Serna Moisés De La Juan - Contatto Per La Felicità
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«Ancora meglio,» dissi, e subito tutte rimasero in silenzio.
«Meglio di un complimento alla nostra età? Dicci, perché ci interessa» commentò la prima.
«Ho conosciuto un uomo…»
«Allora presentamelo,» disse un’altra, interrompendomi dal fondo, e tutte risero di nuovo.
«Seriamente, ragazze, questo aveva uno sguardo speciale.»
«Vai avanti, continua piccola» ripeté la donna sullo sfondo e tutte risero di nuovo.
«E poi con la sua mano mi ha toccato e ho sentito un calore…»
«Ehi ragazza! C’è gente perbene davanti a te, stai diventando tutta rossa» disse la prima, interrompendomi e tutte risero di nuovo.
Mi sentivo molto a mio agio senza sapere il perché, ma a quanto pare la mia gioia contagiava le altre, perché nonostante fossimo donne avanti con gli anni, normalmente quel luogo ci serviva per discutere di ciò che ci interessava, dei problemi dei giovani, della mancanza di lavoro, di quanto fosse cara la vita…
Invece, ora stavamo ridendo a crepapelle, senza pensare a nessuna delle ansie che dovevamo affrontare quotidianamente.
Me ne andai con la sensazione di essermi divertita e di sentirmi molto bene, le mie amiche mentre mi salutavano mi dicevano che quando avrei avuto un altro giorno come questo non avrei dovuto esitare a tornare di nuovo e di chiedergli il numero di telefono, c’erano diverse candidate disposte a farsi toccare.
Camminavo per la strada come se fossi su una nuvola, ricordando e ridendo delle battute che erano state fatte dalle mie amiche, era una sensazione meravigliosa che mi avvolgeva.
A cinquant’anni, non ricordo un momento così piacevole come questo, nonostante abbia vissuto dei bei momenti, il giorno del mio matrimonio, quando ebbi mia figlia o quando questa ebbe mio nipote.
Forse quelle tre erano le più straordinarie, ma tutte e tre erano gioie da condividere con gli altri, ma ora era diverso, sentivo una felicità interiore ed ero capace di trasmetterla, come se avessi una fontana alla quale si era rotta il rubinetto e la felicità sgorgava dentro di me.
Arrivai al portone di casa mia, aprii un cancelletto di ferro, questa era una misura di sicurezza che la comunità aveva adottato per impedire alle persone dedite ai furtarelli di entrare, o almeno per rendere le cose un po’ più difficili. Comunque, ogni settimana, qualcuno si lamentava che era stato derubato, anche se era un quartiere povero.
In realtà, nelle case avevamo l’essenziale per vivere, senza alcun tipo di lusso, nonostante entrassero e rubassero quello che trovavano, potevano prendere un tostapane o una radio.
Mentre stavo prendendo l’ascensore,mi imbattei in uno di quei ragazzi difficili da trattare, un rifugiato come li chiamavo io, che trascorreva la vita lontano dagli altri per non far loro del male, perché sembravano molto scontrosi e maleducati.
Normalmente, in un altro momento mi sarei intimidita e avrei lasciato che salisse da solo per poi prendere l’ascensore appena libero, ma stavo troppo bene per avere paura, così quando l’ascensore scese, gli aprii la porta per farlo entrare. Dalla reazione e dall’espressione del suo viso egli rimase sorpreso.
«Le buone maniere sono per gli altri» dissi con un sorriso.
L’uomo mettendo una mano sulla testa tenne la porta e disse,
«Per favore, entrate prima voi.»
Lo ringraziai e passai, seguita da questi, una volta dentro, mi chiese,
«Dove andate oggi?»
«Beh, vado a trovare mio nipote, che sono sicura sarà arrabbiato perché non ha il suo cibo pronto, sapete, con i bambini.» «Non ancora,» mi rispose l’uomo con un leggero sorriso.
«Non si preoccupi, troverà chi l’amerà e vedrà quanto sarà felice quando avrà dei figli,» dissi con un ampio sorriso.
«Voi credete? A dire il vero, lo spero, ma a causa delle mie dimensioni le persone tendono a pensare che non sono facile da trattare e quasi scappano da me.»
Ciò mi sorprese, credevo che fosse lui a mantenere una certa distanza dagli altri e invece aveva un carattere affabile e simpatico, disposto a dialogare con chi gli dedicava qualche minuto.
«Se posso darti un consiglio, dovresti cambiare il tuo modo di vestire, mi piace di più il blu o il bianco per te,» gli dissi facendogli l’occhiolino.
L’ascensore arrivò al mio piano, uscii non senza salutare quel vicino con cui non avevo mai scambiato una sola parola e ora mi sembrava tanto simpatico. Aprii la porta e sentii mia figlia rimproverare mio nipote e lamentarsi del mio ritardo.
«Sono qui, calmati, mi prenderò cura di tutto,» dissi ad alta voce per farle capire che l’avevo sentita.
«Ma hai visto che ore sono? — mi rispose nervosa —. Hai idea di quanto sia tardi? Se non hai intenzione di occuparti del bambino, dimmelo e vedrò come posso lasciarlo a scuola. Sai che devo andare al lavoro e non posso occuparmi di tutto.»
«Beh, ho fatto un po’ tardi con le mie amiche, tutto qui,» dissi con un tono conciliante.
«Certo che sei oziosa come sempre, ma una di noi deve lavorare,» mi rimproverò.
«Ultimamente ho pensato di cercare un lavoro,» dissi pensierosa sapendo che ciò avrebbe potuto risolvere in qualche modo la delicata situazione finanziaria della casa.
Quel mio commento fece ammutolire mia figlia, perché sperava che mi scusassi o protestassi per le tante faccende che avevo in casa, che alla fine ci facevano litigare per ore.
Da parte mia le rinfacciai il fatto di essermi sacrificata quando ero giovane, affinché andasse avanti, dandole gli studi che altri non ebbero.
Da parte sua, mi accusò di essere egoista, ricordandomi che pagava le bollette con il suo lavoro, il che le impediva di frequentare il figlio quanto voleva senza avere la possibilità di pagare qualcuno con chi lasciarlo.
Ma qualcosa era cambiato nella nostra discussione, lei era rimasta in silenzio, pensosa, e dopo un attimo mi disse,
«Va bene, non preoccuparti, farò una cosa veloce e troveremo una soluzione. A proposito, dimentica l’idea di lavorare, non hai né l’età né la necessità, finché io sono in questa casa voglio che tu stia tranquilla.»
Ciò mi sorprese, mi rimproverava sempre di quanto fosse costoso mantenermi con tutte le spese che avevo mensilmente e invece ora sembrava scusarsi.
«Non preoccuparti, figlia mia, ora mi cambio e poi vado a cucinare, a proposito, dov’è il mio re?» Chiesi, mentre cercavo con lo sguardo mio nipote.
Mi guardò divertito e si nascose sperando di spaventarmi all’improvviso, ma io lo conoscevo bene e sapevo dove si nascondeva, così mi girai e lo trovai accovacciato dietro una porta e gli dissi,
«Ti ho trovato.»
E po’scappò verso sua madre, ridendo. Mi sembrava incredibile, non provavo da molto tempo la sensazione di vivere di nuovo con la mia famiglia. Nonostante d’anni vivessimo nello stesso tetto, non era lo stesso di adesso.
«Vuoi dell’aglio?» Sentii mia figlia che me lo domandava.
«Pochissimo, sai che non mi sento molto bene» risposi mentre mi stavo cambiando.
Quando tornai in sala da pranzo, aveva già servito il cibo e mia figlia mi disse,
«Sai a cosa stavo pensando? Questo weekend libero, se vuoi possiamo andare io e mio figlio da qualche parte, e ti lasciamo il giorno libero e fare quello che vuoi.»
«Preferirei passare del tempo con voi, da un po’ che non usciamo come una famiglia da qualche parte, anche solo andare a giocare al parco.»
Deve essere piaciuto a mia figlia, perché si avvicinò a me e mi diede un delicato bacio sulla testa.
«Voglio andare a vedere le anatre» disse mio nipote brevemente.
«Ma devi sapere — gli risposi —. Che le anatre sono molto intelligenti e sanno chi mangia tutto e chi no, vuoi che sappiano che mangi poco?»
«No, oggi mangerò tutto,» disse con un grande sorriso.
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