Anton Barrili - La notte del Commendatore
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Tutte queste cose egli vide in un batter d'occhio. Ella in pari tempo ravvisò in lui un giovine di primo pelo, un po' timido, ma di bello aspetto e signorilmente vestito; perciò lo accolse senza paura, accennandogli che volesse entrare, mentre collo sguardo curioso parea dirgli: «a che debbo io l'onore d'una sua visita?» oppure, se la frase vi par troppo pettinata per una ragazza sua pari: «bel giovine, che cosa volete da me?»
–Scusi, signorina,—balbettò l'Ariberti, impacciato come un pulcino nella stoppia;—cercavo un amico che abita qui… il signor Filippo Bertone.
–Qui non abitano Bertoni;—diss'ella, ma senza aver l'aria di mandarlo via;—ci abito io, Giuseppina Giumella, fiorista presso madama Falcheri, in via Doragrossa, numero 15.—
Tutto quello sfoggio di indicazioni non commosse pure una fibra nel cuore di Nicolino Ariberti.
–Signorina, scusi,—ripetè egli colla medesima confusione di prima.—L'amico mio abitava qui l'anno scorso… È uno studente di filosofia… cioè lo era l'anno scorso… Credevo che ci fosse tornato…
–In filosofia?
–No, volevo dire ad abitare qui. Ma se non c'è più, mi ritiro. Le chiedo scusa… Buon giorno, signorina.—
Quando la signora Giuseppina Giumella si avvide che l'amico Bertone non era un pretesto e che quel timido giovinetto non cercava proprio di lei, uscì sul pianerottolo per fargli servizio e chiamare la padrona di casa.
–Aspetti,—disse ella,—adesso chiederemo alla signora Paolina, e chi sa ch'ella non sappia dove è andato a stare il suo amico Bertone, io non sono qui che da un mese. Signora Paolina!
–Chi è?—domandò da un uscio in fondo al pianerottolo una voce chioccia ben nota a Nicolino Ariberti.
–Son io, signora Paolina;—rispose egli, per mostrare alla ragazza che non era davvero uno sconosciuto lassù;—Sono Ariberti, l'amico di Filippo Bertone.—
In quel mentre l'uscio di fondo si aperse, e la megèra comparve sulla soglia.
–Ah, è lei, signor Ariberti? Cerca del signor Filippo?
–Sì; mi hanno detto che è giunto a Torino e venivo a salutarlo. Credevo che fosse tornato nella sua cameretta, che gli piaceva tanto…
–Oh, per questo ci aveva ragione;—soggiunse la vecchia.—Una camera come quella, non fo per dire, ma non si trova in tutta la via degli Argentieri. E difatti è venuto l'altro giorno da me per riaverla; ma che vuole? Io già l'avevo appigionata. Colpa sua, perchè, quando è partito l'estate scorsa, mi ha lasciato nel dubbio del suo ritorno a Torino. È un bravo giovane, quantunque stia male a contanti, e mi è rincresciuto di perderlo. Ma non potevo mica sacrificarmi… Capirà, signor Ariberti: dodici lire al mese sono poco e son molto, secondo i casi.
–Eh, capisco, dodici lire… già… sono una somma.
–Almeno per me;—proseguì la signora Paolina, Ah, se si fosse —trattato di Lei, signor Ariberti, che ci ha i denari a palate…
–Non tanto, signora Paolina, non tanto;—gridò Nicolino Ariberti ridendo.—Son figlio di famiglia, non lo dimentichi.
–Sicuro, e un bravo giovane, come ce n'è pochi. La non dubiti; il signor Filippo le rendeva giustizia. Egli mi diceva sempre: veda, signora Paolina; di tutti i miei compagni, il migliore, il più sincero, il più studioso, è l'Ariberti.
–Caro Filippo!—esclamò egli, mentre il rimorso, di cui sanno i lettori, gli dava un'altra e poderosa stretta.—E sa Lei almeno, dove sia andato a mettere il nido?
–Oh, La non dubiti; appena lo ha trovato è corso ad avvisarmene. Aspetti, ora mi raccapezzo. Santa Teresa… No, San Francesco di Paola… Nemmeno! Di San Francesco me ne ha parlato, ma là c'era un quartierino di tre camere, un po' caro per la sua borsa. Ecco, ora mi ricordo; è andato proprio a stare in via Santa Teresa, la seconda casa a sinistra; e mi pare che abbia detto il numero 4.
–Ultimo piano, m'immagino.
–Per l'appunto. Sui tetti c'è l'aria buona. Ma dopo tutto il signor Filippo non è parso molto contento del suo nuovo alloggio. La camera è brutta e piccola. Si figuri; un terzo della mia, e non ci ha neanche la stufa.
–Non è poi un gran male;—pensò l'Ariberti;—avercela guasta o non averne è tutt'uno.—
Il lettore discreto capirà che quel suo pensiero il nostro adolescente se lo tenne gelosamente per sè. La signora Paolina credeva nella bontà della sua stufa e a screditargliela le si sarebbe data una stilettata nel cuore.
–Grazie, signora Paolina;—diss'egli in quella vece.—Mi sa mill'anni di vedere Filippo. Corro in via Santa Teresa.
E fatte altre poche parole di commiato, il nostro Nicolino infilò le scale, dopo aver risposto con una scappellata al gentile saluto e al profondo inchino della signora Giuseppina Giumella, fiorista in Doragrossa, a cui certe parole della padrona di casa avevano dato un gran concetto delle ricchezze di quel timido visitatore.
Per altro, Nicolino Ariberti non la passò così liscia, come potrebbe argomentarsi da questo commiato. A mezzo le scale fu ancora trattenuto da una chiamata della signora Paolina, che aveva dell'altro ancora da dirgli. Laonde si fermò ossequente al suono delle venerande ciabatte, ed aspettò che avessero fornita tutta la distanza che già era tra lui e l'ultimo piano.
–Scusi, sa;—gli disse la megèra, abbassando la voce con aria di mistero, quando fu giunta sul pianerottolo dov'egli era rimasto inchiodato;—vorrei pregarla di un'imbasciata pel signor Filippo. La camera che gli piace tanto, un giorno o l'altro sarà libera. La ragazza che Lei ha veduto non vuol rimanerci più molto. Si figuri che siamo al venti, e non ha ancora pagato l'affitto di questo mese. Già, se non pensa a trovarsi un benefattore, poverina, come ha da fare, con quel gramo mestiere che ha per le mani?
–Un benefattore!—esclamò Ariberti, a cui l'età non dava di capire alle prime.—Se posso far io qualche cosa….–
E metteva mano, così dicendo, alla borsa.
–Oh, non a me, non a me!—rispose frettolosa a quel gesto la signora Paolina, come se si fosse scandalezzata all'idea di dover intascare la somma di prima mano.—Se vuol fare una carità fiorita a quella povera ragazza, ci vada lei; quanto a me, Dio mi guardi; potrebbe parere che avessi cantato.—
Nicolino Ariberti nicchiava. Con che fronte si sarebb'egli presentato a quella Flora cittadina, che aveva veduta a mala pena sul suo uscio, e come avrebbe potuto dicevolmente consegnarle la tenue moneta di dodici lire?
–In verità, non ardisco;—diss'egli, dopo essere stato un poco perplesso.
E fu per rimettere la borsa in tasca. Ma qui la signora Paolina si avvide di aver fatto una papera.
–Già, capisco;—ripigliò prontamente.—Lei vuol fare il bene e non averne i ringraziamenti. Si vede proprio che ha buon cuore. Dia dunque il danaro a me; le dirò io donde viene.—
All'Ariberti non pareva vero di cavarsela in quel modo. E alleggerito di dodici lire, ma contento di avere aiutato quella povera figliuola, che non ci aveva lì per lì un benefattore a darle una mano, se ne andò in traccia di Filippo Bertone.
Per altro, egli non doveva sfuggire alla gratitudine della signora Giuseppina Giumella. Il bene che si fa, non si perde. Anche il nostro Nicolino Ariberti se lo avrà a ritrovare tra' piedi. Seguitiamolo frattanto in via di Santa Teresa.
Filippo Bertone era andato ad abitare laggiù. La rondine, al suo ritorno da quelle parti, aveva trovato occupato il vecchio nido ed era andata più lungi a fabbricarsene un altro. L'altezza di questo era a un dipresso la medesima, cioè sotto le travi del tetto. E non è questa forse la postura più acconcia pei nidi? Dopo tutto, il primo nido di Filippo Bertone dava sopra una sequela, anzi una confusione, di tetti più bassi; laddove il secondo dava in una corte abbastanza spaziosa, dov'erano certe scuderie, e vedeva le spalle d'una gran casa, che poteva, dall'altra banda, pretendere al nome e alla dignità di palazzo.
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