Volodyk - Paolini1-Eragon.doc
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ERAGON! Il ruggito lo colpì tanto forte che quasi cadde dalla sedia. Si guardò intorno allarmato, ma non era cambiato niente. All'improvviso capì che le grida venivano da dentro la sua testa. Saphira? chiese ansioso.
Ci fu una pausa. Sì, orecchie di pietra.
Si sentì sollevato. Dove sei?
La dragonessa gli inviò l'immagine di un boschetto. Ho provato a chiamarti molte volte, ma eri troppo lontano.
Sono stato male… ma adesso va meglio. Perché non ti potevo sentire prima?
Dopo due notti di attesa, mi è venuta fame. Sono stata a caccia.
E cosa hai preso?
Un capriolo. Era abbastanza saggio da guardarsi dai predatori di terra, ma non da quelli del cielo. Quando l'ho preso tra le mie fauci, ha scalciato per tentare di fuggire. Ma io ero più forte, e quando ha capito di essere sconfitto, si è arreso ed è morto. Anche Garrow lotta contro l'inevitabile?
Non lo so . Le raccontò i particolari, poi disse: Passerà ancora del tempo prima che io possa tornare a casa. Non potremo vederci per almeno altri due giorni. Devi continuare a cavartela da sola. Farò come dici, sospirò la dragonessa, avvilita. M a non metterci troppo .
Si separarono a malincuore, Eragon guardò fuori dalla finestra e si stupì nel vedere che il sole era tramontato. Sentendosi molto stanco, si alzò vacillante per andare da Elain, che stava avvolgendo dei pasticci di carne in carta oleata. «Torno a casa di Gertrade a dormire» le disse. Lei finì di chiudere i pacchetti e domandò: «Perché non resti con noi? Starai più vicino a tuo zio, e Gertrude potrà riavere il suo letto.»
«Avete posto?» domandò, esitante.
«Ma certo.» Si asciugò le mani. «Vieni con me; ti faccio vedere.» Lo accompagnò in una stanza vuota al piano di sopra. Eragon si sedette sul bordo del letto. «Ti serve niente?» gli chiese lei. Lui scosse il capo. «Comunque io sarò di sotto. Chiamami, se hai bisogno.» Eragon ascoltò i passi di Elain scendere le scale. Poi aprì la porta e scivolò lungo il corridoio, fino alla camera di Garrow. Gertrude gli sorrise da sopra i ferri da calza.
«Come sta?» sussurrò lui.
La voce della donna era velata dalla stanchezza. «È debole, ma la febbre si è abbassata, e qualche ustione sembra vada meglio. Non possiamo far altro che aspettare, ma forse questo significa che può guarire.»
Di umore migliore, Eragon tornò nella sua stanza. Il buio lo avvolse ostile mentre si rintanava sotto le coperte. Alla fine il sonno lo vinse, curando le ferite che il suo corpo e la sua anima avevano sofferto.
L'INGIUSTIZIA DELLA VITA
E
ra ancora buio quando Eragon si svegliò di soprassalto, ansante. La stanza era gelata; aveva la pelle d'oca sulle braccia e sulle spalle. Mancavano un paio d'ore all'alba: era il momento della notte in cui nulla si muove e la vita attende di essere sfiorata dai primi tiepidi raggi di
sole.
Il cuore gli martellava, gonfio di una terribile premonizione. Era come se il mondo fosse coperto da un sudario, con il lembo più oscuro disteso sulla sua stanza. Si alzò e si vestì. Angosciato, corse lungo il corridoio e si fermò allarmato quando vide la porta della camera di Garrow aperta, e tanta gente assiepata dentro.
Garrow giaceva composto sul letto. Indossava abiti puliti, aveva i capelli pettinati all'indietro e il suo viso era sereno. Si sarebbe detto che dormisse, se non fosse stato per l'amuleto d'argento appeso al collo e il mazzolino di cicuta essiccata adagiato sul petto: gli ultimi doni dei vivi al defunto. Katrina era in piedi accanto al letto, il volto pallido, gli occhi bassi. La udì mormorare: «Speravo di poterlo chiamare padre, un giorno...»
Chiamarlo padre, pensò Eragon amareggiato, un diritto che nemmeno io ho avuto . Si sentiva come un fantasma, prosciugato di ogni vitalità. Tutto era inconsistente, tranne il viso di Garrow. Lacrime copiose gli scesero lungo le guance. Rimase lì, le spalle tremanti, ma non pianse forte. Madre, zia, zio: li aveva perduti tutti. Il peso del dolore era schiacciante, una forza mostruosa, che lo fece barcollare. Qualcuno lo riaccompagnò in camera sua, mormorando parole di conforto. Si lasciò cadere sul letto e si coprì il viso con le braccia, scosso dai singhiozzi. Sentì che Saphira lo cercava, ma la respinse e sì chiuse nel suo dolore. Non riusciva ad accettare che Garrow non ci fosse più. Con la sua morte, in che cos'altro poteva credere? Solo in un mondo spietato e indifferente, che spegneva la vita come una candela si spegne a un soffio di vento. Deluso e terrorizzato, rivolse il viso bagnato dì lacrime al cielo e gridò; «Quale dio può permettere tutto questo? Mostrati!» Sentì qualcuno che correva verso la sua stanza, ma dal cielo non giunse alcuna risposta. «Non lo meritava!»
Mani delicate lo strinsero; si rese conto che c'era Elain seduta accanto a lui. Lo tenne stretto mentre piangeva. Alla fine, esausto, Eragon scivolò suo malgrado nel sonno.
L'ARMA DI UN CAVALIERE
A
l risveglio, Eragon si sentì sopraffare dall'angoscia. Con gli occhi ancora chiusi, non riuscì a trattenere una nuova ondata di lacrime. Cercò un pensiero, una speranza che gli impedisse di scivolare nella follia. Nonposso vivere così, gemette.
Allora non farlo. Le parole di Saphira echeggiarono nella sua mente.
Come? Garrow se n'éandato per sempre! E quando arriverà il mio momento, anch'io incontrerò lo stesso fato. Gli affetti, la famiglia, le conquiste... tutto ti viene strappato via, senza lasciarti niente. Qual è il valore di ciò che facciamo?
Il valore consiste nell'atto. Il tuo valore ha fine quando ti arrendi e non provi più il desiderio di cambiare, di vivere la vita.
Ma hai parecchie strade davanti a te: scegline una e dedicati a essa anima e corpo. Saranno le azioni a darti una nuova speranza e un nuovo scopo.
Ma che cosa posso fare?
L'unica vera guida è il tuo cuore. Nulla può aiutarti, se non il suo desiderio supremo. La dragonessa lasciò che il ragazzo riflettesse su quei pensieri. Eragon esaminò le proprie emozioni. Fu sorpreso quando scoprì di provare, più che dolore, una rabbia cocente. Che cosa vuoi che faccia... devo inseguire gli stranieri?
Sì
La sua risposta diretta lo confuse. Trasse un profondo, tremante respiro. Perché?
Ricordi quello che mi hai detto sulla Grande Dorsale? Quando mi hai rammentato il mio dovere di drago, e io ti ho riportato a casa malgrado il mio istinto? Anche tu devi controllarti. Ho riflettuto molto negli ultimi giorni, e ho capito che cosa significa essere drago e Cavaliere: è il nostro destino tentare l'impossibile, realizzare grandi imprese senza timore, È la nostra responsabilità per il futuro.
Non m'importa quel che dici; non sono buoni motivi per partire! gridò Eragon.
Ce ne sono altri. Hanno visto le mie impronte e la gente comincia a sospettare la mia presenza. Alla fine mi scopriranno, E poi, qui non ti resta niente. Non hai casa, non hai famiglia, e... Roran non è morto! disse il ragazzo con foga.
Ma se resti, dovrai spiegargli che cosa è successo davvero. Lui ha il diritto di sapere come e perché suo padre è morto. Che cosa credi che farà quando saprà di me?
Gli argomenti di Saphira cominciarono a minare l'ostinazione di Eragon, ma il ragazzo continuava a rifiutare l'idea di abbandonare la Valle Palancar: quella era casa sua, E insieme, il pensiero di vendicarsi degli stranieri lo allettava con la sua ferocia. Avrò la forza di affrontare tutto questo? Avrai me.
Il dubbio lo tormentava. Era un atto assurdo, disperato. Si disprezzò per la propria indecisione e un sorriso amaro gli affiorò sulle labbra. Saphira aveva ragione. Non contava altro se non l'atto in sé. L'importante è fare . E che cosa gli avrebbe procurato più soddisfazione che braccare gli stranieri? Si sentì crescere dentro una forza terribile, che raccolse tutte le sue emozioni trasformandole in una solida spranga di rabbia, con una sola parola stampata sopra: vendetta. La testa gli pulsava mentre diceva, convinto: Lo farò.
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