Neanche sapeva se ci fosse un Lord Dunham, ma il nome le sembrava giusto. Si aspettò che il conduttore della carrozza le rispondesse, o almeno brontolasse per il pagamento. Invece si limitò a inchinarsi.
“Sì, mia signora.”
Il viaggio in carrozza attraverso la città fu più comodo di quanto Sofia si sarebbe immaginata. Più comodo di certo che viaggiare dietro ai carri, e molto più breve. Nel giro di pochi minuti poté vedere i cancelli che si avvicinavano. Sofia si sentì serrare il cuore, perché lì c’era sempre lo stesso servitore di prima. Poteva farcela? L’avrebbe riconosciuta?
La carrozza rallentò e Sofia si sforzò di sporgersi, sperando di avere l’aspetto che doveva.
“È iniziato il ballo?” chiese con il suo nuovo accento. “Sono arrivata nel momento giusto per creare un ingresso d’impatto? E cosa più importante: come sono? I miei servitori dicono che questo sia adatto per la vostra corte, ma mi sembra di essere come una puttana da molo.”
Non poté resistere a quella piccola vendetta. Il servitore al cancello fece un profondo inchino.
“Vossignoria non avrebbe potuto avere tempismo migliore,” la rassicurò, con quel genere di falsa sincerità che Sofia immaginò piacesse ai nobili. “E ha un aspetto assolutamente amorevole, ovviamente. La prego, entri.”
Sofia chiuse la tendina della carrozza mentre avanzava, ma solo perché nascondesse il suo stupefatto sollievo. Stava funzionando. Stava funzionando davvero.
Sperava solo che le cose stessero andando altrettanto bene per Kate.
Kate si stava godendo la città più di quanto aveva pensato possibile da sola. Sentiva ancora fortemente la mancanza di sua sorella, e voleva ancora uscire in aperta campagna, ma per ora Ashton era il suo terreno di gioco.
Si fece strada attraverso le strade cittadine, e c’era qualcosa di particolarmente attraente nel perdersi in mezzo alla folla. Nessuno guardava dalla sua parte, niente più di quanto guardassero gli altri apprendisti e scugnizzi, figli più giovani o futuri combattenti della città. Con i suoi abiti maschili e con i suoi capelli corti a spazzola, Kate poteva passare per uno qualsiasi di loro.
C’era così tanto da vedere in città, e non solo i cavalli a cui Kate lanciava un’occhiata bramosa ogni volta che ne vedeva passare uno. Si fermò davanti a un venditore che trattava armi per la caccia su un carro, balestre leggere e moschetti che sembravano incredibilmente grandi. Se Kate avesse potuto prenderne uno, l’avrebbe fatto, ma gli uomini tenevano d’occhio con molta attenzione chiunque si avvicinasse.
Ma non tutti erano così attenti. Kate riuscì a rubare un pezzo di pane dal tavolo di un locale, un coltello da un punto dove qualcuno l’aveva usato per appuntare un foglietto religioso. Il suo talento non era perfetto, ma sapere dove si trovavano i pensieri e l’attenzione della gente era un grosso vantaggio quando si trattava della città.
Proseguì, cercando un’opportunità di prendere altre cose che le sarebbero servite per la vita in campagna. Era primavera, ma questo significava solo pioggia al posto della neve per la maggior parte dei giorni. Cosa le sarebbe servito? Kate iniziò a controllare le cose contandole con le dita. Una borsa, spago per fare delle trappole per gli animali, una balestra se fosse riuscita ad accaparrarsene una, e una tela cerata per tenere a bada la pioggia. Un cavallo. Sicuramente un cavallo, nonostante tutti i rischi che un furto di cavallo portava con sé.
Non che tutto il resto fosse tanto sicuro. C’erano dei patiboli in alcuni angoli che portavano le ossa di criminali morti da tempo, conservate in modo che la lezione potesse avere lunga durata. Su uno dei vecchi cancelli, distrutti dall’ultima guerra, c’erano tre teschi conficcati su delle picche: erano probabilmente quelli del cancelliere traditore e dei suoi cospiratori. Kate si chiese se qualcuno ne sapesse di più.
Diede un’occhiata anche al palazzo in lontananza, ma solo perché sperava che Sofia stesse bene. Quel genere di posto era per quelli come la benestante regina vedova e i suoi figli, i nobili e i servitori che cercavano di mettere a tacere i problemi del mondo reale con le loro feste e caccie. Non per gente reale.
“Ehi, ragazzo, se hai soldi da spendere, ti mostro qualcosa di bello,” esclamò una donna dalla soglia di una casa il cui intento era ovvio anche senza insegna. Sulla porta stava di guardia un uomo che avrebbe potuto combattere con un orso, mentre Kate poteva sentire i rumori di gente che si divertiva fin troppo anche se ancora non era buio.
“Non sono un ragazzo,” rispose seccamente.
La donna scrollò le spalle. “Non sono delicata. Puoi sempre entrare e guadagnarti qualche soldo da te. Ai vecchi sporcaccioni piacciono quelle un po’ mascoline come te.”
Kate andò oltre, non dandole la soddisfazione di una risposta. Non era la vita che aveva programmato per se stessa. E non era neanche rubare per ottenere quello che voleva.
C’erano altre opportunità che parevano più interessanti. Ovunque guardasse, sembrava che ci fossero reclutatori per una o l’altra delle compagnie libere, che dichiaravano la loro alta paga rispetto agli altri, o le migliori razioni, o la gloria di aver vinto in guerre oltre il Tagliacqua.
Kate andò in realtà verso uno di essi, un uomo dall’aspetto cordiale, sulla cinquantina, che indossava un’uniforme che sarebbe stata meglio a un attore che impersonava un guerriero, piuttosto che a uno vero
“Ehi, ragazzo! Cerchi avventura? Sei temerario? Non hai paura di morire sotto le spade dei tuoi nemici? Beh, sei venuto nel posto sbagliato!”
“Il posto sbagliato?” chiese Kate, senza dare peso al fatto che l’avesse scambiata per un maschio.
“Il nostro generale è Massimo Caval, noto per essere il più cauto tra gli uomini che combattono. Non entra mai in battaglia a meno che non sia certo di poter vincere. Non spreca mai i suoi uomini in confronti inutili. Non…”
“Quindi state dicendo che è un codardo?” chiese Kate.
“Un codardo è la cosa migliore che ci possa essere in guerra, credimi,” disse il reclutatore. “Sei mesi a correre davanti alle forze nemiche mente quelle si annoiano, con solo qualche saccheggio a ravvivare la situazione. Pensaci, la vita, la… aspetta, tu non sei un ragazzo, giusto?”
“No, ma lo stesso so combattere,” insistette Kate.
Il reclutatore scosse la testa. “Non per noi, non puoi. Vattene!”
Nonostante la sua difesa della codardia, il reclutatore sembrava poterle dare uno schiaffone alla testa se Kate fosse rimasta lì, quindi continuò a camminare.
C’erano così tante cose nella città che non avevano senso. La Casa degli Indesiderati era stata un luogo crudele, ma almeno possedeva un certo ordine. Per metà del tempo nella città sembrava che la gente facesse quello che voleva, con poche istruzioni da parte dei governatori della città stessa. Di certo sembrava non esserci alcun piano. Kate attraversò un ponte che era stato costruito con banchi e palchi e anche piccole case, tanto che non era rimasto che un minimo spazio da usare per gli scopi desiderati. Kate si ritrovò a camminare lungo delle strade che si chiudevano a spirale su loro stesse, vicoli che in qualche modo diventavano i tetti di case disposte a un livello più basso e che poi passavano il posto a delle scale a pioli.
Per quanto riguardava la gente nelle strade, l’intera città sembrava folle. Pareva esserci qualcuno che gridava a ogni angolo, dichiarando gli elementi della propria personale filosofia o denunciando il coinvolgimento del regno in guerre nelle acque.
Kate si rintanava nelle soglie delle porte quando vedeva le figure mascherate dei sacerdoti e delle suore che seguivano gli imperscrutabili compiti della Dea Mascherata, ma dopo la terza o quarta volta decise di continuare a camminare. Vide una persona frustare una catena di prigionieri, e si trovò a chiedersi quale parte della grazia divina rappresentasse tutto ciò.
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