Volodyk - Paolini1-Eragon.doc
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«Molto... bene» sibilarono. Fredric seguiva nervoso la dimostrazione di magia. «Ora fai muovere la pietra in circolo.» Di nuovo Eragon si trovò a combattere contro i loro sforzi di fermarlo, e di nuovo
- con grande rabbia dei due - prevalse. Gli esercizi crebbero per complessità e difficoltà finché Eragon non fu costretto a scegliere con cautela le parole da usare. E ogni volta i Gemelli lo ostacolavano con tenacia, pur senza mostrare la minima traccia di tensione.
Fu solo grazie all'aiuto di Saphira che Eragon riuscì a resistere. In una brevissima pausa tra un esercizio e l'altro, le chiese: Perché insistono tanto? Avrebbero dovuto capire di che cosa siamo capaci fin da quando mi hanno scrutato la mente. La dragonessa inclinò la testa da un lato, pensierosa. Sai una cosa? disse lui in un lampo di comprensione. Credo che stiano sfruttando questa occasione per scoprire quali parole antiche conosco, e magari impararne di nuove. Allora parla sottovoce, in modo da non farti sentire, e usa le parole più elementari. Da quel momento in poi, Eragon pronunciò soltanto le parole più comuni per compiere gli esercizi. Ma trovare modi per farle funzionare allo stesso modo di una lunga frase richiese il suo massimo impegno. La ricompensa furono le smorfie deluse che facevano i Gemelli ogni volta che lui riusciva nel compito. Per quanto si sforzassero, non riuscirono mai a fargli usare nuove parole nell'antica lingua.
Era passata più di un'ora, ma i Gemelli non davano cenno di voler smettere, Eragon aveva caldo e una gran sete, ma non avrebbe mai dato loro la soddisfazione di chiedere una tregua. Lo sottoposero a parecchie prove: manipolazione dell'acqua, creazione e lancio di globi infuocati, cristallomanzia, giochi di destrezza con le pietre, indurimento del cuoio, congelamento di oggetti, controllo della direzione di una freccia, cura di lievi ferite. Eragon prese a domandarsi quando ancora ci voleva perché si trovassero a corto di idee.
Finalmente i Gemelli alzarono le mani e dissero: «C'è soltanto un'ultima cosa da fare. È abbastanza semplice... chiunque si ritenga esperto di magia dovrebbe riuscirci senza problemi.» Uno di loro si sfilò un anello dal dito e lo porse a Eragon. «Evoca l'essenza dell'argento.»
Eragon fissò l'anello, perplesso. Che cosa si aspettavano che facesse? Che cos'era l'essenza dell'argento? E come si evocava? Saphira non ne aveva idea, e i Gemelli si guardarono bene dal dirlo. Il ragazzo non aveva mai imparato come si dice argento nell'antica lingua, anche se sapeva che doveva far parte del nome argetlam. Preso dalla disperazione, elaborò una combinazione di ethgri, "invoca", e arget.
Si erse in tutta la sua statura, e fece appello agli ultimi residui di potere rimasti; dischiuse le labbra per parlare, quando una voce chiara e vibrante risuonò alle sue spalle.
«Basta!»
La parola gli scivolò addosso come un rivolo d'acqua fredda, eppure aveva un che di familiare, come le note accennate di una melodia nota. Si sentì formicolare la nuca. Si volse lentamente verso la sua fonte.
Arya! Una striscia di cuoio le cingeva la fronte per tenere a bada la ricca massa di capelli neri, che le ricadevano sulle spalle come una cascata di inchiostro. Al fianco portava la spada sottile, a tracolla l'arco. Le sue forme snelle erano coperte da semplici indumenti di pelle nera, troppo modesti per una figura così bella. Era più alta della maggior parte degli uomini, e il suo portamento era perfettamente equilibrato e rilassato. Il volto immacolato non rifletteva alcuno degli orrendi abusi che aveva subito.
I suoi occhi smeraldini fissavano ardenti i due Gemelli, diventati all'improvviso ancora più pallidi per la paura. Si avvicinò con passo felpato e disse in tono calmo e minaccioso: «Vergogna! Gli avete chiesto qualcosa che soltanto un maestro è in grado di fare. Vergogna! I vostri metodi sono vili e meschini. Vergogna! Avete detto ad Ajihad che non conoscete le capacità di Eragon, pur sapendo che è molto competente. Ora andatevene!» Arya aggrottò la fronte con fare minaccioso, le sopracciglia oblique aggrottate come due saette convergenti, e indicò l'anello nella mano di Eragon. «Arget!» esclamò con voce decisa.
L'argento scintillò, e un'immagine spettrale dell'anello si materializzò accanto a esso. Erano identici, anello e immagine, ma l'apparizione sembrava più pura e scintillava come metallo incandescente. A quella vista, i Gemelli si voltarono e si allontanarono in fretta, i mantelli svolazzanti sopra i calcagni. L'anello immateriale svanì dalla mano di Eragon, lasciando dietro di sé soltanto il circoletto d'argento. Orik e Fredric si irrigidirono, guardando Arya con sospetto. Saphira si accovacciò, pronta a scattare.
L'elfa li squadrò uno per uno. I suoi occhi obliqui si soffermarono su Eragon. Poi si volse e s'incamminò verso il centro del campo di addestramento. I guerrieri cessarono di allenarsi e la fissarono a bocca aperta. Sul campo aleggiava un silenzio carico di timore reverenziale. Eragon la seguì, inesorabilmente attratto dal suo fascino. Saphira gli parlò, ma lui rimase sordo ai suoi commenti. Intorno all'elfa si formò un fitto capannello di gente, ma lei, giunta al centro del campo, si voltò, guardò soltanto Eragon negli occhi ed esclamò: «Rivendico il diritto di misurarmi con te. Sfodera la spada.»
Vuole duellare con me!
Ma non desidera farti del male, credo, osservò Saphira, esortandolo con una lieve spinta del nuiso. Vai e fatti onore. Io resterò a guardare.
Eragon fece un timido passo avanti, accettando a malincuore la sfida. Si sentiva esausto dopo tutte le magie evocate per i Gemelli, e soprattutto esposto allo sguardo di tanti spettatori. Per giunta. Arya non poteva essere in condizioni di duellare: erano passati soltanto due giorni da quando aveva preso il Nettare di Tunivor. Smorzerò i colpi per non farle male , si disse.
Si fronteggiarono al centro della cerchia di guerrieri. Arya impugnò la spada con la sinistra. L'arma era più sottile di quella di Eragon, ma altrettanto lunga e affilata. Il giovane estrasse Zar'roc dal lucido fodero e mantenne la lama rossa puntata verso il basso. Per un lungo istante rimasero immobili, elfa e umano, a studiarsi a vicenda. A Eragon balenò in mente il ricordo dei tanti duelli con Brom.
Avanzò cauto. Con uno scatto fulmineo, invece. Arya si lanciò verso di lui, mirando alle costole. Eragon parò il colpo d'istinto, e le loro lame cozzarono creando una pioggia di scintille. Zar'roc schizzò da un lato come una mosca infastidita. L'elfa non approfittò della breccia nella difesa dell'avversario, ma piroettò a destra, i lunghi capelli fluttuanti, e cercò di colpire l'altro fianco. Eragon riuscì a stento a parare il colpo e indietreggiò frenetico, sbalordito dalla ferocia e dalla velocità dell'elfa.
Troppo tardi ricordò gli ammonimenti di Brom, secondo il quale anche l'elfo più debole poteva facilmente sconfiggere un umano. Aveva le stesse probabilità di sconfiggere Arya che aveva avuto con Durza. Lei attaccò ancora, questa volta mirando alla testa. Lui si abbassò sotto la lama affilata come un rasoio. Ma allora perché lei stava… giocando con lui? Per qualche secondo fu troppo impegnato a difendersi per capire, poi comprese: Vuole scoprire quanto sono bravo. A quel punto cominciò a esibirsi nella più complicata serie di attacchi che conosceva. Passava da una posizione all'altra, modificandole e ricombinandole in ogni modo possibile. Ma per quanta inventiva dimostrasse, la spada di Arya era sempre lì a bloccare la sua. Contrastava ogni sua azione con grazia disinvolta.
Impegnati in una danza feroce, i loro corpi si univano e si separavano al ritmo delle spade. A volte quasi si toccavano, i muscoli tesi ad appena un soffio di distanza, ma poi lo slancio stesso li divideva, facendoli volteggiare per poi incontrarsi ancora. Le loro forme si allacciavano e si separavano come spirali di fumo sospinte dal vento.
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