Jack Mars - Contro Ogni Nemico

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Uno dei migliori thriller che abbia letto quest’anno. La trama è intelligente, e aggancia dal primo momento. L’autore ha fatto un lavoro superbo nel creare una serie di personaggi pienamente sviluppati e davvero interessanti. Non vedo l’ora di leggere il seguito. Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su A ogni costo) CONTRO OGNI NEMICO è il libro 4 della serie thriller best-seller di Luke Stone, che comincia con A OGNI COSTO (libro 1), un libro scaricabile gratuitamente con più di 250 recensioni a cinque stelle! Da una base NATO situata in Europa è stato rubato un piccolo arsenale di armi nucleari statunitensi. Il mondo si danna per cercare di capire chi siano i colpevoli e quale sia il loro obiettivo – e per fermarli prima che scatenino l’inferno sull’umanità. Con poche ore a disposizione prima che sia troppo tardi, la presidente non ha altra scelta che chiamare Luke Stone, l’ex capo di una squadra paramilitare d’élite dell’FBI. Dato che sta finalmente cercando di rimettere ordine nella sua vecchia vita, e che deve affrontare devastanti notizie sul fronte familiare, Luke non vuole il lavoro. Ma con la nuova donna presidente eletta alla disperata ricerca di aiuto, capisce di non poterle voltare le spalle. Nella mozzafiato caccia del gatto col topo che segue, Luke, Ed e la sua ex squadra dovranno essere più audaci, e infrangere più regole, di prima. Con il destino del mondo a rischio, Luke si inoltra nella torbida nebbia della guerra e dello spionaggio, e scopre che il colpevole non è chi pensa lui, alla fine. Thriller politico con azione non-stop, ambientazioni internazionali drammatiche e suspense mozzafiato, CONTRO OGNI NEMICO è il libro 4 della serie best-seller e acclamata dalla critica di Luke Stone, un’esplosiva nuova serie che vi costringerà a girare pagina fino a tarda notte. Il libro 5 della serie di Luke Stone sarà presto disponibile.

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Fece ondeggiare la testa da un lato all’altro, prendendolo in giro. “Oh, scusami, tesoro,” disse con una bassa e caricaturale voce maschile. “Devo scappare a salvare il mondo. Non si sa se da qui a tre giorni sarò vivo o morto. Cresci il bambino per me, okay? Sto solo facendo il mio dovere patriottico.”

Ribolliva di rabbia. La voce le tornò normale. “Fai così perché è divertente, Luke. Fai così perché sei irresponsabile. Te la godi. Per te, conseguenze non ci sono. Non ti interessa se vivi o muori, e tutti gli altri devono avere a che fare con le ricadute e lo stress.”

Scoppiò in lacrime. “Con te ho finito. Finito.” Agitò una mano nella sua direzione. “Sono sicura che l’uscita ti ricordi dov’è. Quindi vattene. Okay? Va’ via. Lasciami morire in pace.”

Con ciò, lasciò la stanza. Trascorse un momento di silenzio, e poi Luke la udì singhiozzare nella camera padronale in fondo al corridoio.

Rimase lì in piedi per un lungo istante, non sapendo che fare. Gunner sarebbe stato a casa in un paio di ore. Non era una buona idea lasciarlo lì con Becca, ma non sapeva se aveva una gran scelta. Aveva lei la custodia. Lui aveva il diritto di visita. Se in quel momento si fosse portato via Gunner, senza il permesso di lei, tecnicamente sarebbe stato rapimento.

Sospirò. Quando mai la mancanza dei diritti legali di una situazione l’aveva fermato?

Luke era smarrito. Sentiva l’energia abbandonarlo. E ancora non avevano spiegato nulla al bambino. Forse avrebbe dovuto chiamare i genitori di Becca e parlarci. La verità era che Becca aveva gestito quasi tutti i dettagli domestici durante la loro relazione. Forse aveva ragione su di lui – lui era più a suo agio fuori nel mondo, a giocare a guardie e ladri con persone molto pericolose. C’erano delle persone che si preoccupavano per lui, lo sapeva, ma non se ne curava. Che razza di persona viveva così? Forse una persona che non era mai cresciuta.

Sul tavolo di vetro vicino al sofà, il suo telefono cominciò a squillare. Lo guardò. Come spesso accadeva, sembrava quasi che fosse vivo, una vipera pericolosa da toccare.

Lo raccolse. “Stone.”

In linea c’era una voce maschile.

“Resti in attesa per parlare con la presidente degli Stati Uniti.”

Alzò lo sguardo, e Becca adesso stazionava sulla soglia. Apparentemente aveva sentito il telefono suonare. Era tornata di nuovo, pronta ad ascoltare la conversazione per confermare tutti i peggiori sentimenti che provava nei suoi confronti. Per un secondo giusto, Luke si sentì pieno di livore nei suoi confronti – Becca aveva intenzione di aver ragione su di lui, a prescindere. Fin dentro alla tomba, aveva intenzione di coglierlo in flagrante.

Adesso giunse la voce di Susan Hopkins.

“Luke, ci sei?”

“Salve, Susan.”

“Da quanto tempo, agente Stone. Come stai?”

“Sto bene,” disse. “Tu?”

“Bene,” disse, ma il tono della voce diceva qualcos’altro. “Tutto okay. Senti, mi serve il tuo aiuto.”

“Susan…” cominciò lui.

“È una cosa di una giornata, ma è molto importante. Mi serve qualcuno che possa chiuderla rapidamente, e con assoluta discrezione.”

“Di cosa si tratta?”

“Non posso parlarne al telefono,” disse. “Puoi venire?”

Gli crollarono le spalle. Accidenti.

“Va bene.”

“Tra quanto puoi arrivare?”

Guardò l’orologio. Gunner sarebbe stato a casa in un’ora e mezza. Se voleva trascorrere del tempo con suo figlio, la riunione avrebbe dovuto aspettare. Se andava alla riunione…

Sospirò.

“Arrivo il prima possibile.”

“Bene. Mi assicurerò che ti portino dritto da me.”

Luke riappese. Guardò Becca. C’era qualcosa di crudele e di derisorio nei suoi occhi. C’era un demone lì, che danzava su un lago di fuoco.

“Dove stai andando, Luke?”

“Lo sai dove sto andando.”

“Oh, non rimarrai qui per passare un po’ di tempo con tuo figlio? Non farai il buon padre? Che sorpresa. Cavolo, avrei pensato…”

“Becca, smettila. Okay? Mi dispiace che tu…”

“Perderai la custodia di Gunner, Luke. Parti di continuo in missione, no? Be’, indovina un po’. Ho intenzione di fare di te la mia missione. Quel ragazzino non lo vedrai neanche. Ci lavorerò col mio ultimo respiro. Lo cresceranno i miei, e tu non avrai accesso a lui. Lo sai perché?”

Luke puntò alla porta.

“Addio, Becca. Buona giornata.”

“Te lo dico io il perché, Luke. Perché i miei genitori sono ricchi! Adorano Gunner. E tu a loro non piaci. Pensi di poter battere i miei in una battaglia legale, Luke? Io credo di no.”

Era per metà fuori, ma si fermò e si voltò.

“È questo che vuoi fare del tempo che ti rimane?” disse. “È questo che vuoi essere?”

Lei lo fissò.

“Sì.”

Luke scosse la testa.

Non la riconosceva più, se mai l’aveva conosciuta.

E con ciò, se ne andò.

CAPITOLO QUATTRO

23:50 ora dell’Europa orientale (17:50 ora legale orientale)

Alessandropoli, Grecia

Si trovavano a trenta miglia dal confine turco. L’uomo controllò l’orologio. Quasi mezzanotte.

Presto, ancora presto.

Si chiamava Brown. Era un nome che non era un nome, per qualcuno che era scomparso molto tempo prima. Brown era un fantasma. Aveva una grossa cicatrice lungo la guancia sinistra – un proiettile che l’aveva appena mancato. Portava un taglio di capelli a spazzola. Era grande e forte, e aveva i lineamenti affilati di chi aveva trascorso tutta la vita adulta nelle operazioni speciali.

Un tempo Brown era conosciuto con un altro nome – col suo vero nome. Col passare del tempo, il nome era cambiato. A un certo punto era passato per così tanti nomi da non riuscire a ricordarseli tutti. L’ultimo era il suo preferito: Brown. Nessun nome di battesimo, nessun cognome. Solo Brown. Brown bastava e avanzava. Era un nome evocativo. Gli ricordava le cose morte. Le foglie morte nel tardo autunno. Gli alberi morti dopo un test nucleare. I marroni occhi morti spalancati e fissi delle molte, molte persone che aveva ucciso.

Tecnicamente, Brown era in fuga. Era finito sul lato sbagliato della storia circa sei mesi prima, su un lavoro che non gli era neanche stato spiegato. Aveva dovuto lasciare il suo paese di origine in fretta e sparire. Ma dopo un periodo di insicurezza, era tornato in piedi di nuovo. E, come sempre, c’era moltissimo lavoro da fare, soprattutto per un uomo con la capacità di ripresa che aveva lui.

Adesso, poco prima della mezzanotte, se ne stava fuori da un magazzino in una sezione malmessa del distretto portuale di quella città marittima. Il magazzino era circondato da un’alta recinzione sormontata da filo spinato, ma il cancello era aperto. Una fredda nebbia giungeva dal mar Mediterraneo.

Con lui c’erano due uomini, entrambi con addosso giacche in pelle, ed entrambi con mitra Uzi assicurati alle spalle, e scorte extra. Quelli sarebbero stati quasi identici, solo che uno di loro si era rasato completamente la testa.

Fuori sulla strada, si avvicinavano dei fanali.

“Occhi aperti,” disse Brown. “Adesso arrivano i guerrieri santi.”

Un furgoncino risaliva il viale deserto. C’era un’immagine gigante di arance lungo la fiancata, una di queste affettata a metà a esibire la brillante polpa rosso arancio del frutto. Sulla fiancata del furgone c’erano delle parole in greco, probabilmente il nome di un’azienda, ma Brown il greco non lo sapeva leggere.

Il furgone raggiunse il cancello e proseguì dritto nel giardino. Uno degli uomini di Brown si avvicinò e fece scivolare il cancello sui binari, poi lo chiuse a chiave con un pesante lucchetto.

Non appena il furgone si fu fermato, due uomini smontarono dalla cabina. Si aprì il portellone posteriore, e ne uscirono altri tre. Quegli uomini avevano la pelle scura, probabilmente erano arabi, ma erano rasati. L’uniforme che indossavano consisteva in blue jeans, leggere giacche a vento e sneakers.

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