1 ...8 9 10 12 13 14 ...18 “E le nostre catene?” gli sussurrò quando si fu accertata che il supervisore non li stava guardando.
Loc le fece cenno con la testa.
“La sua sella,” le rispose. “Guarda meglio.”
Loti guardò e vide una spada che penzolava dalla sella, quindi capì che potevano usarla per tagliare le catene. Avrebbero potuto liberarsi di quel posto.
Sentendo per la prima volta un senso di ottimismo da quando erano stati catturati, Loti diede un’occhiata agli altri schiavi che si trovavano in cima al picco. Erano tutti uomini e donne distrutti, noncurantemente chini ai loro compiti, nessuno con un briciolo di senso di sfida rimasto negli occhi. Capì subito che nessuno di loro avrebbe costituito il minimo aiuto per la loro causa. Ma andava bene così: non avevano bisogno di aiuto. Avevano solo bisogno di una possibilità, e tutti questi altri schiavi potevano servire da distrazione.
Loti sentì un ultimo forte calcio alla base della schiena ed inciampò in avanti atterrando di faccia nella polvere mentre raggiungevano il picco del crinale. Sentì delle mani rudi che la trascinavano di nuovo in piedi e si voltò vedendo il supervisore che la spingeva con forza prima di voltarsi e ridiscendere il pendio lasciandoli lì.
“Mettetevi in riga!” gridò un nuovo supervisore, l’unico in cima al rilievo.
Loti sentì le sue mani callose che la prendevano per il retro del collo e la spingevano. Le catene tintinnarono mentre lei si affrettava in avanti, inciampando nel campo di lavoro degli schiavi. Le porsero una lunga zappa con l’estremità di ferro e poi il supervisore le diede un’ultima spinta aspettandosi di vederla iniziare a dissodare la terra insieme agli altri.
Loti si voltò, vide Loc che le faceva un cenno significativo e si sentì ardere nelle vene: capì che era ora o mai più.
Lanciò un grido, sollevò la zappa e la fece roteare calandola con tutta la sua forza. Fu scioccata sentendo il colpo e vedendo che andava a conficcarsi dietro alla testa del supervisore.
Loti l’aveva brandita così rapidamente, con tale decisione che non si era chiaramente aspettata quel risultato. Era chiaro che nessuno schiavo lì, sorvegliati dai supervisori e senza nessun posto dove andare, avrebbe mai osato fare una mossa del genere.
Loti sentì la vibrazione della zappa nelle mani e lungo le braccia e guardò scioccata prima e soddisfatta poi mentre la guardia cadeva in avanti. Con la schiena che ancora bruciava per le frustate si sentì come vendicata.
Suo fratello le si avvicinò, sollevò anche la sua zappa e mentre il supervisore iniziava ad agitarsi calò gliela calò sulla testa.
Alla fine l’uomo rimase immobile.
Respirando affannosamente e ricoperta di sudore, con il cuore che le batteva a mille, Loti lasciò cadere incredula la zappa, spruzzata dal sangue del supervisore, e si scambiò un’occhiata con suo fratello. Ce l’avevano fatta.
Loti poteva sentire le occhiate curiose degli altri schiavi attorno a lei e voltandosi vide che la stavano guardando tutti a bocca aperta. Stavano tutti appoggiati alle loro zappe senza più lavorare e li osservavano con orrore e incredulità.
Loti sapeva di non avere tempo da perdere. Corse con Loc accanto, sempre incatenati insieme, fino alla zerta; prese la spada lunga dalla sella con entrambe le mani, la sollevò in alto e si voltò
“Fai attenzione!” gridò a Loc.
Lui si preparò mentre lei la abbassava con tutta la sua forza e tagliava le catene. Sprizzò scintille e lei sentì la soddisfacente libertà delle catene tagliate.
Si voltò per andarsene, ma udì un grido.
“E noi!?” gridò una voce.
Loti si girò e vide altri schiavi che correvano verso di lei tendendo le catene. Si voltò di nuovo e vide la zerta che aspettava, sapendo che il tempo era prezioso. Voleva andare verso est il prima possibile, dirigersi verso Volusia, l’ultimo posto dove sapeva che Dario stava andando. Forse l’avrebbe trovato lì. Ma allo stesso tempo non poteva sopportare di vedere i suoi fratelli e sorelle incatenati.
Loti corse in avanti attraverso la folla di schiavi tagliando catene a destra e a sinistra fino a che tutti furono liberi. Non sapeva dove sarebbero andati ora, ma almeno avevano la libertà di fare ciò che desideravano.
Loti si voltò, montò sulla zerta e porse una mano a Loc. Lui le diede la mano buona e lei lo tirò in sella, poi diede un deciso colpo ai fianchi dell’animale.
Mentre partivano Loti era entusiasta della sua libertà e in lontananza poteva già udire le grida dei supervisori dell’Impero che l’avevano vista. Ma non aspettò. Si voltò e indirizzò la zerta giù dal pendio, dalla parte opposta, galoppando nel deserto, lontano dai supervisori, verso la sua libertà.
Dario sollevò lo sguardo scioccato fissando negli occhi l’uomo misterioso inginocchiato davanti a lui.
Suo padre.
Mentre lo guardava negli occhi il senso del tempo e dello spazio svanirono e tutta la sua vita si immobilizzò per un momento. Tutto tornò improvvisamente a posto: quella sensazione che Dario aveva avuto fin dall’inizio, dal primo momento in cui aveva posato lo sguardo su di lui. L’aspetto familiare, quella certezza che gli aveva scosso la coscienza e che l’aveva pungolato fin dal loro primo incontro.
Suo padre.
La parola stessa non sembrava neppure reale.
Eccolo lì, inginocchiato su di lui dopo avergli appena salvato la vita parando un colpo mortale da parte di quella bestia dell’Impero, un colpo che di certo l’avrebbe ucciso. Aveva rischiato la sua vita per entrare lì, solo, in quell’arena, proprio nel momento in cui Dario stava per morire.
Aveva rischiato tutto per lui. Per suo figlio. Ma perché?
“Padre,” disse Dario, più un sussurro che una voce, colmo di ammirazione.
Dario provò un’ondata d’orgoglio rendendosi conto che era legato a quell’uomo, a quel bravo guerriero, il più bravo che mai avesse incontrato. Gli faceva sentire che forse anche lui sarebbe potuto essere un bravo guerriero.
Suo padre allungò una mano e lo strinse con decisione. Lo tirò in piedi e Dario si sentì rinnovato. Si sentiva come se ci fosse un motivo per combattere, un motivo per andare avanti.
Subito raccolse la sua spada caduta a terra, si voltò e insieme a suo padre affrontò l’orda di soldati dell’Impero che stava sopraggiungendo. Ora che le mostruose creature erano tutte morte, uccise da suo padre, era suonato un corno e l’Impero aveva spedito fuori una marea di soldati.
La folla ruggì e Dario guardò gli orribili volti dei soldati dell’Impero che stavano per piombare loro addosso brandendo lunghe lance. Dario si concentrò e sentì il mondo che rallentava mentre si preparava a combattere per la sua vita.
Un soldato lo attaccò e gli tirò una lancia contro il volto, ma Dario la schivò prima che gli colpisse l’occhio, poi ruotò e mentre il soldato si avvicinava lo placcò colpendolo alla tempia con l’elsa della spada e mandandolo a terra. Schivò un altro colpo di spada da parte di un soldato e attaccò di lato buttandosi in avanti e trafiggendolo al ventre.
Un altro soldato lo attaccò di lato puntandogli la lancia contro il costato, muovendosi troppo velocemente perché Dario potesse reagire. Ma si sentì il rumore di legno che andava a scontrarsi con il metallo e voltandosi Dario fu grato di vedere che suo padre era apparso usando il bastone per bloccare la lancia prima che lo colpisse. Poi si fece avanti e colpì il soldato in mezzo agli occhi mandandolo a terra.
Suo padre ruotò con il bastone e affrontò il gruppo di aggressori: il clic clac del suo bastone riempiva l’aria mentre deviava un colpo di lancia dopo l’altro. Suo padre danzava tra i soldati come una gazzella ondeggiante in mezzo agli uomini, e brandiva il suo bastone con una tale grazia, ruotando e colpendo i soldati espertamente, con colpi ben assestati alla gola, tra gli occhi, al diaframma, e facendoli cadere da ogni parte. Era come un fulmine.
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