“Allora, Lois viene?” il papà chiese.
“Ha detto di no” Tiffany rispose, mentendo. Il padre sarebbe certo andato su tutte le furie, se Tiffany gli avesse detto di non aver ricevuto nemmeno una risposta, dopo aver bussato alla porta della camera della sorella.
“A dire il vero, non mi sorprende” la mamma esclamò, indossando i guanti. “Ho sentito la sua auto tornare molto tardi ieri sera. Non sono certa di che ora fosse.”
Tiffany provò nuovamente invidia, soltanto a sentire nominare l’auto della sorella. Lois godeva di molta libertà ora che frequentava il college! Soprattutto, a nessuno sembrava importare a che ora fosse rientrata la sera precedente. Tiffany, peraltro non l’aveva neppure sentita rincasare.
Sarò stata addormentata profondamente, pensò.
Mentre Tiffany si accingeva ad indossare il cappotto, il padre brontolò: “Voi due ci state mettendo una vita. Faremo tardi per la messa.”
“Arriveremo in tempo” la mamma rispose con tranquillità.
“Vado a mettere in moto l’auto” il padre esclamò; poi aprì la porta e uscì.
Tiffany e la madre uscirono insieme, seguendolo.
L’aria fredda investì brutalmente la ragazza. Il manto di neve, caduta qualche giorno prima, ricopriva ancora la terra.
Tiffany avrebbe voluto stare ancora al caldo, sotto le coperte. Era una brutta giornata per andare da qualsiasi parte.
Improvvisamente, sentì la madre sussultare.
“Lester, che cos’è stato?” la donna si rivolse al marito.
Tiffany vide il padre stare fermo di fronte alla porta aperta del garage. Guardava all’interno, con gli occhi e la bocca spalancati. Sembrava sbalordito e scioccato.
“Che cosa succede?” la moglie chiese di nuovo.
L’uomo si voltò a guardarla. Sembrava non essere in grado di pronunciare una sola parola.
Infine, disse d’impulso: Chiama il nove-uno-uno.”
“Perché?” la moglie rispose.
Il padre non aveva fornito alcuna spiegazione. Si diresse all’interno del garage. La madre avanzò e, appena arrivata davanti alla porta aperta, emise un urlo che paralizzò a morte Tiffany.
La madre si precipitò nel garage.
Per un lungo momento, Tiffany restò immobile.
“Che cosa c’è?” la ragazza gridò.
Sentì la voce singhiozzante della madre, proveniente dal garage: “Torna in casa, Tiffany.”
“Perché?” Tiffany rispose gridando.
La madre uscì di corsa dal garage. Afferrò il braccio di Tiffany e provò a spingerla via, per farla rientrare in casa.
“Non guardare” disse. “Torna dentro.”
Tiffany riuscì a liberarsi dalla stretta materna, e corse all’interno del garage.
Le ci volle un momento per realizzare il tutto. Tutte e tre le auto erano parcheggiate lì. Nell’angolo sul retro, a sinistra, il padre stava maldestramente lottando con una scala a pioli.
C’era qualcosa appeso lì con una corda, legato ad una trave del tetto.
Era una persona.
Era sua sorella.
CAPITOLO UNO
Riley Paige si era appena seduta a tavola per cenare, quando sua figlia disse qualcosa che la scosse profondamente.
“Non siamo l’immagine della famiglia perfetta?”
Riley guardò April, il cui viso era diventato rosso per l’imbarazzo.
“Accidenti, l’ho detto ad alta voce?” April esclamò imbarazzata. “Sono stata per caso sdolcinata?”
Riley scoppiò a ridere e si guardò intorno al tavolo. Il suo ex-marito, Ryan, era seduto all’altra estremità. Alla sinistra della donna, la figlia quindicenne April sedeva accanto alla governante, Gabriela. Alla sua destra invece, c’era la nuova arrivata, la tredicenne Jilly.
April e Jilly avevano appena preparato gli hamburger per la cena di domenica, offrendo a Gabriela una pausa dalla cucina.
Ryan morse il suo hamburger, poi disse: “Allora, siamo una famiglia, non è vero? Voglio dire, guardiamoci.”
Riley non aggiunse nulla.
Una famiglia, pensò. E’ ciò che siamo davvero?
Quell’idea la colse leggermente di sorpresa. Dopotutto, lei e Ryan si erano separati quasi due anni prima, ed erano divorziati ormai da sei mesi. Sebbene stessero di nuovo trascorrendo del tempo insieme, Riley aveva evitato di riflettere a dove ciò li avrebbe condotti. Si era messa alle spalle anni di dolore e tradimento, per potersi godere un sereno presente.
Poi, c’era April, la cui adolescenza si stava dimostrando certamente impegnativa. Il suo desiderio di famiglia sarebbe durato?
Riley era ancora più incerta su Jilly. L’aveva trovata ad una fermata per camion a Phoenix, mentre provava a vendere il proprio corpo ai camionisti, e l’aveva sottratta ad una vita terribile e ad un padre violento; ora sperava di adottarla. Ma Jilly era ancora una ragazza complicata, e le cose erano delicate con lei.
L’unica persona a tavola, di cui Riley si sentiva sicura, era Gabriela. La robusta guatemalteca lavorava per la famiglia da molto tempo prima del divorzio. Gabriela era sempre stata responsabile, affidabile ed amorevole.
“Che cosa ne pensi, Gabriela?” Riley chiese.
La governante sorrise.
“Un famiglia si può scegliere, non ereditare soltanto” disse. “Il sangue non è tutto. L’amore è ciò che conta.”
Improvvisamente, Riley si sentì avvolgere dal calore. Poteva sempre contare sul fatto che Gabriela dicesse quello che occorreva. Osservò con un nuovo senso di soddisfazione le persone che la circondavano.
Dopo essere stata in ferie dal BAU per un mese, si stava godendo la vita domestica nella sua casa di città.
E mi sto godendo la mia famiglia, pensò.
Poi, April aggiunse una nuova frase che la sorprese.
“Papà, quando ti trasferirai da noi?”
Ryan sembrò piuttosto sorpreso. Come faceva sempre, Riley si domandò se questo nuovo momento fosse troppo bello per durare.
“E’ un argomento molto serio per discuterne al momento” Ryan rispose.
“Perché?” la ragazza chiese al padre. “Potresti benissimo vivere qui. Voglio dire, tu e mamma dormite di nuovo insieme, e tu sei qui quasi ogni giorno.”
Riley sentì il suo volto arrossire.
Scioccata, Gabriela diede ad April una forte gomitata. “¡Chica! ¡Silencio!” esclamò.
Jilly si guardò intorno, sorridendo a trentadue denti.
“Ehi, è un’idea grandiosa” disse. “Allora sì che prenderei dei buoni voti.”
Era vero, Ryan stava aiutando Jilly a rimettersi in pari nella sua nuova scuola, specialmente con le materie umanistiche. Era stata davvero molto utile a tutte loro negli ultimi mesi.
Lo sguardo di Riley incontrò quello di Ryan. Vide che anche lui stava arrossendo.
Per quanto la riguardava, non sapeva che cosa dire. Doveva ammettere di trovare l’idea accattivante. Si stava abituando al fatto che Ryan trascorresse con lei la maggior parte delle notti. Tutto era andato facilmente al suo posto, forse fin troppo facilmente. O, forse, parte della sua serenità proveniva dal fatto di non dover prendere alcuna decisione al riguardo.
Ricordò come April avesse definito la loro situazione pochi istanti prima.
“L’immagine della famiglia perfetta.”
Sicuramente apparivano così in quel momento. Ma Riley non riusciva a non sentirsi a disagio. Tutta quella perfezione era soltanto un’illusione? Proprio come leggere un buon libro o guardare un bel film?
Riley era fin troppo consapevole di ciò che avveniva nel mondo, che era popolato da mostri. Aveva dedicato la sua vita professionale a combatterli. Ma, nel corso dell’ultimo mese, era stata quasi capace di fingere che non esistessero.
Un sorriso attraversò lentamente il volto di Ryan.
“Ehi, perché non ci trasferiamo tutti da me?” disse. “C’è abbastanza spazio per tutti.”
Riley soffocò a stento un moto d’ansia.
L’ultima cosa che desiderava era tornare nella grande casa di periferia che aveva condiviso per anni con Ryan. Era davvero piena di sgradevoli ricordi.
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