Anton Barrili - Castel Gavone - Storia del secolo XV

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Castel Gavone: Storia del secolo XV: краткое содержание, описание и аннотация

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–Eh, eh, capisco;—ripigliò mastro Bernardo, con aria di chi sa e vuol lasciarsi scorgere;—il nostro magnifico Marchese li aspetterà.

–Se li aspetterà! Lo credo io! Sono annunciati certamente da due ore. Io era appunto in volta verso Calvisio,… A mala pena arrivato stanotte!…

–A proposito, siete stato in viaggio….

–E lungo; e ho avuto appena il tempo di far la mia relazione al Marchese, ch'egli mi ha mandato fino a Pia per vedere la nuova compagnia di balestrieri che ha presa in condotta testè. Ero salito a Calvisio per dare un'occhiata alla guardia; torno al passo della fiumana e mi dicono che due cavalieri sono discesi verso Castelfranco, avviati pel Borgo. Mi metto sulle loro pedate e non li trovo; alla porta di San Biagio nessuno li ha visti. Rifò la strada, piglio lingua, e sento che si erano fermati all'Altino. Che è ciò? A due passi dal borgo, perchè smontano essi da te?

–Eh, l'ho detto ancor io; perchè smontare da me? Ma che volete, messer Giacomino? Avran veduto l'insegna: Fermatavi all'Altino, c'è buona l'accoglienza e meglio il vino . E l'han trovato buono, credetemi, quantunque non l'abbiate mai assaggiato. Dopo tutto, o che? dovevano presentarsi al castello a stomaco digiuno, come due pellegrini affamati?

–Che uomini sono?—dimandò il Bardineto, per metter fine a quella intemerata dell'oste.

–Non lo indovinate?

–Eh, forse; due genovesi, dei soliti, che vengono qua, sotto colore d'ambasceria, per curiosare, scoprir terreno e macchinar tradimenti in casa nostra.

–Che!—sclamò mastro Bernardo, facendo le cocche colle dita,—Più su sta monna Luna!

–Come? e che altro hanno ad essere?

–Due pezzi grossi, vi dico io. Cioè, no, dico male; uno grosso soltanto di corporatura, e gli ha da essere lo scudiere, o alcun che di somigliante; ma l'altro….

–L'altro?

–Eh, un uomo per la quale, che è aspettato dal Marchese e gli farà molto piacere il vederlo capitare al castello.

–Non genovese?—ripicchiò il Bardineto, stringendosi nelle spalle.

–Non genovese; piemontese.

–Capitano di ventura?

–Altro ci è; signore di terre e castella. Ma scusatemi, messer Giacomino; e' son qua che scendono le scale.—

E senza aspettar altro, l'ostiere si mosse, per andare incontro a' suoi ospiti.

IL Bardineto, rimasto solo in cucina, si accostò alla finestra, che dava sull'aia, ov'erano già i due cavalli, tenuti per le redini dal Maso, e vide poco stante i due forastieri che salivano in arcione.

Uno, il più vecchio e il più tarchiato, gli parve per l'appunto uno scudiere, o un famiglio. L'altro, era un bell'uomo tra i trenta e i quaranta, biondo di capegli, dal volto un po' arsiccio, ma bianco di carnagione, di leggiadre fattezze e di nobilissimo aspetto. Anche a non voler badare alla sua cappa di scarlatto verde foderata di vaio e al suo cavallo palafreno, la cui gualdrappa e gli altri arnesi erano filettati d'argento, si capiva ch'egli era un uomo di grande affare, e che mastro Bernardo aveva ragione a notare in lui un'ariona da principe.

–Chi diamine sarà costui?—andava almanaccando tra sè il Bardineto.—Non genovese, perciò non nemico; capitano di ventura nemmanco. Fosse uno del parentado! Ma io li conosco tutti, i signori della lega, e questi mi giunge affatto nuovo alla vista.

Intanto, mastro Bernardo s'era fatto innanzi col suo fiaschetto di vin prelibato e profferiva ai due viaggiatori il bicchier della staffa.

–Grazie!—disse il più giovine accettando il bicchiere e rendendolo dopo avervi a mala pena intinte le labbra.

Non così il Picchiasodo, che, recatosi il bicchiere all'altezza degli occhi, ne contemplò amorosamente il liquido topazio, indi lo accostò alle labbra, ne assaporò un sorso, tornò da capo a guardare, mentre, alla maniera de' buongustai, batteva la lingua contro il palato, e finalmente, arrovesciando gli occhi in segno di beatitudine, mandò giù l'abbeverato e succiò l'orlo del bicchiere per giunta.

–Se tu cominciavi da questo,—diss'egli all'oste nell'atto di restituire il bicchiere,—non si andava più via dall'Altino.

–Eh eh!—rispose mastro Bernardo ridendo.—Per altro, a messer lo conte non è piaciuto.

–A me?—dimandò messer Pietro, vedendo che l'oste accennava a lui.—Anzi, gli è nettare, non vino; ma con quest'amicone non bisogna far troppo a fidanza.

–Con vostra licenza, messere, berrò io le vostre bellezze. Alla salute degli sposi.

E mastro Bernardo, contento di metter le labbra al bicchiere del suo ospite, tracannò il rimanente d'un fiato.

Messer Pietro sorrise, salutò e spinse il cavallo fuori del portone.

Il Picchiasodo spronò a sua volta, e lo seguì sulla strada.

–Costui vi vuol vedovo, messer Pietro;—gli disse frattanto a mezza voce.—Povera madonna Bartolomea!—

A mala pena furono sulla strada i due viaggiatori, il Bardineto si serrò addosso a mastro Bernardo.

–E adesso mi dirai…. Prima di tutto, che andavi tu novellando di sposi?

–Non avete capito?—disse l'ostiere, mentre, levato di pugno al Maso il fiaschetto prezioso, lo andava a riporre nell'armadio.—C'è un matrimonio in aria e quello è lo sposo; il magnifico conte di Cascherano, che si è degnato, bontà sua….

–Sposo! di chi?—interruppe il Bardineto, facendosi bianco nel viso come un cencio lavato.

–Eh, non già di madonna Bannina, nè della mia Rosa, che hanno i loro uomini vivi e sani!

–Ma, alla croce di Dio, parla; di chi?

–Di madonna Nicolosina, perdinci! O che, venite dal mondo della luna?—

A messer Giacomo Pico venian meno le forze, e si offuscava la vista.

–Impossibile!—esclamò egli, con voce soffocata dalla commozione.—Impossibile!

–E perchè mo'? A San Nicola fa i diecisette, quantunque, a dir vero, mi paia che la sia nata ier l'altro. Ma, pur troppo, i giorni passano e gli anni van di conserva. O che? l'avrebbe da starsene a spulciare il gatto? È bella, è savia, è di nobil casato; e qui, con nostra buona pace, non c'è nessuno per lei. Al Fregoso, quantunque doge, non l'hanno voluta mostrare nemmeno dal buco della toppa; e' bisognava dunque far capo più lunge; a Cascherano, verbi grazia. Cascherano! bel nome! E lo sposo n'ha un altro, per giunta alla derrata; ma ora e' non mi vien sulle dita.—

Il Bardineto sudava freddo, e per un tratto non aveva potuto aprir bocca.

–Ma come sai tutto ciò, che io ignoro affatto?….

–Eh, lo capisco? se voi andate a fare l'ambasciatore! Da quanto tempo mancate?

–Da due settimane; cioè a dire, da quando è partito l'ultimo oratore dei Genovesi, messere Ambrosio Senarega. Sono stato a Cosseria, a Millesimo, a Cortemiglia, a Ponzone; ho dato infine una scorsa a tutte le castella delle Langhe.

–Orbene, e in questo mezzo s'è accozzato il negozio. Io sono stato il primo ad averne fumo, in paese. Sapete pure, messer Giacomino; madonna Bannina, che Iddio la prosperi sempre, n'ha fatto un cenno alla Gilda. La Gilda l'ha rifischiato a sua zia; e sua zia, che è poi nostra moglie, indegnamente, l'ha rapportato a me, com'era debito suo. Ma ora che ci penso, badate, gli era un segreto da tener sotto chiave, e voi da me non sapete nulla, intendiamoci; io non ho fiatato, acqua in bocca! me lo promettete?—

Messer Giacomo Pico non gli dava più retta; uscito in sull'aia, aveva infilato il portone, e via come una saetta.

–Ehi, dico, messer Giacomino, vi prego, non mi fate pasticci!—andava gridando l'ostiere.—Che diamine! ci ha il fuoco alle calcagna. E perchè mo'? Quella notizia l'ha messo fuori dei gangheri. Egli forse…. cotto di madonna Nicolosina? Eh, non mi farebbe meraviglia; la donna è un certo guaio! Quando t'ha fatto perdere il lume degli occhi, non badi più se la è imperatrice o villana. Orvia, se la è così, un bel malanno l'ho fatto! Ma già, maledetta lingua! La Rosa me lo dice spesso, che non so tenermela a freno! E poi? che male c'è? Tanto e tanto s'aveva a sapere. Il Cascherano non è forse arrivato? E come l'avranno a battezzare, quando capiterà al castello e farà il su' inchino alla sposa? Andiamo, via; delle mie ragazzate, non è questa la peggio.—

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