“Il nemico avrà la sua battaglia ad Ashton domani,” disse. “Sarà una cosa sanguinaria, con molti morti da entrambe le parti.”
Non poté trattenere una nota di soddisfazione a quel pensiero. Dopotutto lui era il motivo principale per cui così tanti sarebbero morti.
“Quando colpiremo, mio signore?” chiese uno dei comandanti della sua flotta. “Ha degli ordini per noi?”
“Sei desideroso di attaccare?” gli chiese il Maestro dei Corvi.
“Sì, mio signore,” disse l’uomo. Si batté un pugno sul petto. “Li voglio schiacciare per l’umiliazione che ci hanno inflitto l’ultima volta.”
“Anche io,” disse un generale. “Voglio che sappiano che il Nuovo Esercito è più forte.”
Seguì un coro di assenso, ogni uomo sembrava mirare con sempre maggior forza verso la battaglia, per mostrare quanto fosse impegnato nel riparare per il fallimento dell’attacco al regno della vedova. Forse era quello il punto. Forse tutti volevano mostrare di poter fare di meglio. Forse pensavano che ci fossero in ballo le loro pelli se avessero fallito di nuovo.
Non si sbagliavano del tutto in quella ipotesi. Lo stesso il Maestro dei Corvi alzò una mano per richiamare la calma. “Siate pazienti. Tornate ai vostri uomini e alle vostre navi. Assicuratevi che tutto sia pronto per un attacco. Vi dirò io quando sarà il momento.”
Se ne andarono in gruppo, ciascuno correndo a prepararsi. Il Maestro dei Corvi li lasciò andare. Per ora la sua attenzione era sulla tinta rosso sangue del tramonto e su ciò che lasciava presagire. Ci sarebbe stato sangue, un sacco di sangue la mattina dopo, non c’era dubbio. Grazie agli sforzi delle sue creature ci sarebbe stato un massacro di tale scala da trasformare in rosso il colore delle acque del fiume di Ashton. Le sue creature avrebbero banchettato.
“E quando avranno finito,” disse, “aggiungeremo al nostro impero quello che sarà rimasto.”
L’assassina Rose aspettò che fosse completamente buio prima di remare verso le navi in attesa nel porto, i remi avvolti in pezzi di stoffa per attutire i colpi negli scalmi. Era di aiuto che la luna fosse piena, e che lei avesse sempre visto bene al buio quando ce n’era bisogno. Questo significava che non le serviva una lanterna da ladro. Lo stesso la paura le scorreva dentro a ogni colpo di remi, e riusciva a tenerla a bada solo con un certo sforzo.
“Andrà tutto bene,” disse. “L’hai fatto centinaia di volte.”
Forse non proprio centinaia. Anche il migliore nella sua professione non poteva averne uccisi così tanti. Lei non era la mannaia di un qualche macellaio, inviata a fare a pezzi più uomini possibile in guerra. Lei era più come il coltello di un giardiniere, che tagliava dallo stelo solo quello che serviva.
“La metà dei soldati che ci sono lì avranno ucciso il doppio di me,” sussurrò, come se questo la giustificasse.
C’era sempre paura mentre lo faceva. Paura di essere scoperta. Paura che qualcosa andasse storto. Paura di poter acquisire il genere di consapevolezza che la potesse trattenere dal fare quello che era bravissima a fare.
“Non fino a questo punto,” sussurrò Rose.
Delicatamente guidò la barca in mezzo alle molte imbarcazioni. Non fu sorpresa di sentire una voce chiamare nella notte.
“Oi, chi c’è la sotto? Cosa vuoi?”
Rose vide un soldato appoggiato alla prua di una nave vicina con un arco in mano. Forse qualche stupido avrebbe tentato di remare per mettersi in salvo, prendendosi così una freccia nella schiena. Lei invece si prese un momento per pensare. Gli accenti erano un’abilità che aveva appreso nel tempo, quindi ne scelse ora uno adatto, non proprio di Ishjemme, ma quello più rude delle isole che si trovavano tra Ishjemme e la costa del regno. Quello era meglio. I soldati di Ishjemme di certo si conoscevano tra loro. Ma non potevano aspettarsi di conoscere tutti i loro alleati.
“Mi preparo per una battaglia, idiota. Tu, cosa stai facendo? Cerchi di svegliare tutta Ashton?”
“Ehi, beh, potresti essere chiunque!” gridò il soldato. “Poteva essere una barca piena di nemici, per quello che ne sapevo.”
“Ti sembro una barca piena di nemici?” ribatté Rose. “Ora posso andare avanti a consegnare i rapporti che devo portare? Sono ore ormai che vado in perlustrazione per la città. Non riuscivo neanche a trovare l’ammiraglia.”
Vide l’uomo indicare.
“Laggiù,” disse.
“Grazie.”
Rose era brava a fare finta di essere chi non era. Alcuni pensavano che gli assassini dovessero essere persone che potevano farsi strada in mezzo a un esercito, o scoccare una freccia da lontano. Le piacevano le storie come quelle. Significava che non andavano a cercare l’innocua figura vicino a loro, che aveva appena messo qualcosa nel loro vino.
“Non ci sarà l’occasione di farlo però questa volta,” disse tra sé e sé.
Non era certa che Milady d’Angelica avesse capito quello che le stava chiedendo quando l’aveva mandata a fare questa cosa. Francamente dubitava che alla nobildonna importasse. Eppure c’era una grossa differenza tra avvelenare un qualche rivale ad Ashton e intrufolarsi su una nave in mezzo a una flotta da battaglia.
Soprattutto una nave di cui si diceva che i conduttori avessero la magia.
Quella era la parte che la terrorizzava in tutto questo. Come si poteva scivolare a bordo di una nave quando la gente poteva leggere i pensieri omicidi che lei aveva in testa? Quando potevano percepirla arrivare e probabilmente inviare dei fantasmi che gridavano inseguendo la sua anima? Significava che la sua solita strategia di mascheramento e menzogna era fuori gioco, in tutto e per tutto.
“Dovrei remare fino al continente,” mormorò Rose. Che razza di idiota si metteva nel mezzo di una battaglia in quel modo, e per di più per scelta? Continuò ad avanzare in direzione dell’ammiraglia, però, almeno per tre ragioni.
Una era che veniva pagata bene per questo. Troppo per poterlo ignorare. Un’altra era che, qualsiasi fossero le sue abilità con un coltello e una freccia avvelenata, sospettava che Milady d’Angelica sarebbe stata un nemico pericoloso da avere. Il terzo… beh, il terzo era semplice: lei era brava in questa cosa.
Rose fermò la piccola barca poco distante dall’ammiraglia, in uno spazio dove sembrava solo un’ombra in più nel buio. Togliendosi i colori di Ishjemme per rivelare degli abiti neri al di sotto, scivolò nell’acqua della baia.
Il freddo le filtrò nel caldo del corpo, mentre cercava di non pensare a tutto il sudiciume che veniva riversato dai canali di scolo di Ashton per finire nel fiume e poi nel mare. Ignorò anche l’idea di altre cose che potevano esserci in acqua, gli squali e gli altri predatori che si sarebbero raccolti per fare razzia nella scia della battaglia. Magari la loro presenza sarebbe anche stata una cosa positiva, mascherando il suo intento omicida con il loro, davanti a ogni mente che stesse spiando pensieri.
Rose sgattaiolò avanti con remate silenziose, abbassando la testa ogni volta che pensava che qualcuno potesse guardare nella sua direzione, ignorando il puzzo dell’acqua di mare. Parve volerci un’eternità per arrivare vicino all’ammiraglia, che dondolava sull’acqua e che con il suo sciabordio sollevò uno schizzo contro di lei quando fu abbastanza vicina.
Finalmente le sue dita trovarono il legno dello scafo, cercando degli appigli nel modo in cui qualcun altro avrebbe fatto scalando una parete rocciosa. Rose si mosse lentamente, determinata a non produrre alcun suono, tentando addirittura di mettere a tacere i propri pensieri in modo che non la smascherassero davanti a qualcuno che possedesse il dono della magia e che si trovasse lì.
Sollevò la testa abbastanza da vedere una vedetta che camminava lungo il ponte. Si abbassò e ascoltò il ritmo dei suoi passi, lasciando che passasse oltre. Poi rimase ancora ferma. Aspettò che passasse altre due volte, imparando lo schema dello spostamento. Qualche sciocco si sarebbe lanciato di corsa sul ponte la prima volta, e sarebbe stato preso. Rose aveva imparato quando serviva essere pazienti.
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