero ricercare le cause di ciò che asserivo poco fa, è quello che gli agita, che gli accapiglia e li porta a lavorare rabbiosamente, per poi più rabbiosamente che mai correre a gettare i loro miseri guadagni in quel baratro d'immoralità, che insieme colla usura concorre a spolpare questi iloti e a mantenerli nel puzzo delle loro tane, dove come porci s'imbragano e gavazzano.
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