1 ...6 7 8 10 11 12 ...17 “Penso sia fantastico, Oliver,” disse lei annuendo. “È molto importante avere dei sogni da seguire. Qual è il tuo inventore preferito?”
Oliver ripensò al volto di Armando Illstrom nella foto sbiadita del suo libro.
“Armando Illstrom,” disse. “Non è molto famoso, ma ha inventato un sacco di cose interessanti. Ha anche provato a fare una macchina del tempo.”
“Una macchina del tempo?” chiese la signorina Belfry inarcando le sopracciglia. “Forte!”
Oliver annuì, sentendosi più propenso ad aprirsi grazie al suo incoraggiamento. “La sua fabbrica è qua vicino. Stavo pensando di andare a trovarlo.”
“Devi,” disse la Belfry sorridendo con calore. “Sai, quando avevo la tua età amavo la fisica. Tutti gli altri ragazzi mi prendevano in giro, non capivano perché volessi costruire circuiti invece di giocare con le bambole. Ma un giorno il fisico che adoravo di più in assoluto venne in città per registrare un episodio di uno show televisivo. Ci andai e poi gli parlai pure. Mi disse di non rinunciare mai alla mia passione. Anche se altri mi dicevano che ero strana a interessarmi a una cosa così, se avevo un sogno dovevo seguirlo. Non sarei qui oggi se non fosse stato per quella conversazione. Non sottovalutare mai quanto sia importante ricevere un incoraggiamento da qualcuno che ti capisce, soprattutto se sembra che tutti gli altri non ne siano capaci.”
Le parole della signorina Belfry colpirono Oliver con forza. Per la prima volta quel giorno, si sentì ottimista. Ora era completamente determinato a trovare la fabbrica e a vedere in faccia il suo eroe.
“Grazie, signorina Belfry,” le disse sorridendole. “Ci vediamo alla prossima lezione!”
E mentre si allontanava saltellando, sentì la professoressa esclamare: “Segui sempre i tuoi sogni!”
Oliver andò verso la fermata dell’autobus, lottando contro le forti folate di vento. Aveva la mente concentrata sulla sua consolazione, l’unico raggio di sole in quel buio capitolo della sua vita: Armando Illstrom. Se fosse riuscito a trovare l’inventore e la sua fabbrica, la vita sarebbe stata almeno sopportabile. Forse Armando Illstrom sarebbe stato un suo alleato. Un uomo che un tempo aveva tentato di inventare una macchina del tempo era di sicuro una persona capace di andare d’accordo con un ragazzo che cercava di diventare invisibile. Di certo era in grado, più di altri, di gestire alcune delle stravaganze di Oliver. Per lo meno non c’era dubbio che fosse ancora più nerd di lui!
Oliver frugò in tasca e tirò fuori il pezzetto di carta dove aveva scribacchiato l’indirizzo della fabbrica. Era più distante dalla scuola di quanto avesse inizialmente pensato. Avrebbe dovuto prendere un autobus. Cercò delle monetine nell’altra tasca e scoprì che dopo il pranzo gliene erano rimaste abbastanza per il viaggio. Sollevato e pieno di ottimismo, si diresse verso la fermata dell’autobus.
Mentre aspettava il bus, il vento attorno a lui soffiava e infuriava. Se fosse peggiorato ancora, non sarebbe stato capace di starsene ritto in piedi. Infatti la gente che gli passava accanto si piegava in avanti per contrastarne la forza. Se non fosse stato così esausto per la sua prima giornata a scuola, avrebbe addirittura trovato divertente quella scena. Ma ora la sua concentrazione era unicamente sulla fabbrica.
Alla fine l’autobus arrivò. Era un veicolo vecchio e ammaccato che aveva di certo visto giorni migliori.
Oliver salì a bordo e pagò il biglietto, poi prese posto in fondo. Il bus puzzava di patatine unte e cipolle. Il suo stomaco brontolò, ricordandogli che probabilmente avrebbe saltato la cena che forse più tardi lo avrebbe aspettato a casa. Forse aver speso i soldi per il biglietto invece che per del cibo era stata una sciocchezza. Ma trovare la fabbrica di Armando era l’unico raggio di luce nella grama e altrimenti buia esistenza di Oliver. Se non l’avesse fatto, allora che senso aveva tutto il resto?
L’autobus sibilava e sobbalzava lungo la strada. Oliver guardava con malinconia le vie che passavano. C’erano bidoni dell’immondizia rovesciati ai lati, alcuni addirittura finiti in mezzo alla carreggiata, spinti dal vento. Le nuvole erano così scure da rendere il cielo quasi nero.
Le case iniziarono a farsi più rade, e il paesaggio che si vedeva dal finestrino si fece gradualmente più deserto e fatiscente. L’autobus si fermò lasciando uscire alcuni passeggeri, poi si fermò di nuovo, questa volta per salutare una madre stanca e il suo neonato piangente. Dopo diverse fermate, Oliver si rese conto di essere l’unica persona rimasta a bordo. Il silenzio era quasi inquietante.
Alla fine l’autobus passò una fermata con un segnale arrugginito e sbiadito. Oliver capì che si trattava della sua. Balzò in piedi e si portò davanti.
“Posso scendere, per favore?” chiese.
L’autista lo guardò con occhi tristi e pigri. “Suona il campanello.”
“Scusi, vuole…”
“Suona il campanello,” ripeté l’autista con voce monotona. “Se vuoi scendere dall’autobus, devi suonare il campanello.”
Oliver sospirò esasperato. Premette il pulsante e si voltò verso l’autista inarcando le sopracciglia con espressione di attesa. “Ora posso scendere?”
“Alla prossima fermata,” disse l’autista.
Oliver allora si infuriò. “Io volevo quella fermata!”
“Avresti dovuto suonare prima,” rispose l’autista con il suo biascicare lento e stanco.
Oliver strinse i pugni esasperato. Ma alla fine sentì che il bus iniziava a rallentare. Si fermò vicino a un segnale che era così vecchio che ne era rimasto solo un quadrato arrugginito. La porta si aprì lentamente cigolando.
“Grazie,” mormorò Oliver all’autista che non gli era stato per niente di aiuto.
Scese frettolosamente i gradini e si trovò sul marciapiede pieno di crepe. Guardò il segnale, ma era troppo arrugginito per potervi leggere qualcosa. Si potevano distinguere solo alcune lettere, digitate in quel vecchio font degli anni Quaranta che era così popolare durante la guerra.
Mentre l’autobus si allontanava liberando nell’aria una nuvola di fumi di scarico, il senso di solitudine di Oliver iniziò a farsi più intenso. Ma quando il fumo si disperse, davanti a lui comparve un edificio dall’aspetto molto familiare. Era la fabbrica del libro! La vera fabbrica di Armando Illstrom! L’avrebbe riconosciuta ovunque. La vecchia fermata dell’autobus doveva aver servito la fabbrica durante il suo periodo d’oro. La testardaggine dell’autista aveva effettivamente fatto a Oliver un grosso favore, facendolo scendere proprio nel punto dove voleva andare.
Solo che, a guardarla meglio, Oliver si rese conto che la fabbrica sembrava molto rovinata dal tempo. Il grande edificio rettangolare aveva diverse finestre rotte, e attraverso alcune di esse Oliver poteva vedere che l’interno era completamente nero. Era come se dentro non ci fosse assolutamente nessuno.
La paura si impossessò di lui. E se Armando era morto? Un inventore che lavorava durante la Seconda Guerra Mondiale doveva essere molto vecchio adesso, e le probabilità che fosse morto erano piuttosto elevate. Se il suo eroe era effettivamente morto, allora cos’altro ci poteva essere da desiderare nella vita per Oliver?
Un senso di desolazione lo travolse mentre andava verso il fatiscente magazzino. Più si avvicinava e meglio riusciva a vedere. Ogni finestra al pianoterra era sbarrata con assi di legno. Un’enorme porta d’acciaio si chiudeva su quella che dalla foto ricordava essere l’entrata principale. Come avrebbe potuto entrare?
Iniziò a girare attorno all’edificio da fuori, passando attraverso grovigli di ortiche ed edera che crescevano lungo il perimetro. Trovò una piccola apertura fra le tavole di una delle finestre sbarrate e sbirciò all’interno, ma era troppo buio per poter vedere qualcosa. Continuò a camminare, facendo l’intero giro della fabbrica.
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