Morgan Rice - Sogno Da Mortali

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Sogno Da Mortali: краткое содержание, описание и аннотация

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L’ANELLO DELLO STREGONE ha tutti gli ingredienti per un successo immediato: intrighi, complotti, mistero, cavalieri valorosi, storie d’amore che fioriscono e cuori spezzati, inganno e tradimento. Una storia che vi terrà incollati al libro per ore e sarà in grado di riscuotere l’interesse di persone di ogni età. Non può mancare sugli scaffali dei lettori di fantasy. Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (parlando di Un’Impresa da Eroi) fantasy epico capace di intrattenere. – Kirkus Reviews (parlando di Un’Impresa da Eroi) Ci sono qui le premesse di qualcosa di notevole. – San Francisco Book Review (parlando di Un’Impresa da Eroi) SOGNO DA MORTALI è il libro #15 nella seria campione d’incassi L’ANELLO DELLO STREGONE, che inizia con UN’IMPRESA DA EROI (libro #1) – scaricabile gratuitamente! In SOGNO DA MORTALI, Thorgrin e i suoi fratelli si liberano dalla morsa dei pirati e continuano la loro ricerca di Guwayne in mare. Incontrando amici e avversari inaspettati, magia e armamenti, draghi e uomini, il corso dei loro destini giungerà a una svolta. Riusciranno a trovare Guwayne alla fine? Dario e i suoi nuovi amici sopravvivono al massacro del loro popolo, ma solo per ritrovarsi prigionieri, gettati nell’arena dell’Impero. Legati insieme, gettati contro inimmaginabili avversari, la loro unica speranza di sopravvivere è di combattere tutti insieme come fratelli. Gwendolyn si risveglia dal suo assopimento e scopre che lei e gli altri sono sopravvissuti al loro viaggio attraverso la Grande Desolazione; cosa ancora più scioccante, sono giunti a una terra che va ben oltre la loro più sfrenata immaginazione. Mentre vengono condotti nella nuova corte reale, Gwendolyn scopre segreti riguardo ai suoi antenati e alla sua gente tali da cambiare per sempre il suo destino. Erec e Alistair, ancora prigionieri in mezzo al mare, lottano per liberarsi dalla morsa della flotta dell’Impero nel corso di uno spericolato e coraggioso tentativo di fuga notturno. Quando sembra che le loro possibilità siano ben limitate, ricevono però l’inaspettata sorpresa che potrebbe proprio fornire loro la seconda possibilità di vittoria, un’altra occasione di continuare il loro attacco al cuore dell’Impero. Godfrey e la sua ciurma, imprigionati un’altra volta e condannati a morte, hanno l’ultima possibilità per tentare la fuga. Dopo essere stati traditi questa volta vogliono ben di più della fuga: vogliono la vendetta. Volusia è circondata da ogni parte e si batte in ogni modo per conquistare la capitale dell’Impero. Dovrà raccogliere tutti i suoi poteri magici, forze neanche mai conosciute per provare a se stessa di essere una dea e diventare così sovrana suprema dell’Impero. Ancora una volta il destino dell’Impero si trova in precario equilibrio. Con la sua sofisticata struttura e caratterizzazione, SOGNO DA MORTALI è un racconto epico di amicizia e amore, di rivali e seguaci, di cavalieri e draghi, di intrighi e macchinazioni politiche, di maturazione, di cuori spezzati, di inganno, ambizione e tradimento. È un racconto di onore e coraggio, di fato e destino, di stregoneria. È un fantasy capace di portarci in un mondo che non dimenticheremo mai, in grado di affascinare persone di ogni sesso ed età. Un fantasy strepitoso … Solo l’inizio di quello che promette di essere una serie per ragazzi veramente epica. – Midwest Book Review (parlando di Un’Impresa da Eroi) Una lettura veloce e facile…dovrai per forza leggere quello che segue e non sarai più capace di smettere. – FantasyOnline. net (parlando di Un’Impresa da Eroi) Pieno zeppo d’azione … Lo stile della Rice è solido e le premesse sono intriganti. – Publishers Weekly (parlando di Un’Impresa da Eroi)

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Volusia camminava tra loro, a volte evitando i corpi, altre scavalcandoli, altre ancora – se ne aveva voglia – calpestandoli. Provava una grossa soddisfazione nel sentire la carne dei nemici sotto i propri piedi. La faceva sentire ancora bambina.

Volusia sollevò lo sguardo e vide la capitale davanti a sé, la sua enorme cupola dorata che brillava inconfondibile in lontananza; vide le massicce mura che la circondavano, alte una trentina di metri; notò l’ingresso delimitato da imponenti portoni d’oro. Provò un brivido percependo il proprio destino che si stava dispiegando davanti a lei. Ora niente si trovava più tra lei e il definitivo seggio del potere. Niente più politici, capi o comandanti potevano porsi davanti a lei con la pretesa di governare l’Impero. Solo lei poteva farlo. La lunga marcia, la conquista di una città dopo l’altra per tutti quei cicli lunari; la crescita del suo esercito prelevando soldati da una città alla volta, alla fine aveva portato a quel risultato. Appena dietro a quelle mura, subito dietro a quei luccicanti portoni dorati, si trovava la conquista finale. Presto sarebbe stata all’interno, avrebbe preso il trono del potere e a quel punto non ci sarebbe stato più nessuna persona o cosa a fermarla. Avrebbe assunto il comando di tutti gli eserciti dell’Impero, di tutte le province e regioni, dei quattro corni e delle due punte; ogni singola creatura dell’Impero avrebbe dovuto dichiarare lei – un’umana – proprio comandante supremo.

Ancora di più: avrebbero dovuto chiamarla Dea.

Il pensiero la fece sorridere. Avrebbe fatto erigere statue di sé in ogni città, davanti a ogni sala del potere; avrebbe istituito festività in suo nome, avrebbe fatto salutare la gente tra loro con l’uso del suo nome e l’Impero avrebbe presto conosciuto nessun altro nome se non il suo.

Volusia marciava davanti al suo esercito sotto il sole della mattina presto, esaminando quelle porte dorate e rendendosi conto che quello sarebbe stato uno dei migliori momenti della sua vita. Facendo strada ai suoi uomini si sentiva invincibile, soprattutto ora che tutti i traditori all’interno dei suoi ranghi erano morti. Quanto stupidi erano stati, pensò, a credere che lei fosse così ingenua, a dare per scontato che sarebbe caduta nella loro trappola solo perché era giovane. Così stupidi per la loro età attempata, erano andati talmente oltre da cascarci loro stessi. Si erano guadagnati solo una morte prematura, una morte prematura per aver sottovalutato la sua saggezza, una saggezza molto superiore alla loro.

Eppure Volusia, mentre camminava e osservava i corpi dei soldati dell’Impero disseminati nel deserto, iniziava a provare un crescente senso di preoccupazione. Si rendeva conto che non c’erano così tanti corpi come avrebbero dovuto. C’erano forse qualche migliaia di cadaveri, ma non le centinaia di migliaia che si era aspettata, non la parte principale dell’esercito dell’Impero. Quei capi non avevano portato tutti i loro uomini? E se era così, dove potevano essere adesso?

Iniziò a interrogarsi: con i suoi capi morti la capitale dell’Impero si sarebbe difesa da sola?

Mentre si avvicinava ai cancelli della città Volusia fece cenno a Vokin di avvicinarsi e al suo esercito di fermarsi.

All’unisono si fermarono dietro a lei e alla fine calò il silenzio nella mattinata sul deserto: non si udiva nient’altro che il suono del vento che soffiava, della sabbia che si sollevava in aria, dei cespugli di spine che rotolavano. Volusia osservò con attenzione le massicce porte sigillate, l’oro decorato con figure, segni e simboli che narravano le antiche battaglie delle terre dell’Impero. Quelle porte erano famose in tutto l’Impero: si diceva che ci fossero voluti cento anni per realizzarle e che fossero spesse più di tre metri. Erano un segno di potenza che rappresentava tutte le terre dell’Impero.

Volusia, ad appena quindici metri di distanza, non era mai stata così vicina all’ingresso della capitale prima d’ora e lo contemplava a bocca aperta. Non solo era un simbolo di forza e stabilità, ma anche un capolavoro, un’antica opera d’arte. Avrebbe voluto allungare una mano e toccare quelle porte dorate, far scorrere le dita sulle immagini intagliate.

Ma sapeva che ora non era il momento. Le osservò percependo un senso di inquietudine crescerle dentro. C’era qualcosa che non andava. Non erano sorvegliate. E c’era troppo silenzio.

Volusia guardò davanti a sé e in cima alle mura vedendo migliaia di soldati dell’Impero che lentamente apparivano sui parapetti, allineati. Guardavano in basso con lance e archi pronti.

Nel mezzo si trovava un generale che li guardò.

“Siete dei folli a venire così vicini,” disse con voce tonante e riecheggiante. “Siete a portata di tiro per le nostre lance e per i nostri archi. A uno schiocco delle mie dita vi posso far uccidere in un istante.”

“Ma voglio graziarvi,” aggiunse. “Comanda ai tuoi soldati di deporre le armi e vi permetterò di vivere.”

Volusia guardò il generale che aveva il volto in ombra, controluce. Era l’unico comandante rimasto a difendere la capitale. Poi guardò lungo i bastioni vedendo i suoi uomini, tutti con gli occhi puntati su di lei, con gli archi alla mano. Capì che intendeva ogni singola parola che aveva detto.

“Ti darò io la possibilità di deporre le vostre armi,” rispose lei, “prima di uccidere tutti i tuoi uomini e ridurre questa capitale in macerie, dandole fuoco.”

L’uomo ridacchiò, poi lui ei suoi uomini abbassarono le visiere e si prepararono alla battaglia.

Veloce come il fulmine Volusia udì improvvisamente il rumore di migliaia di frecce che venivano scoccate e di migliaia di lance che venivano scagliate. Sollevando lo sguardo vide il cielo annerirsi, pieno di armi che erano dirette verso di lei.

Lei rimase ferma al suo posto, priva di paura e senza neppure muoversi. Sapeva che nessuna di quelle armi poteva farle del male. Dopotutto era una dea.

Accanto a lei Vokin alzò una sola mano verde e una sfera dello stesso colore partì dal suo palmo e fluttuò in aria davanti a lei, costruendo uno scudo di luce verde a poche decine di centimetri dalla sua testa. Un attimo dopo le frecce e le lance rimbalzarono innocue e caddero a terra in un grosso mucchio.

Volusia guardò con soddisfazione quel cumulo sempre più grosso di lance e frecce, poi sollevò lo sguardo verso i volti stupiti dei soldati dell’Impero.

“Vi concedo un’altra possibilità di deporre le armi!” gridò Volusia.

Il comandante dell’Impero rimase lì serio, chiaramente frustrato e dibattuto su cosa fare, ma non si spostò. Fece invece cenno ai suoi uomini e Volusia li vide preparare un’altra raffica.

Volusia fece cenno a Vokin e poi ai suoi uomini. Decine di Voks si fecero avanti e si allinearono sollevando le mani in alto sopra le loro teste e dirigendo i loro palmi contro i nemici. Un attimo dopo decine di sfere verdi si libravano dalle loro mani e riempivano il cielo dirigendosi verso le mura della capitale.

Volusia guardò con trepidazione, aspettandosi che le mura si sbriciolassero, aspettandosi di vedere tutti quegli uomini cadere ai suoi piedi, aspettandosi di vedere che la capitale diveniva sua. Era già ansiosa di sedersi sul trono.

Ma vide con sorpresa e delusione che le sfere di luce verde rimbalzavano contro le mura della capitale senza arrecare alcun danno, poi scomparivano in grandi lampi di luce. Non capiva: non funzionavano.

Volusia guardò Vokin che aveva lo stesso aspetto sorpreso.

Il comandante dell’Impero, in alto, rise.

“Non siete gli unici ad usare la stregoneria,” disse. “Queste mura non possono essere toccate da nessuna magia: hanno sostenuto la prova del tempo per migliaia di anni, hanno tenuto alla larga barbari, interi eserciti più grandi del tuo. Non esiste magia che possa toccarle, solo mani umane.”

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