Volodyk - Paolini1-Eragon.doc

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Con le zanne e gli artigli, la dragonessa dilaniò un Urgali. I suoi denti erano letali quando una spada, la sua coda un maglio gigantesco. In sella, Eragon parò il colpo di mazza di un capo Urgali, proteggendole le ali vulnerabili. Zar'roc sembrava lieta che tanto sangue scorresse lungo la sua lama cremisi.

Con la coda dell'occhio, Eragon vide Orik mozzare teste di Urgali con precisi fendenti della sua ascia. A fianco del nano c'era Murtagh su Tornac, il volto distorto da un ghigno malevolo: furente, roteava la spada, sbaragliando ogni avversario. Poi Saphira si volse, ed Eragon vide Arya scavalcare con un agile balzo il corpo senza vita di un avversario.

Un Urgali investì con furia cieca un nano ferito e si scagliò contro la zampa destra di Saphira, quella davanti. La sua spada slittò sull'armatura in.una pioggia di scintille. Eragon lo colpì alla testa, ma Zar'roc rimase impigliata nelle sue corna e gli fu strappata di mano. Eragon imprecò, e da Saphira si tuffò sull'Urgali, schiacciandogli il muso con lo scudo. Liberò Zar'roc dalle corna e fece appena in tempo a evitare la carica di un altro Urgali.

Saphira, ho bisogno di te! gridò, ma la confusione della battaglia li aveva separati. All'improvviso un Kull si avventò su di lui, con la mazza pronta a colpire. Sapendo che non avrebbe avuto il tempo di levare lo scudo per proteggersi, Eragon urlò; «Jierda!» La testa del Kull scattò all'indietro con uno schianto secco: gli si era spezzato il collo. Altri quattro Urgali placarono la sete di sangue di Zar'roc, poi Murtagh piombò con Tornac fra gli assalitori.

«Salta su!» gridò, e si sporse dal fianco del destriero per issare Eragon in sella. Galopparono verso Saphira, circondata da dodici lancieri Urgali che la pungolavano con le loro armi. Erano già riusciti a perforarle entrambe le ali, e il suo sangue bagnava il terreno. Ogni volta che si avventava contro uno degli Urgali, gli altri serravano i ranghi e le puntavano le lance contro gli occhi, costringendola a indietreggiare. Cercava di spazzare via le lance a colpi di artìgli, ma gli Urgali balzavano indietro e la evitavano.

La vista di Saphira insanguinata riempì di furia Eragon. Smontò da Tornac con un grido selvaggio e infilzò l'Urgali più vicino affondandogli Zar'roc nel petto fino all'elsa, nella frenesia di salvare la dragonessa. Il suo assalto le fornì l'occasione di liberarsi. Con un calcio fece volare via un Urgali, poi trottò verso di lui. Eragon si afferrò a una delle punte dorsali e le montò in sella. Murtagh alzò la mano in segno di saluto e si lanciò alla carica di un altro manipolo di Urgali.

In tacita intesa con Eragon, Saphira spiccò il volo e si levò sugli eserciti in lotta, cercando un attimo di tregua dalla frenesia. Il ragazzo aveva il respiro affannato, ì muscoli ancora tesi, pronti a respingere un altro attacco. Ogni fibra del suo essere formicolava di energia, e si sentiva più vivo che mai.

Saphira volò in circolo tanto a lungo da permettere a entrambi di recuperare le forze, poi scese verso gli Urgali, sfiorando il terreno per evitare di essere facilmente avvistata. Piombò sui nemici da dietro, dove erano radunati gli arcieri.

Prima che gli Urgali se ne rendessero conto, Eragon mozzò la testa di due arcieri; Saphira ne sventrò altri tre. Riprese quota in fretta al suono dell'allarme, salendo oltre la portata delle frecce. Ripeterono la tattica su un altro versante dell'esercito nemico. La velocità e la scaltrezza di Saphira, combinate con la scarsa illuminazione, rendevano quasi impossibile per gli Urgali prevedere dove avrebbe attaccato poco dopo. Eragon usava l'arco quando Saphira era in aria, ma presto si ritrovò a corto di frecce. L'unica cosa che gli rimase nella faretra fu la magia ma voleva conservarla fino al momento in cui fosse stata assolutamente necessaria.

I voli di Saphira sui combattenti fornirono a Eragon una straordinaria visione di come procedeva lo scontro. Nel Farthen Dùr erano in corso tre battaglie distinte, una per ogni tunnel aperto. Gli Urgali erano svantaggiati dalla dispersione delle forze, e dall'incapacità di far uscire tutto l'esercito in una volta dalle gallerie. Anche così, però, i Varden e i nani non riuscivano a impedire ai mostri di avanzare e ripiegavano lentamente verso Tronjheim. I difensori sembravano insignificanti contro la massa di Urgali, che erano sempre più numerosi via via che sciamavano dai tunnel. I gruppi di Urgali si stringevano intorno a diversi stendardi, ciascuno a rappresentare un clan, ma non era chiaro chi fosse il comandante in capo di tutte le truppe. I clan si ignoravano a vicenda, come se ricevessero ordini da qualcun altro. Eragon sperava di individuare presto il comandante, così da poterlo uccidere.

Rammentando gli ordini di Ajihad, prese a passare informazioni ai Gemelli. Parvero molto interessati alla notizia dell'apparente mancanza di un capo fra gli Urgali e lo interrogarono a fondo. Lo scambio fu breve e formale.

Infine i Gemelli, gli dissero: Hai l'ordine di assistere Rothgar; le cose stanno andando male per il suo battaglione.

Vado, rispose Eragon.

Saphira volò rapida verso i nani assediati, abbassandosi in direzione di Rothgar. Protetto da un'armatura d'oro, il re dei nani era alla testa di un gruppo di sudditi e brandiva Volund, il martello dei suoi antenati. La sua barba bianca catturò il bagliore delle lanterne quando il nano alzò il viso verso Saphira. Nei suoi occhi brillò una scintilla di ammirazione.

Saphira atterrò accanto ai nani e si volse per affrontare gli Urgali all'assalto. Perfino il più ardito dei Kull vacillò davanti alla sua ferocia, e questo permise ai nani di sferrare per primi l'attacco. Eragon cercò di tenere Saphira al sicuro. Il suo fianco sinistro era protetto dai nani, ma di fronte e a destra ribolliva una fiumana di nemici. Il ragazzo non ebbe pietà per loro e sfruttò ogni vantaggio, usando la magia dove Zar'roc non arrivava. Una lancia rimbalzò sul suo. scudo, ammaccandolo, lasciandogli una spalla contusa. Scrollandosi di dosso il dolore, fracassò il cranio di un Urgali, confondendo ossa e cervello con il metallo.

Guardava con timore reverenziale Rothgar che, pur molto vecchio sia per gli uomini che per i nani, in battaglia era ancora insuperabile. Nessun Urgali, che fosse Kull o altro, riusciva ad affrontare il re dei nani e le sue guardie e a sopravvivere. Ogni volta che Volund colpiva, il gong della morte suonava per un altro nemico. Dopo che una. lancia ebbe trafitto uno dei suoi guerrieri. Rothgar afferrò l'arma e con forza inaudita la rispedì al mittente, a oltre venti iarde di distanza. Un tale eroismo contagiò Eragon, che corse qualche rischio in più per dimostrarsi all'altezza del potente re. Si lanciò verso un gigantesco Kull piuttosto lontano e per poco non cadde di sella. Prima che riprendesse l'equilibrio, il Kull schivò le difese di Saphira e roteò la spada. Il colpo si abbattè sull'elmo di Eragon, spingendolo all'indietro.

Stordito, con la vista annebbiata e le orecchie ronzanti, Eragon tentò di rimettersi dritto, ma il Kull era già pronto a sferrare un altro colpo. Mentre il braccio del Kull calava, una sottile lama d'acciaio comparve all'improvviso dal suo torace. Ululando, il mostro rovinò a terra. Dietro lui sorrideva Angela.

La maga indossava un lungo manto rosso sopra una superba corazza con decori di smalto nero e verde. Portava una strana arma, un lungo bastone di legno con una lama su ciascuna estremità. Angela fece un cenno a Eragon, poi corse via, roteando il bastone spada come un derviscio. Vicino a lei c'era Solembum, sotto le sembianze di un ragazzino dai capelli irti. Impugnava un piccolo pugnale nero, i denti aguzzi scoperti in un ringhio felino.

Ancora frastornato dal colpo alla testa, Eragon riuscì a raddrizzarsi sulla sella. Saphira si alzò in volo e rimase in aria il tempo per farlo riprendere. Mentre scrutava la piana del Farthen Dùr, il ragazzo vide con suo sommo sgomento che tutti e tre i fronti versavano in cattive acque. Né Ajihad, né Jormundur, né Rothgar riuscivano a fermare gli Urgali. Erano troppi.

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