Blake Pierce - Oscurita’ Perversa

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OSCURITA' PERVERSA è il libro #3 nella serie thriller di successo dei misteri di Riley Paige, che comincia con IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1) ! Quando delle prostitute vengono trovate morte a Phoenix, non viene prestata molta attenzione. Ma scoperta una scia di omicidi inquietanti, la polizia locale presto realizza che c’è un serial killer a piede libero, ed è vicino. Data la natura peculiare dei crimini, l’FBI, di cui viene richiesto l’intervento, è consapevole di aver bisogno della mente più brillante per risolvere il caso: l’Agente Speciale Riley Paige. Riley, che si sta riprendendo dal suo ultimo caso e sta provando a rimettere insieme i pezzi della sua vita, è inizialmente riluttante. Ma quando nota la natura seriale dei crimini e si rende conto che il killer presto colpirà di nuovo, si lascia convincere. Comincia la sua caccia al killer sfuggente, che porterà la donna molto lontano – forse davvero troppo, per tornare indietro. La ricerca di Riley la condurrà nel mondo inquietante fatto di prostitute, famiglie divise e sogni infranti. Quando un’adolescente viene rapita, Riley, in una frenetica corsa contro il tempo, lotta per esplorare la mente del killer. Ma quello che scopre, la conduce ad una svolta che si rivela persino più scioccante di quanto lei stessa immaginava. Un thriller psicologico caratterizzato da una suspense mozzafiato, ONCE CRAVED è il libro #3 in una nuova serie affascinante – con un nuovo amato personaggio – che vi terrà attaccati alle pagine fino a tardi. Il libro #4 nella serie di Riley Paige sarà presto disponibile.

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“Come potevo sapere dove fossi?”

“Non pensavo che fossi rientrata.”

Riley si sentì urlare, ma non riusciva a smettere. “Non m’importa che cosa hai pensato. Non stavi pensando. Devi sempre informarmi …”

Le lacrime che rigarono il volto di April finalmente la interruppero.

Riley riprese fiato, corse verso la ragazza e l’abbracciò. All’inizio, il corpo di April era rigido per la rabbia, ma Riley lo sentì rilassarsi lentamente e si rese conto che ora piangevano entrambe.

“Mi dispiace” Riley disse. “Mi dispiace. E’ solo che ne abbiamo passate così tante … tante cose terribili.”

“Ma è tutto finito ora” April rispose. “Mamma, è tutto finito.”

Si sedettero entrambe sul divano. Era nuovo, acquistato quando si erano trasferite lì. Lo aveva preso per la sua nuova vita.

“So che è tutto finito” Riley disse. “So che Peterson è morto. Sto provando ad abituarmici.”

“Mamma, tutto va bene ora. Non devi preoccuparti per me, ogni minuto. E non sono una stupida ragazzina. Ho quindici anni.”

“E sei molto intelligente” Riley aggiunse. “Lo so. Devo soltanto ricordarmelo. Ti voglio bene, April” disse. “Ecco perché vado fuori di testa qualche volta.”

“Anch’io ti voglio bene, mamma” la ragazza disse. “Non dovresti preoccuparti così tanto.”

Riley fu felice di vedere sua figlia sorridere di nuovo.

April era stata rapita, tenuta prigioniera, e minacciata con quella fiamma. Ora sembrava essere tornata un’adolescente perfettamente normale, sebbene sua madre non avesse ancora riacquistato il proprio equilibrio.

Inoltre, Riley non riusciva a fare a meno di chiedersi se i ricordi oscuri ancora popolassero la mente di sua figlia, in attesa di emergere.

Per quanto riguardava se stessa, sapeva che aveva bisogno di parlare con qualcuno delle sue paure e di quegli incubi ricorrenti. E doveva farlo in fretta.

Capitolo Sei

Riley non smetteva di agitarsi sulla sedia, provando a immaginare che cosa dovesse dire a Mike Nevins. Si sentiva turbata e nervosa.

“Prendi il tuo tempo” le aveva suggerito lo psichiatra, facendosi più vicino a lei e guardandola con preoccupazione.

Riley rise sommessamente, con tristezza. “Questo è il problema” rispose. “Non ho tempo. Sto cincischiando e, invece, ho una decisione da prendere. Ho già rimandato troppo. Avresti mai detto che io fossi così indecisa?”

Mike non rispose. Si limitò a sorridere, premendo i polpastrelli delle dita gli uni contro gli altri.

Riley era abituata a quel tipo di silenzio da parte di Mike. Quell’uomo elegante e pignolo aveva ricoperto molti ruoli per lei nel corso degli anni: amico, terapeuta e a volte persino mentore. In passato lo aveva chiamato spesso, per avere un suo parere sulla mente malvagia di un criminale. Ma questa visita era diversa. Lo aveva chiamato la sera precedente, dopo essere tornata a casa in seguito all’esecuzione, ed era andata al suo ufficio di Washington DC quella mattina.

“Allora, che cosa ti preoccupa?” infine le domandò.

“Ecco, immagino di dover decidere che cosa fare per il resto della mia vita: insegnare o essere un’agente sul campo. O magari qualcosa di diverso.”

Mike sorrise lievemente. “Aspetta un minuto. Non dobbiamo pianificare il tuo intero futuro oggi. Concentriamoci sul presente. Meredith e Jeffreys vogliono che tu segua un caso. Soltanto un caso. Non è o/o. Nessuno dice che devi smettere di insegnare. E tutto quello che devi fare è dire sì o no per questa volta. Quindi, qual è il problema?”

Riley rimase in silenzio, a sua volta. Non sapeva quale fosse il problema. Ecco perché era lì.

“Suppongo che tu abbia paura di qualcosa” azzardò Mike.

Riley deglutì forte. Era così. Aveva paura. Aveva rifiutato di ammetterlo, persino a se stessa. Ma ora, Mike l’avrebbe aiutata a parlarne.

“E di che cosa hai paura?” Mike chiese. “Hai detto che stai avendo degli incubi.”

Riley continuò a restare silenziosa.

“Suppongo che tutto questo abbia a che fare con la PTSD” Mike osservò. “Hai ancora dei flashback?”

Riley si aspettava quella domanda. Dopotutto, Mike era colui che più si era adoperato per farle superare il trauma di un’esperienza orribile.

Appoggiò la testa allo schienale della sedia e chiuse gli occhi. Per un momento, si trovò di nuovo nell’oscura prigione in cui l’aveva rinchiusa Peterson e lo vide di nuovo minacciarla con la fiamma al propano.

Per mesi, dopo che Peterson l’aveva tenuta prigioniera, quel ricordo si era costantemente manifestato nella sua mente.

Ma, alla fine, aveva rintracciato Peterson e lo aveva ucciso lei stessa, colpendolo ripetutamente fino a lasciarlo a terra, sfigurato e senza vita

Se non è la fine di questa vicenda, allora non so che cosa sia, pensò.

Ora i ricordi sembravano impersonali, come se stesse assistendo alla rappresentazione della storia di qualcun altro.

“Sto meglio” Riley ammise. “Gli incubi sono più brevi e più rari.”

“E che cosa mi dici di tua figlia?”

Quella domanda fu come una coltellata per Riley. Sentì un’eco dell’orrore che aveva vissuto, quando Peterson aveva catturato April. Poteva ancora sentire risuonare nella mente le grida di aiuto della ragazza.

“Immagino di non avere ancora superato questa cosa” disse. “Mi sveglio, terrorizzata all’idea che sia stata di nuovo rapita. Devo andare in camera sua, e assicurarmi che sia lì e che stia bene e che stia dormendo.”

“E’ per questo che non vuoi seguire un altro caso?”

Riley trasalì profondamente. “Non voglio metterla di nuovo in una situazione simile.”

“Questo non risponde alla mia domanda.”

“No, immagino di no” ammise Riley.

Rimasero di nuovo in silenzio, poi il terapeuta riprese. “Ho la sensazione che ci sia dell’altro. Che cosa ti provoca gli incubi? Che cos’altro ti sveglia di notte?”

Improvvisamente, una paura nascosta si fece strada nella sua mente.

Sì, c’era dell’altro.

Persino ora, ad occhi spalancati, riusciva a vedere il suo volto: il viso infantile, grottescamente innocente di Eugene Fisk con i suoi piccoli occhi brillanti. Riley aveva guardato in quegli occhi durante lo scontro finale, era scesa in profondità …

L’assassino aveva tenuto Lucy Vargas con un rasoio alla gola. In quel momento, Riley aveva affrontato le sue paure più grandi. Aveva parlato delle catene: quelle che l’assassino credeva gli parlassero, costringendolo a commettere un omicidio dopo l’altro, incatenando donne e squarciando loro la gola.

“Le catene non vogliono che tu prenda questa donna” Riley gli aveva detto. “Lei non è quello di cui hanno bisogno. Sai ciò che le catene vogliono che tu faccia, invece.”

Con gli occhi ormai gonfi di lacrime, l’assassino aveva annuito e si era dato la morte nello stesso modo in cui aveva ucciso le sue vittime.

Si era squarciato la gola proprio davanti agli occhi di Riley.

E adesso, seduta lì nell’ufficio di Mike Nevins, Riley era quasi annegata nel suo stesso orrore.

“Ho ucciso Eugene” esclamò con un sussulto.

“Intendi dire il killer delle catene. Ecco, non è stato il primo uomo che hai ucciso.”

Era vero: aveva ucciso altre volte. Ma, con Eugene, era stato molto diverso. Aveva pensato alla sua morte molto spesso, ma non aveva mai parlato con nessuno dell’argomento prima d’ora.

“Non ho usato una pistola, una pietra o i miei pugni” rispose. “L’ho ucciso con la comprensione, con l’empatia. La mia stessa mente è un’arma mortale. Non lo sapevo prima. Questo mi terrorizza, Mike.”

L’uomo annuì, con fare comprensivo. “Sai che cosa diceva Nietzsche sul guardare troppo a lungo nell’abisso?” le domandò.

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