Accelerò: non voleva essere pugnalata un’altra volta, e non solo per evitare il dolore. Non sapeva cosa sarebbe successo se quel posto fosse mutato ancora, o quanto sarebbe durata quell’apertura lì in alto. In nessun caso poteva permettersi di correre il rischio, quindi scattò verso le scale, ruotando quando le raggiunse per dare un calcio ad Angelica respingendola in tempo prima che la colpisse.
Sofia non si fermò a lottare contro di lei, ma salì di corsa le scale, facendo due gradini alla volta. Poteva sentire Angelica dietro di sé, ma questo non importava. Tutto ciò che contava era scappare. Continuò a salire, arrampicandosi sempre più su.
Le scale continuavano a salire, sembravano infinite. Sofia continuò a percorrerle, ma sentiva che stava iniziando a stancarsi. Ora non stava più facendo i gradini due alla volta, e un’occhiata alle spalle le fece vedere la versione da incubo di Angelica che ancora la seguiva, dandole la caccia con un truce senso di inevitabilità.
L’istinto di Sofia era di continuare a salire, ma una parte più profonda di lei iniziava a pensare che la cosa fosse stupida. Questo non era il mondo normale, non aveva le stesse regole, né la stessa logica. Questo era un posto dove pensiero e magia contavano più che la pura abilità di continuare ad andava avanti.
Questo pensiero bastò a far fermare Sofia e a portarla a immergersi più a fondo in se stessa, tentando di raggiungere il filo di potere che era sembrato connetterla all’intero paese. Si girò per affrontare l’immagine di Angelica. Ora capiva.
“Tu non sei reale,” disse. “Tu non sei qui.”
Mandò fuori un sussurro di potere, e l’immagine della sua potenziale assassina si dissolse. Si concentrò e la scala a chiocciola scomparve, lasciando Sofia su un pavimento piatto. La luce ora non era in alto sopra di lei, ma si trovava a solo uno o due passi di distanza, e formava una soglia che pareva dare sulla cabina di una nave. La stessa cabina in cui Sofia era stata pugnalata.
Facendo un profondo respiro, Sofia vi passò attraverso, e si svegliò.
Kate sedeva sul ponte della nave mentre solcava il mare, la stanchezza che le impediva di fare molto altro. Anche con il tempo che era passato da quando aveva guarito la ferita di Sofia, era come se non si fosse pienamente ripresa dallo sforzo.
Di tanto in tanto i marinai la controllavano al loro passaggio. Il capitano, Borkar, era particolarmente attento, e le veniva accanto con una frequenza e deferenza che sarebbero apparse divertenti se non fosse stato così completamente sincero.
“State bene, mia signora?” le chiese per quella che le parve la centesima volta. “Vi serve qualcosa?”
“Sto bene,” lo rassicurò Kate. “E non sono la signora di nessuno. Sono Kate e basta. Perché continuate a chiamarmi così?”
“Non è il mio ruolo quello di dirlo, mia… Kate,” insistette il capitano.
Non era solo lui. Tutti i marinai sembravano girare attorno a Kate con un livello di deferenza che tendeva all’ossequioso. Non vi era abituata. La sua vita era stata fatta della brutalità della Casa degli Indesiderati, seguita dal cameratismo degli uomini di Lord Cranston. E c’era stato Will, ovviamente…
Sperava che Will fosse al sicuro. Quando se n’era andata, non era stata capace di salutarlo, perché Lord Cranston non l’avrebbe mai lasciata andare se l’avesse fatto. Avrebbe dato qualsiasi cosa per averlo potuto salutare a dovere, o ancora meglio, portarlo con sé. Avrebbe probabilmente riso per gli uomini che le si inchinavano davanti, sapendo quanto quell’educazione ingiustificata la scocciasse.
Forse era qualcosa che Sofia aveva fatto. Dopotutto aveva ricoperto il ruolo della nobile prima. Forse le avrebbe spiegato tutto non appena si fosse svegliata. Se si fosse svegliata. No, Kate non poteva pensare a quel modo. Doveva sperare, anche se erano passati ormai più di due giorni da quando aveva rimarginato la ferita di sua sorella.
Kate entrò nella cabina. Il gatto della foresta di Sofia sollevò la testa quando la vide, guardandola con sguardo protettivo. Da dove si trovava sdraiato ai piedi di Sofia, sembrava una coperta di pelliccia. Con sorpresa di Kate, il gatto quasi non si era mosso dal fianco di sua sorella in tutto il tempo che la nave era stata in viaggio. Le permise di grattargli le orecchie quando arrivò al capezzale di Sofia.
“Stiamo sperando tutti e due che si svegli, vero?” disse.
Si sedette vicino a sua sorella e la guardò mentre dormiva. Sofia aveva un aspetto così pacifico adesso, non più deturpata dalla ferita di stiletto, non più grigia del pallore della morte. Poteva essere addormentata, eccetto per il fatto che era addormentata da così tanto tempo che Kate stava iniziando a preoccuparsi che potesse morire di sete o di fame prima di svegliarsi.
Poi Kate vide la leggera vibrazione sulle palpebre di Sofia, un movimento minimo delle mani contro le coperte. Fissò sua sorella, osando sperare.
Sofia aprì gli occhi e la fissò, e Kate non poté trattenersi. Si lanciò in avanti, abbracciando sua sorella e tenendola stretta a sé.
“Sei viva. Sofia, sei viva.”
“Sono viva,” la rassicurò Sofia, tenendosi a Kate che la stava aiutando a mettersi a sedere. Anche il gatto della foresta parve contento, e andò a leccare entrambi i loro volti con una lingua che sembrava la raspa di un fabbro.
“Piano, Sienne,” disse Sofia. “Sto bene.”
“Sienne?” chiese Kate. “Si chiama così?”
Vide Sofia annuire. “L’ho trovato lungo la strada verso Monthys. È una storia lunga.”
Kate aveva il sospetto che ci fossero molte storie da raccontare. Si ritrasse da Sofia, aspettando di sentire tutto, e Sofia si lasciò ricadere sul letto.
“Sofia!”
“Va tutto bene,” disse. “Sto bene. Almeno credo. Sono solo stanca. Potrei anche bere qualcosa.”
Kate le passò una borraccia, e la guardò bere profondamente. Chiamò i marinai, e con sua sorpresa il Capitano Borkar in persona arrivò di corsa.
“Di cosa avete bisogno, mia signora?” chiese, poi fissò Sofia. Con stupore di Kate, l’uomo si inginocchiò. “Vostra altezza, siete sveglia. Eravamo tutti così preoccupati per voi. Dovete avere una fame. Prendo subito qualcosa da mangiare!”
Partì di corsa, e Kate poté percepire la gioia che trapelava da lui come fosse fumo. Però aveva un’altra preoccupazione.
“Vostra altezza?” disse, fissando Sofia. “I marinai mi hanno trattata in modo strano da quando hanno capito che sono tua sorella, ma questo? Mi stai dicendo che appartieni a una famiglia reale?”
Sembrava un gioco pericoloso da fare, fingere di essere regale. Sofia stava forse facendo leva sul suo fidanzamento con Sebastian, fingendo di appartenere a una famiglia reale straniera, o c’era dell’altro?
“Niente di tutto questo,” disse Sofia. “Non sto fingendo nulla.” Prese il braccio di Kate. “Kate, ho scoperto chi sono i nostri genitori!”
Quella era una cosa su cui Sofia non avrebbe scherzato. Kate la fissò, quasi incapace di credere alle implicazioni. Si sedette sul bordo del letto, desiderosa di capire tutto.
“Racconta,” disse, incapace di contenere lo shock. “Pensi veramente… pensi che i nostri genitori fossero dei reali?”
Sofia fece per mettersi a sedere. Quando la vide fare fatica, Kate la aiutò.
“I nostri genitori si chiamavano Alfred e Christina Danse,” disse Sofia. “Vivevano, noi vivevamo, in una proprietà a Monthys. La nostra famiglia era quella dei re e delle regine prima che la famiglia della vedova li mettesse da parte. La persona che mi ha spiegato questo ha detto che avevano una sorta di… connessione con la terra. Non solo la governavano: ne erano parte.”
Kate rimase immobile al sentire quelle parole. Aveva sentito quella connessione. Aveva sentito il paese che si dipanava davanti a lei. Aveva raggiunto il potere contenuto in esso. Era stato in quel modo che aveva potuto guarire Sofia.
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