1 ...8 9 10 12 13 14 ...17 Dal tavolo della cucina loro padre esclamò: “RAGAZZI! BASTA LITIGARE!”
“È Oliver,” rispose Chris. “Mi è saltato addosso senza motivo.”
“Sai esattamente qual è il motivo!” gridò Oliver, i pugni che volavano a vuoto, incapaci di raggiungere il corpo di Chris.
“Perché ho messo i piedi sopra ai tuoi strani cavetti?” sibilò Chris, tanto sottovoce che nessuno dei genitori poté sentirlo. “O perché ho rotto quella stupida fionda a molla? Sei così strambo, Oliver!”
“ODIO questa famiglia!” gridò Oliver.
Corse nella sua nicchia, raccolse tutti i cavi danneggiati e i pezzi di filo distrutti, le leve spezzate e il metallo piegato e gettò tutto nella valigia.
I suoi genitori arrivarono di gran carriera.
“Come osi!” gridò suo padre.
“Ritira quello che hai detto!” strillò sua madre.
“Ora l’hai davvero combinata grossa,” disse Chris con un sorriso malvagio.
Mentre tutti gli gridavano contro, Oliver capì che c’era solo un posto dove poteva scappare. Il suo mondo di sogno, il luogo della sua immaginazione.
Strizzò gli occhi e isolò tutte le voci.
Poi improvvisamente si trovò lì, nella fabbrica. Non quella piena di ragnatele che aveva visitato prima, ma una versione pulita, dove tutte le macchine brillavano e scintillavano sotto le luci chiare.
Oliver stava lì ad ammirare la fabbrica in tutta la sua gloria di un tempo. Ma proprio come nella vita reale, non c’era nessun Armando ad accoglierlo. Nessun alleato. Nessun amico. Anche nella sua immaginazione, Oliver era completamente solo.
*
Solo quando tutti furono andati a dormire e la casa si trovò avvolta nella più completa oscurità, Oliver si sentì in grado di lavorare alle sue invenzioni per aggiustarle. Voleva essere ottimista mentre armeggiava con tutti i pezzi nel tentativo di rimetterli al loro posto. Ma ogni sforzo fu inutile. Era stato tutto distrutto. Tutte le bobine di filo e i cavi erano danneggiati oltre ogni speranza. Avrebbe dovuto ricominciare tutto daccapo.
Gettò i pezzi nella valigia e sbatté con forza il coperchio. Con entrambi i ganci di chiusura rotti, il coperchiò rimbalzò in alto e ricadde indietro restando spalancato. Oliver sospirò pesantemente e si accasciò stanco sul materasso, infilandosi sotto alla coperta.
Dovette essere per pura stanchezza e sfinimento se fu capace di dormire quella notte. Eppure dormì, e subito si perse nei suoi sogni, trovandosi alla finestra, intento a guardare l’albero allampanato dall’altra parte della strada. Lì c’erano l’uomo e la donna che aveva visto la sera precedente, e come allora si tenevano per mano.
Oliver picchiò la mano contro il vetro della finestra.
“Chi siete?” gridò.
La donna sorrise. Era un sorriso gentile, più gentile addirittura di quello della signorina Belfry.
Ma nessuno dei due parlò. Lo fissavano e basta, entrambi sorridendo.
Oliver aprì la finestra. “Chi siete?” gridò ancora, ma questa volta la sua voce fu sommersa dal vento.
L’uomo e la donna se ne stavano fermi lì stringendosi la mano, i sorrisi caldi e invitanti.
Oliver iniziò a scavalcare la finestra. Ma subito le due figure baluginarono e sobbalzarono, come se fossero ologrammi e le luci che li proiettavano avessero subito un’interferenza. Stavano iniziando a scomparire.
“Aspettate!” gridò Oliver. “Non andate via!”
Cadde dall’altra parte della finestra ed attraversò di corsa la strada. Si facevano sempre più sbiaditi a ogni passo che lui faceva.
Quando arrivò davanti a loro erano appena visibili. Allungò un braccio per prendere la mano della donna, ma ci passò attraverso, come se fosse un fantasma.
“Per favore, ditemi chi siete!” li implorò.
L’uomo aprì bocca per dire qualcosa, ma la sua voce venne coperta dal ruggito del vento. Oliver era sempre più disperato.
“Chi siete?” chiese un’altra volta, gridando per farsi sentire al di sopra del vento. “Perché mi state guardando?”
L’uomo e la donna erano quasi del tutto scomparsi ormai. L’uomo parlò ancora, e questa volta Oliver udì un leggero sussurro.
“Tu hai un destino…”
“Cosa?” balbettò Oliver. “Cosa intendi dire? Non capisco.”
Ma prima che avessero l’opportunità di parlare un’altra volta, scomparvero del tutto. Non c’erano più.
“Tornate qui!” gridò Oliver nel vuoto.
Poi, come se ci fosse qualcuno a bisbigliargli nelle orecchie, sentì la voce leggera della donna che diceva: “Tu salverai l’umanità.”
Oliver aprì gli occhi sbattendo le palpebre più volte. Era di nuovo nella sua nicchia, illuminato dal pallido bagliore blu che entrava dalla finestra. Era mattino. Oliver sentiva il cuore che batteva con forza.
Il sogno lo aveva scosso nel profondo. Cosa avevano voluto dirgli con quella cosa del destino? E del salvare l’umanità? E comunque chi erano quell’uomo e quella donna? Frammenti della sua immaginazione, o qualcos’altro? Era troppo da comprendere.
Mentre lo shock iniziale del sogno iniziava ad attenuarsi, Oliver si sentì pervadere da una nuova sensazione. La speranza. Da qualche parte dentro di sé sentiva di essere sul punto di vivere una giornata importantissima, nella quale tutto sarebbe cambiato.
Il buon umore di Oliver migliorò ancora quando scoprì che la prima lezione del giorno era scienze, il che significava che avrebbe rivisto la signorina Belfry. Già mentre attraversava il cortile, abbassandosi sotto a palloni da pallacanestro che sospettava gli fossero stati deliberatamente lanciati contro, il suo entusiasmo cresceva sempre più.
Raggiunse la scala e cedette alla forza dei ragazzi che lo travolsero e spinsero, sostenendolo come un surfista sulle onde, fino al quarto piano. Lì Oliver si divincolò dalla folla e si diresse verso la sua aula.
Era il primo ad arrivare. La signorina Belfry era già in classe, con un abito di cotone grigio, intenta a sistemare dei modellini in fila sulla cattedra. Oliver vide che c’erano un piccolo biplano, una mongolfiera, un razzo spaziale e un aeroplano moderno.
“La lezione di oggi è sul volo?” chiese.
La signorina Belfry fu presa di soprassalto: chiaramente non si era accorta che uno dei suoi studenti era entrato in aula.
“Oh, Oliver,” disse con un sorriso smagliante. “Buongiorno! Sì. Ora immagino tu sappia già alcune cose su questo tipo di invenzioni.”
Oliver annuì. Il suo libro delle invenzioni aveva una completa sezione sul volo, dai primi palloni aerostatici inventati dai fratelli francesi Montgolfier, attraverso il primo progetto di aeroplano dei fratelli Wright, fino allo studio del razzo. Come il resto delle pagine del libro, aveva letto quella sezione così tante volte da saperla quasi a memoria.
La signorina Belfry sorrideva come se già sapesse che Oliver sarebbe stato una fontana di conoscenza in questa particolare materia.
“Può darsi che tu debba aiutarmi a spiegare alcuni concetti di fisica agli altri,” gli disse.
Oliver arrossì mentre andava a sedersi. Odiava parlare a voce alta davanti ai suoi compagni di classe, soprattutto dato che già sospettavano lui fosse un nerd. Dare loro conferma era come mettersi in mostra ben più di quanto avrebbe realmente desiderato. Ma la signorina Belfry sembrava talmente calma al riguardo, come se pensasse che la conoscenza di Oliver fosse qualcosa da celebrare piuttosto che da deridere.
Oliver scelse un posto vicino alla prima fila. Se era costretto a parlare a voce alta, preferiva non avere trenta paia di occhi che si giravano a guardarlo. Almeno in questo modo sarebbe stato consapevole solo degli altri quattro ragazzi lì davanti con lui.
Proprio in quel momento i suoi compagni iniziarono ad entrare e a prendere posto. Il rumore nell’aula iniziò a crescere. Oliver non aveva mai capito cosa avessero di così importante da raccontarsi le persone. Anche se lui avrebbe potuto parlare per ore e ore di inventori e invenzioni, non c’era molto altro su cui sentiva la necessità di conversare. Era sempre stupito da come gli altri riuscissero a fare conversazione in modo così semplice, e quante parole potessero condividere su cose che, nella sua mente, avevano importanza praticamente nulla.
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