Felix. Felix. Felix. Era tutto ciò di cui Bryn parlava in quei giorni. Era passata dall’essere una mangiatrice di uomini seriale a una fidanzatina fedele. In circostanze normali, Keira sarebbe stata entusiasta che la sorella avesse finalmente trovato una relazione stabile, ma Felix aveva la stessa età della loro madre e lei non riusciva a evitare di esserne vagamente disgustata. Faceva un po’ troppo “Problemi con la Figura Paterna” per i suoi gusti. Il fatto che il loro stesso padre le avesse abbandonate quando erano solo bambine non faceva altro che confermare la sua teoria.
“Che genere di programmi?” chiese.
Notò un netto rossore risalire sul collo di Bryn. Lei scrollò le spalle in una maniera che Keira identificò subito come un tentativo di sembrare noncurante. “Oh, solo un po’ di shopping di arredamento.”
Keira socchiuse gli occhi. Perché lo shopping di arredi per la casa avrebbe dovuto farla arrossire? Forse perché era il tipo di cosa che faceva un’adulta, che era qualcosa che Bryn, proprio come Peter Pan, aveva giurato di non diventare mai. O forse era perché la sorella festaiola non riusciva ad ammettere di potersi divertire scegliendo lampade insieme al suo innamorato tanto quanto una volta faceva bevendo e ballando tutta la notte nei nightclub di New York. Oppure…
“Quando parli di arredamento non intendi dire una statuina ornamentale di un gatto da mettere sopra il caminetto, vero?” domandò Keira, voltandosi di scatto per studiare meglio il volto di Bryn.
“No,” rispose la sorella nello stesso tono allegro. “Parlavo più di mobili.”
Keira rimase a bocca aperta. “Perché vai a comprare mobili con Felix?”
Bryn assunse una sfumatura intensa di rosso. “Si è trasferito in un nuovo appartamento, ecco tutto. Non significa niente. Smettila di guardarmi così!”
“Andrai a vivere con lui?” volle sapere Keira, mettendo sotto torchio la sorella.
“Non lo so,” rispose lei con una risata. “Chi lo sa?” Sprofondò la faccia nella tazza da caffè, cercando di nascondere un sorriso e fallendo miseramente. Non esisteva al mondo una tazza abbastanza grande da riuscire a nascondere l’ampiezza del sorriso di Bryn.
Keira era senza parole. Non riusciva a credere alle sue orecchie. La sorella alla fine era stata domata. Quella sì che era un’avventura degna di uno dei suoi articoli!
“E comunque, smettila di cambiare argomento,” disse Bryn, tutto a un tratto. “Stavamo parlando di te e della tua trasformazione in un sacco di patate. Non puoi passare l’ennesimo weekend chiusa in casa. Ti prego, esci e fai qualcosa. Non ti fa bene stare seduta al chiuso tutto il giorno.”
“Fa freddo fuori,” si lagnò Keira.
“Quindi?” rispose Bryn. “Mettiti un cappello! Sei nata e cresciuta a New York, puoi sopportare il freddo!”
Lei si morse il labbro. Le venne in mente un messaggio che le era arrivato da Shelby la sera prima. Ancora non le aveva risposto, ma l’amica l’aveva invitata a una festa sabato sera, vale a dire quel giorno.
“A dir la verità, stasera esco,” dichiarò a Bryn, con un certo compiacimento.
“Davvero?” chiese la sorella, inarcando un sopracciglio con ovvia incredulità.
“Sì,” ripeté seccamente Keira. “Vado a una festa. Stavo per domandarti se vuoi venire anche tu.”
“Sono felice di saperlo. Ma non posso. Io e Felix passiamo la serata a casa.”
Keira scoppiò in una fragorosa risata. “Ma chi sei tu?”
Bryn ridacchiò. Con una leggera scrollata di spalle disse: “La gente cambia.”
Quando la sorella replicò con poco più di un grugnito, Bryn si sedette accanto a lei e le strofinò la schiena. Tutta quella premura era molto insolita da parte sua.
“Lo so che stai male,” disse con voce rassicurante e materna. “Ma rimuginare sulla sofferenza non ti aiuta a guarire. Devi alzarti e affrontare il giorno. Una doccia ti farebbe bene.”
“Va bene,” brontolò Keira. “Ho capito l’antifona.”
Si alzò dal divano con i muscoli doloranti. Il torcicollo ormai stava diventando una parte integrante di lei.
“Sarò già uscita quando avrai finito,” l’avvertì Bryn.
“Okay, divertiti,” rispose Keira. “Saluta Felix da parte mia.”
Bryn arrossì all’istante.
Keira andò in bagno, scuotendo la testa di fronte alla sua totale trasformazione. Era incredibile quanto l’amore di un uomo avesse cambiato la sorella, pensò, sfilandosi il pigiama sudicio e aprendo l’acqua. Entrò nella doccia, chiudendosi la porta alle spalle.
Mentre l’acqua le scorreva sui capelli e la pelle, Keira rifletté meravigliata sull’inversione di ruoli che avevano subito lei e Bryn. Per quanto la sorella fosse cambiata per il meglio, lei sentiva di essere cambiata per il peggio. La fine della sua relazione con Cristiano l’aveva travolta come un treno merci. Stava persino influenzando il suo lavoro. Elliot non vedeva l’ora di mandarla di nuovo all’estero per un altro incarico ma ormai avevano già fatto tre riunioni per parlarne e ogni volta Keira aveva trovato una scusa per non prendere una decisione definitiva riguardo alla location. Quando Elliot aveva insistito, lei gli aveva ricordato che le aveva promesso più libertà creativa dopo l’ultimo incarico, e così lo aveva temporaneamente zittito. Ma non sarebbe durata per sempre, lo sapeva. Proprio come non poteva continuare per sempre a dormire sul divano dell’appartamento di Bryn. Avrebbe dovuto rimettersi in sesto prima o tardi.
Si sciacquò il sapone dai capelli, realizzando al contempo che Bryn aveva avuto ragione. Una doccia era proprio quello che le serviva per rinfrescarsi le idee. Forse andare a una festa quella sera le avrebbe fatto bene, anche se non ne aveva voglia. A volte quel che si voleva e quello di cui si aveva bisogno erano cose diverse, ricordò a se stessa. Si ripeteva quelle parole ogni volta che si ritrovava a sentirsi in colpa per quello che era successo con Cristiano. Solo perché lo aveva voluto, non significava che fosse l’uomo giusto per lei. Tuttavia spesso le era più facile credere alle proprie parole che a quelle degli altri.
Uscì dalla doccia, si avvolse in un asciugamano fresco, e tornò in soggiorno per cercare degli abiti puliti per la giornata. Tutte le sue cose erano ancora conservate dentro scatole e valigie, ma si era tanto abituata a quel modo di vivere che ormai sapeva dove trovarne la maggior parte. La maglia che cercava doveva essere nella scatola da scarpe sotto al tavolino da caffè. Si abbassò per prenderla. Allo stesso tempo le cadde lo sguardo sul cellulare. Lottò contro la familiare compulsione a controllare se Cristiano si era fatto sentire, afferrando invece la scatola e rovistandovi dentro alla caccia della maglia che le serviva. Mentre la tirava fuori, ripensò all’ultima volta che l’aveva indossata: a Parigi, durante una delle loro passeggiate romantiche nella città bagnata dalla pioggia. Immediatamente le si strinse il cuore e lasciò cadere l’indumento, afferrando al suo posto il cellulare, ormai priva di forza di volontà.
Non c’erano notifiche ma controllò individualmente ogni applicazione nel caso lui avesse deciso di mettersi in contatto con qualche mezzo meno scontato di un messaggio o un’email; un “like” su una delle sue foto, per esempio, o articolo rilevante pubblicato sulla sua bacheca di Facebook. Ma con un sospiro triste, si rese conto che non c’era nulla. Cristiano non aveva fatto alcun tentativo di comunicare, nemmeno impercettibilmente, da quando lei aveva chiuso la loro relazione all’aeroporto Charles de Gaulle.
La sensazione di turbamento nel petto le fece capire quanto avesse bisogno di vedere i suoi amici quella sera. Anche se una festa non era l’ambiente migliore per lei in quel momento, stare insieme a Maxine e Shelby le avrebbe fatto bene. Per la prima volta dopo tanto tempo, si ritrovò a desiderare la compagnia umana.
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