“Lo stesso,” disse Will, “pensavo che ci sarebbe stato sangue sul ponte prima che finiste.”
Ma non c’è stato,” disse Kate. Lo abbracciò, semplicemente perché voleva farlo. Avrebbe voluto che ci fosse sufficiente riservatezza sulla barca per qualcosa in più. “Questa è la cosa importante.”
“E tu sei stata fantastica là sopra,” ammise Will. “Forse non dovremmo preoccuparci di attaccare domani, ma mandare te a combatterli uno a uno.”
Kate sorrise a quel pensiero. “Penso che potrebbe rivelarsi un po’ stancante dopo i primi. E poi vorresti perderti l’azione?”
Vide Will distogliere lo sguardo.
“Cosa c’è?” gli chiese, resistendo all’urgenza di leggergli nel pensiero per scoprirlo.
“Onestamente? Ho paura,” le disse. “Non importa quante battaglie combattiamo, non sembra mai diventare più facile. Ho paura per me stesso, per i miei amici, se i miei genitori verranno coinvolti in tutto questo… e ho paura per te.”
“Penso che abbiamo appena scoperto che non devi preoccuparti per me,” disse Kate.
“Sei migliore con la spada rispetto a chiunque altro io conosca,” confermò Will, “ma sono preoccupato lo stesso. E se ci fosse una spada che non vedi? E se ci fosse un moschetto che spara a caso? La guerra è un caos.”
Era vero, ma era ciò per cui a Kate piaceva. C’era qualcosa nel trovarsi nel cuore della battaglia che le dava senso in un modo diverso rispetto al resto del mondo. Ma non lo disse.
“Andrà tutto bene,” affermò invece. “Io starò bene. Tu lavorerai con l’artiglieria, non nel cuore dell’attacco. Sofia non permetterebbe mai alla sua gente di saccheggiare, o di attaccare gente comune, quindi i tuoi genitori saranno al sicuro. Andrà tutto bene.”
“Solo… stai attenta,” le disse Will. “Ci sono così tante cose che vorrei avere il tempo di dirti, e di fare con te, e…”
“Avremo tempo per tutto,” promise Kate. “Ora devo andare. Sai che Lord Cranston si irrita se ti distraggo dai tuoi doveri troppo a lungo.”
Will annuì, parve essere sul punto di baciarla di nuovo, ma non lo fece. Un’altra cosa che avrebbe dovuto attendere fino alla fine della battaglia. Kate lo guardò andare, e allungò quello che era rimasto del suo talento per cogliere i pensieri dei soldati presenti.
Sentì le loro paure e le loro preoccupazioni. Ogni uomo lì sapeva che il mondo avrebbe subito un’eruzione di violenza all’alba, e la maggior parte di loro si chiedeva se avrebbero superato interi quel caos. Alcuni pensavano agli amici, altri ai famigliari. Alcuni pensavano a una possibilità dopo l’altra, come se credessero che il pericolo che avevano davanti si sarebbe potuto evitare.
Kate non ne vedeva l’ora invece. In battaglia il mondo acquistava un certo senso.
“Domani ucciderò le persone che hanno fatto del male alla mia famiglia,” promise. “Li farò a pezzi e prenderò il trono per Sofia.”
Domani sarebbero entrati ad Ashton e si sarebbero ripresi tutto ciò che doveva essere loro di diritto.
Dai gradini del tempio della Dea Mascherata, compostamente in piedi in cima alla scalinata, in attesa dell’inizio del funerale di sua madre, Rupert guardava il tramonto. Si allargava creando tante sfumature di rosso che gli ricordavano fin troppo il sangue che aveva lui stesso sparso. Non avrebbe dovuto preoccuparsene. Lui era più forte, lui era migliore. Lo stesso ogni occhiata alle sue mani gli riportava i ricordi del modo in cui il sangue di sua madre le aveva macchiate; ogni momento di silenzio riportava il ricordo dei suoi sussulti quando l’aveva pugnalata.
“Tu!” disse Rupert indicando uno dei sacerdoti minori che affollavano la stanza attorno all’ingresso. “Cosa preannuncia questo tramonto?”
“Sangue, vostra altezza. Un tramonto come questo significa sangue.”
Rupert fece un mezzo passo avanti, intenzionato a colpire l’uomo per la sua insolenza, ma Angelica era lì pronta a bloccarlo, la mano che gli sfiorava la pelle con l’accenno a una promessa che lui sperava di avere poi il tempo di vedere esaudita.
“Lascialo perdere,” gli disse. “Non sa niente. Nessuno sa niente, a meno che tu non glielo dica.”
“Ha detto sangue,” si lamentò Rupert. Il sangue di sua madre. Il dolore gli baluginava dentro. Aveva perso sua madre, e quel dolore era quasi una sorpresa per lui. Si era aspettato di non provare altro che sollievo per la sua morte, o forse gioia per avere finalmente il trono, e invece… Rupert si sentiva spezzato dentro, vuoto e colpevole in un modo di cui non aveva mai avuto esperienza prima d’ora.
“Per forza ha detto sangue,” rispose Angelica. “Ci sarà una battaglia domani. Qualsiasi sciocco potrebbe vedere sangue nel tramonto con le navi nemiche attraccate al largo della nostra costa.”
“Sì, tanti l’hanno visto,” disse Rupert. Indicò un altro uomo, uno scrivano che sembrava usare una sorta di complesso meccanismo per scarabocchiare calcoli su un pezzo di pergamena. “Tu, dimmi come andrà la battaglia domani!”
L’uomo sollevò lo sguardo, un’espressione selvaggia negli occhi. “I segni non sono buoni per il regno. Vostra maestà. Gli ingranaggi…”
Questa volta Rupert colpì, mandando a terra l’uomo con un violento calcio. Se non ci fosse stata Angelica a trattenerlo, avrebbe potuto continuare a prenderlo a calci fino a che non ne fosse rimasto nient’altro che un mucchietto di ossa rotte.
“Considera l’impressione che puoi dare, facendo una cosa del genere al funerale,” disse Angelica.
Almeno bastò a trattenere Rupert. “Non capisco perché i sacerdoti permettono a gente del genere di entrare nel tempio. Pensavo che uccidessero le streghe.”
“Forse è un segno che questi non hanno talento,” suggerì Angelica, “e che tu non dovresti ascoltarli.”
“Forse,” disse Rupert, ma ce n’erano stati altri. Sembrava che tutti avessero un’opinione sulla prossima battaglia. C’erano sufficienti veggenti al palazzo, sia reali che normalissimi nobili a cui piaceva indovinare guardando i tramonti o il volo degli uccelli.
In quel momento però questo funerale, il funerale di sua madre, era l’unica cosa che contava.
Apparentemente c’era chi non lo capiva. “Vostra altezza, vostra altezza!”
Rupert si girò verso l’uomo che veniva verso di lui correndo. Indossava un’uniforme da soldato e si inchinò davanti a lui.
“La forma corretta per rivolgersi a un re è ‘vostra maestà’,” disse Rupert.
“Vostra maestà, mi perdoni,” disse l’uomo. Si alzò dal suo inchino. “Ma ho un messaggio urgente!”
“Di cosa si tratta?” chiese Rupert. “Non vedi che sto partecipando al funerale di mia madre?”
“Mi perdoni, vostra… maestà,” disse l’uomo, correggendosi appena in tempo. “Ma i nostri generali richiedono la vostra presenza.”
Era ovvio. Scemi che non avevano capito come sconfiggere il Nuovo Esercito e che ora volevano guadagnare il suo favore mostrando quante idee avessero per gestire la minaccia che era arrivata.
“Verrò, o anche no, dopo il funerale,” disse Rupert.
“Mi hanno detto di sottolineare l’importanza della minaccia,” disse l’uomo, come se quelle parole potessero in qualche modo spingere Rupert in azione. Spingerlo a una qualche sorta di obbedienza.
“Ne deciderò io l’importanza,” disse Rupert. Al momento niente gli pareva importante confronto al funerale che si stava per svolgere. Per quanto gli interessava, che Ashton bruciasse: lui avrebbe sepolto sua madre.
“Sì, vostra maestà, ma…”
Rupert fermò l’uomo con uno sguardo. “I generali vogliono fare finta che tutto debba accadere ora,” disse. “Che non c’è un piano senza di me. Che c’è bisogno di me per difendere la città. Ho una risposta a questo: fate il vostro lavoro.”
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