Benito Mussolini - La Marcia su Roma

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In questa raccolta vengono presentati articoli scritti sul «Popolo d'Italia» da Benito Mussolini e altri discorsi e scritti tra il 1921 e 1922.La retorica e la propaganda del fondatore e capo del fascismo direttamente dalla sua penna.

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E vengo al Partito Popolare. ( Commenti ).

Ricordo ai popolari che nella storia del fascismo non vi sono invasioni di chiese, e non c’è nemmeno l’assassinio di quel frate Angelico Galassi, finito a revolverate ai piedi di un altare. Vi confesso che c’è qualche legnata ( commenti ) e che c’è un incendio sacrosanto di un giornale, che aveva definito il fascismo una associazione a delinquere. ( Commenti, interruzioni al centro, rumori ).

Il fascismo non predica e non pratica l’anticlericalismo. Il fascismo, anche questo si può dire, non è legato alla massoneria, la quale in realtà non merita gli spaventi da cui sembrano pervasi taluni del Partito Popolare. Per me la massoneria è un enorme paravento dietro al quale generalmente vi sono piccole cose e piccoli uomini. ( Commenti, si ride ). Ma veniamo ai problemi concreti.

Qui è stato accennato al problema del divorzio. Io, in fondo in fondo, non sono un divorzista, poiché ritengo che i problemi di ordine sentimentale non si possono risolvere con formule giuridiche; ma prego i popolari di riflettere se sia giusto che i ricchi possano divorziare, andando in Ungheria, e che i poveri diavoli siano costretti qualche volta a portare una catena per tutta la vita.

Siamo d’accordo con i popolari per quel che riguarda la libertà della scuola; siamo molto vicini ad essi per quel che riguarda il problema agrario, per il quale noi pensiamo che, dove la piccola proprietà esiste, è inutile sabotarla, che dove è possibile crearla, è giusto crearla, che dove non è giusto crearla perché sarebbe antiproduttiva, allora si possono adottare forme diverse, non esclusa la cooperazione più o meno collettivista. Siamo d’accordo per quel che riguarda il decentramento amministrativo, con le dovute cautele: purché non si parli di federalismo e di autonomismo, perché dal federalismo regionale si andrebbe a finire al federalismo provinciale e così via di seguito, per una catena infinita, l’Italia ritornerebbe a quella che era un secolo fa.

Ma vi è un problema che trascende questi problemi contingenti e sul quale io richiamo l’attenzione dei rappresentanti del Partito Popolare, ed è il problema storico dei rapporti che possono intercedere, non solo fra noi fascisti e il Partito Popolare, ma fra l’Italia e il Vaticano. ( Segni di attenzione ).

Tutti noi, che dai quindici ai venticinque anni, ci siamo abbeverati di letteratura carducciana, abbiamo odiato «una vecchia vaticana lupa cruenta», di cui parlava Carducci, mi pare, nell’ode A Ferrara ; abbiamo sentito parlare di «un pontefice fosco del mistero», al quale faceva contrapposto un poeta «sacerdote dell’augusto vero, vate dell’avvenire»; abbiamo sentito parlare di una «tiberina, vergin di nere chiome», che avrebbe insegnato «la ruina di un’onta senza nome» al pellegrino avventuratosi verso San Pietro.

Ma tutto ciò che, relegato nel campo della letteratura, può essere brillantissimo, oggi a noi fascisti, spiriti eminentemente spregiudicati, sembra alquanto anacronistico.

Affermo qui che la tradizione latina e imperiale di Roma oggi è rappresentata dal cattolicismo. ( Approvazioni ).

Se, come diceva Mommsen, venticinque o trenta anni fa, non si resta a Roma senza una idea universale, io penso e affermo che l’unica idea universale che oggi esista a Roma, è quella che si irradia dal Vaticano. ( Approvazioni ).

Sono molto inquieto quando vedo che si formano delle Chiese nazionali, perché penso che sono milioni e milioni di uomini, che non guardano più all’Italia e a Roma. Ragione per cui io avanzo questa ipotesi; penso anzi che, se il Vaticano rinunzia definitivamente ai suoi sogni temporalistici — e credo che sia già su questa strada — l’Italia, profana o laica, dovrebbe fornire al Vaticano gli aiuti materiali, le agevolazioni materiali per scuole, chiese, ospedali o altro, che una potenza profana ha a sua disposizione. Perché lo sviluppo del cattolicismo nel mondo, l’aumento dei quattrocento milioni di uomini, che in tutte le parti della terra guardano a Roma, è di un interesse e di un orgoglio anche per noi che siamo italiani.

Il Partito Popolare deve scegliere: o amico nostro o nostro nemico o neutrale. Dal momento che io ho parlato chiaro, spero che qualche oratore del Partito Popolare parlerà altrettanto chiaro.

Quanto alla democrazia sociale, essa ci appare molto equivoca. ( Si ride ). Prima di tutto non si capisce perché si chiami sociale. Una democrazia è già necessariamente sociale; pensiamo, perciò, che questa democrazia sociale sia una specie di cavallo di Ulisse, che rechi nei suoi fianchi un uomo che noi combatteremo continuamente. ( Commenti ).

Sono all’ultima parte del mio discorso, e voglio toccare un argomento molto difficile, e che, dati i tempi, è destinato a richiamare l’attenzione della Camera. Parlo della lotta, della guerra civile in Italia.

Non bisogna prima di tutto esagerare, anche di fronte allo straniero, la vastità e le proporzioni di questa lotta. I socialisti hanno pubblicato un volume di trecento pagine; domattina ne esce uno nostro di trecento. D’altra parte tutte le nazioni d’Europa hanno avuto un po’ di guerra civile. C’è stata in Ungheria, c’è stata in Germania, c’è oggi in Inghilterra, sotto forma di un colossale conflitto sociale. C’è stata anche in Francia, quando Jouhaux lanciò le sue famose «ondate», che furono infrante da un Governo che aveva più coraggio degli uomini che sono ora a quel posto. È inutile che Giolitti dica che vuole restaurare l’autorità dello Stato. Il compito è enormemente difficile, perché ci sono già tre o quattro Stati in Italia, che si contendono il probabile, possibile esercizio del potere.

D’altra parte, per salvare lo Stato, bisogna fare un’operazione chirurgica. Ieri l’onorevole Orano diceva che lo Stato è simile al gigante Briareo, che ha cento braccia. Io credo che bisogna amputarne novantacinque; cioè bisogna ridurre lo Stato alla sua espressione puramente giuridica e politica.

Lo Stato ci dia una polizia, che salvi i galantuomini dai furfanti, una giustizia bene organizzata, un esercito pronto per tutte le eventualità, una politica estera intonata alle necessità nazionali. Tutto il resto, e non escludo nemmeno la scuola secondaria, deve rientrare nell’attività privata dell’individuo. Se voi volete salvare lo Stato, dovete abolire lo Stato collettivista ( «bene!» ), così come c’è stato trasmesso per necessità di cose dalla guerra, e ritornare allo Stato manchesteriano.

La guerra civile si aggrava anche per questo fatto: che tutti i partiti tendono a formarsi, a inquadrarsi in eserciti; quindi l’urto, che se non era pericoloso quando si trattava di partiti allo stato di nebulosa, è molto più pericoloso oggi che gli uomini sono nettamente inquadrati, comandati e controllati. D’altra parte è pacifico, ormai, che sul terreno della violenza le masse operaie saranno battute. Lo riconosceva molto giustamente Baldesi, ma non ne diceva la ragione profonda; ed è questa: che le masse operaie sono naturalmente, oserei dire santamente, pacifondaie, perché rappresentano sempre le riserve statiche delle società umane, mentre il rischio, il pericolo, il gusto dell’avventura sono stati sempre il compito, il privilegio delle piccole aristocrazie. ( Approvazioni all’estrema destra ). E allora, o socialisti, se voi convenite e ammettete e confessate che su questo terreno noi vi batteremo ( rumori all’estrema sinistra ), allora dovete concludere che avete sbagliato strada. ( Interruzioni all’estrema sinistra ).

La violenza non è per noi un sistema, non è un estetismo, e meno ancora uno sport : è una dura necessità alla quale ci siamo sottoposti. ( Commenti ). E aggiungo anche che siamo disposti a disarmare, se voi disarmate a vostra volta, soprattutto gli spiriti.

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