Sofia si ritrasse a quel nome. Poteva anche essere quello di sua madre, ma dopo la visione non poteva darlo a sua figlia. Non l’avrebbe fatto.
“Tutto, ma non Christina,” disse. Pensò ai fiori che aveva visto intrecciare a sua figlia in mezzo alla strada. “Viola. La chiameremo Viola.”
“Viola,” disse Kate con un sorriso, porgendo un dito alla piccolina perché lo afferrasse. “È già forte, come sua madre.”
“Come sua zia, forse,” rispose Sofia. Il suo sorriso si smorzò un poco. “Non dite a Sebastian di tutto questo, per favore, nessuno dei due. Non deve consumarsi con la consapevolezza di questo. Con quello che potrebbe diventare.”
“Non lo dirò a nessuno, se tu non vuoi,” le assicurò Lucas.
“Neanche io,” disse Kate. “Se qualcuno può crescerla come una buona persona, sei tu, Sofia. E noi siamo qui per aiutarti.”
“Lo faremo,” disse Lucas. Sorrise tra sé e sé. “Magari avrò la possibilità di ricoprire il ruolo dell’ufficiale Ko e passarle alcune delle cose che lui ha insegnato a me.”
Sembravano così certi che le cose sarebbero andate per il verso giusto, e Sofia voleva crederci. Lo stesso una parte di lei non poteva dimenticare le cose che aveva visto. Sua figlia le sorrise in perfetta innocenza. Sofia doveva assicurarsi che restasse così.
Henry d’Angelica, figlio primogenito di Sir Hubert e Lady Neeme d’Angelica, aveva per le mani quello che sospettava essere il lavoro più duro nel regno in quel momento: cercare di placare i suoi genitori riguardo a tutto quello che era successo nel regno nelle ultime poche settimane.
“Ianthe è distrutta, ovviamente,” disse sua madre tra le lacrime, come se fosse una novità che sua zia fosse mortificata per la morte della propria figlia.
Suo padre era più bravo nella rabbia che nella tristezza, e sbatté un ruvido pugno contro il legno del caminetto. “Le cose che quei barbari le hanno fatto… sai che hanno messo la testa della povera ragazza su una lancia?”
Henry ne aveva sentito parlare, insieme a centinaia di altre dicerie, per lo più ripetute dai suoi genitori. La casa era stata consumata da poco altro da quando c’era stata l’invasione. Angelica era stata falsamente accusata di tradimento. Angelica era stata fatta a pezzi dalla folla, o impiccata, o decapitata. Gli invasori erano corsi in mezzo alle strade massacrando chiunque indossasse i colori di corte. Si era messa dalla parte del figlio che aveva ammazzato la vecchia regina…
“Henry, ci stai ascoltando almeno?” chiese suo padre.
In teoria Henry non si sarebbe scomposto. Aveva diciannove anni, era un uomo. Era alto e forte, una bravo spadaccino, e ancora meglio con la pistola. Eppure c’era sempre qualcosa nella voce di suo padre che lo faceva tornare ogni volta un bambino.
“Scusatemi, padre, cosa avete detto?” chiese Henry.
“Ho detto che bisogna fare qualcosa,” ripeté suo padre, con ovvio malumore.
“Come volete voi, padre,” disse Henry.
L’uomo guardò Henry con sguardo arrabbiato. “Onestamente ho cresciuto un guscio vuoto, con te. Non sei certo come tua cugina.”
“Ora, amore…” iniziò sua madre, ma con quel suo solito modo poco convinto.
“Beh, è vero,” rispose seccamente il padre, camminando davanti al caminetto come una guardia dinnanzi al cancello di un castello. Non che un uomo importante come Sir Hubert avrebbe apprezzato il paragone. “Questo ragazzo non va bene per niente. Quanti insegnanti ha passato da bambino? Poi c’è stata la commissione con quella compagnia militare da cui ho dovuto tirarlo fuori pagando, e l’affare di unirsi alla Chiesa della Dea Mascherata…”
Henry non si preoccupò di sottolineare che tutto era stato deciso dai suoi genitori. C’erano stati tutti quegli insegnanti perché suo padre aveva l’abitudine di licenziarli ogni volta che gli insegnavano qualcosa che a lui non andava bene, così che Henry aveva praticamente trovato la dovuta educazione nella biblioteca di famiglia. Allo stesso modo, era stato suo padre a decidere che una commissione in una compagnia libera non era un posto per suo figlio, mentre l’affare con la chiesa era addirittura stata un’idea del vecchio, fino a che aveva appreso che ciò avrebbe portato a non avere gli eredi dovuto da Henry.
“Stai ancora sognando ad occhi aperti,” disse l’uomo. “Tua cugina non lo farebbe. Lei ha fatto qualcosa per la sua vita. Ha sposato un re!”
“Ed è stata rifiutata due volte da un principe,” disse Henry, incapace di trattenersi.
Vide suo padre sbiancare per la rabbia. Henry conosceva quell’espressione, e sapeva ciò che ne seguiva. Così tante volte da bambino aveva visto quell’espressione e aveva dovuto restare lì, senza muoversi davanti agli schiaffi o ai colpi che c’erano stati dopo. Si preparò a fare lo stesso oggi.
Invece, mentre suo padre sferrava il colpo, Henry si trovò con la propria mano che si muoveva verso l’alto quasi automaticamente per prendergli il braccio, stringendolo tanto forte da lasciargli per certo un livido. Tenne fermo il polso di suo padre guardandolo con sguardo serio. Poi fece un passo indietro e lasciò andare il braccio.
Sir Hubert si massaggiò il polso. “Voglio che tu te ne vada da casa mia! Non sei più il benvenuto qui!”
“Penso tu abbia ragione,” disse Henry. “Dovrei proprio andarmene. Vogliate scusarmi.”
Si sentiva stranamente calmo mentre lasciava la stanza, dirigendosi al piano di sopra nella stanza che aveva fin da bambino. Lì iniziò a mettere insieme le sue cose, capendo ciò di cui avrebbe avuto bisogno e cosa avrebbe dovuto fare adesso.
Henry aveva conosciuto poco sua cugina quando era stata in vita. C’era gente che diceva che con i suoi capelli dorati, gli occhi di un bel blu profondo e i tratti affascinanti che lo contraddistinguevano, effettivamente le assomigliava un poco, ma Henry non aveva mai potuto vedere quelle somiglianza. Forse era solo per il fatto che Angelica era sempre stata il modello che aveva lottato per emulare. Era più intelligente, o capace di andare più d’accordo con la gente, e aveva avuto più successo a corte.
Henry non era sicuro che tutte quelle cose fossero vere. In genere, prima che suo padre si sbarazzasse di loro, i suoi insegnanti si erano sempre sorpresi di quanto velocemente Henry imparasse, e poi era sempre stato bravo a far fare alla gente quello che voleva. La sua mancanza di successo a corte era per lo più derivata da una mancanza di interesse.
“Questo deve cambiare,” disse Henry a se stesso.
Aveva sentito voci su sua cugina, ma era anche stato tanto intelligente da cercare le sue informazioni, pagando gli uomini per ciò che sapevano e bevendo con dei viaggiatori nella locanda locale. Da quello che poteva capire, sua cugina era stata messa da parte non una volta, ma due dal principe Sebastian, il ragazzo che si diceva avesse assassinato sua madre. Angelica si era poi messa dalla parte di Rupert, probabilmente per assicurarsi di arrivare al trono, solo per trovarsi poi con l’invasione di Sofia Danse, che aveva trasformato in un bersaglio chiunque avesse un collegamento con la famiglia al governo.
“E questo l’ha fatta uccidere,” mormorò Henry mentre prendeva abiti e denaro, pistole e il suo vecchio stocco da duello.
Non aveva dubbio che Angelica avesse utilizzato copiosamente le sue pratiche nefande per arrivare dove era finita. Una parte di Henry avrebbe voluto non capire come queste cose funzionassero, ma lo capiva, e neanche una come lei finiva per diventare regina per caso. Era sempre stata veloce a ingannare o mentire nei giochi che facevano da bambini, ogni volta che pareva che la cosa le portasse dei vantaggi.
Però le cose di cui la accusavano i pettegolezzi che circolavano… quelli sembravano più la revisione della storia da parte di qualcuno che cercava di rendere se stesso innocente. Erano una scusa per farla uccidere, liberando la via verso il potere.
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