“Ha senso che t’immagini il peggio” disse Rhodes. “Considerato tutto ciò che hai passato nell’ultimo anno. Il che mi porta all’ovvia domanda: perché non ti sei presa qualche giorno di permesso?”
“Perché avrei finito per immischiarmi nel caso. Preferirei continuare ad avere un lavoro al Bureau lavorando attivamente su un caso e confidando che la polizia di Washington capisca dove si trova mia sorella, piuttosto che essere licenziata per non essere rimasta fuori dalle indagini durante i miei presunti giorni di permesso.”
“Insomma, sei fregata in ogni caso” sospirò Rhodes.
“Qualcosa del genere.”
“Ma, a rischio di farti incazzare, penso che Johnson abbia ragione. Se non è di competenza del Bureau, devi solo fidarti dei poliziotti.”
“Lo so. Ma è più difficile di quanto sembri, quando la persona scomparsa è tua sorella.”
“Non fingerò di sapere cosa si provi” disse Rhodes. L’emozione nella sua voce era sincera, era chiaro che lo pensasse davvero.
“Grazie, lo apprezzo” disse Chloe.
Quella conversazione, onestamente, non fece altro che turbare Chloe ancora di più. Tuttavia, le venne anche da chiedersi se stesse reagendo in modo eccessivo. Johnson aveva fatto sembrare che l’intera faccenda non fosse poi così grave, e ora ecco Rhodes che sembrava in pratica essere della stessa opinione.
Rimasero in silenzio per un po’, mentre Rhodes guidava verso nord. Poco prima di arrivare a Baltimora, iniziò a scendere una leggera pioggerellina. Riuscirono a entrare in città appena prima che il traffico mattutino invadesse le strade. Chloe esaminò le scarse informazioni in loro possesso, solo poche pagine fresche di stampa in una cartellina che Johnson aveva consegnato loro. L’indirizzo della vittima più recente era già stato inserito nel navigatore, un piccolo centro abitato a circa tre miglia dal centro di Baltimora.
“Fine, puoi promettermi una cosa?” chiese Rhodes mentre si avvicinavano a destinazione.
“Non faccio promesse” rispose Chloe. Voleva dirlo a mo’ di scherzo, ma le uscì in tono piuttosto duro. “Però posso fare del mio meglio per mantenere la mia parola.”
“Va bene, mi accontenterò. Voglio solo che tu sia sincera con me e mi dica quando i tuoi problemi famigliari iniziano ad essere troppo pesanti per te. Per una volta, vorrei che tu ed io riuscissimo ad arrivare sulla scena e risolvere un caso entro ventiquattr’ore. Senza complicazioni o battute d’arresto.”
“Sì, su quello posso darti la mia parola.”
Questo sembrò spezzare la tensione che aleggiava tra loro nell’abitacolo. Quando arrivarono nel quartiere, Chloe si sentiva quasi tornata normale. Pensava a Danielle ogni due secondi, certo, ma ricordava anche quanto Danielle fosse stata volubile in passato. Tenendo conto di quello, il fatto che fosse scomparsa non era poi così strano.
Vero, ma anche papà?
Allontanò quel pensiero, mentre Rhodes parcheggiava l’auto davanti a una casa a due piani che era essenzialmente la copia sputata di ogni altra abitazione sulla strada. Non che non fosse splendida. Era semplice ma in modo grandioso, come quelle che si vedevano in televisione, nelle trasmissioni di ristrutturazioni di case.
“Sei pronta?” fece Rhodes.
Chloe trattenne la risposta sarcastica che aveva sulla punta della lingua. Se Rhodes aveva intenzione di trattarla con i guanti per la situazione di Danielle, non era più così sicura che sarebbe riuscita ad affrontare quel caso.
“Prontissima” fu tutto ciò che disse uscendo dall’auto sotto la pioggia battente.
***
Il detective che si era occupato del caso era uno spilungone di nome Anderson. Era seduto al tavolo della cucina, quando Chloe e Rhodes entrarono in casa. Alzò lo sguardo dallo schermo dell’iPad che stava consultando, quindi lo mise da parte come a scusarsi e si alzò. Chloe diede una sbirciata allo schermo e vide che stava guardando le foto della scena del crimine proprio di quella casa.
“Ben Anderson” si presentò tendendo la mano.
“Agenti Fine e Rhodes” disse Chloe, stringendola. “È molto che aspetta?”
“Solo una decina di minuti. Naturalmente, sono già stato qui tre o quattro volte nelle ultime sedici ore, solo per cercare di farmi un’idea del posto.”
“Era sulla scena anche quando il corpo era ancora qui?” volle sapere Chloe.
“Sulla seconda scena sì.”
“Dove si trovava il corpo?” chiese Rhodes.
Anderson fece loro cenno di seguirlo, mentre afferrava l’iPad. Iniziò ad attraversare la cucina, aprendo una porta che conduceva fuori. “Qui fuori, nel portico sul retro...anche se non c’è molto da vedere.”
Uscirono sul portico posteriore. Chloe inizialmente non vide nulla di minimamente interessante. Era un bel portico che affacciava su un acro di rigogliosa vegetazione. Una griglia si trovava nell’angolo più lontano, protetta da un telone con impresso il logo dei Baltimore Ravens. I pochi mobili da giardino erano belli, ma niente di speciale – probabilmente erano stati acquistati da Wayfair o in un ipermercato Costco. Piovigginava ancora, e sul pavimento in legno si intravedevano minuscole goccioline d’acqua. Chloe notò una chiazza di sangue a forma di virgola sulle assi, della giusta misura per circondare parzialmente la testa di qualcuno.
“La vittima si chiamava Bo Luntz” disse Anderson. “Sua moglie, Sherry, lo ha scoperto rientrando dal lavoro. Era il loro anniversario. Lo ha trovato qui fuori, nel portico sul retro, sdraiato sul pavimento. Per un po’ è rimasta svenuta. Non si era nemmeno accorta che gli era stato infilato un calzino nero in bocca, quasi fino in gola. Dice di essersene resa conto solo vagamente, ma...era sotto shock, come è comprensibile.”
“Il sangue” disse Chloe, accucciandosi “Indica che non è stato solo strangolato. C’erano segni di colluttazione?”
“No. Niente mobili ribaltati, niente di insolito. L’unico elemento che abbiamo è il colpo che ha subito al cranio, proprio lungo la fronte.”
Detto questo, consegnò a Chloe l’iPad che aveva con sé. Aveva aperto una foto del cadavere. Chloe zoomò sulla fronte di Bo Luntz. C’era una netta rientranza e un livido che si andava formando. Dalla forma della cavità, pensava che potesse essere stata causata da qualcosa con un’estremità piatta, larga forse dodici o quindici centimetri.
“I lividi sembrano freschi” sottolineò Rhodes, guardando da sopra la spalla di Chloe. “Quando è stata scattata questa foto, quanto tempo era passato dal rinvenimento del corpo?”
“Circa un’ora, direi. E, in base a quello che ci ha detto la signora Luntz, il sangue era ancora umido quando ha trovato il corpo. Quindi pensiamo che sia stato ucciso al massimo una o due ore prima del suo ritorno a casa.”
“Nessuna impronta sul calzino in gola?” chiese Chloe.
“No. Lo stesso dentro casa. Nessun segno di effrazione...niente di niente.”
Rhodes iniziò a sfogliare i documenti che avevano ricevuto da Johnson, chinandosi in avanti per proteggere i fogli dalla pioggia col suo corpo. “Bo Luntz, cinquantadue anni, un figlio, impiegato della Mutual Telecom. Nessun precedente penale. Ha qualcosa da aggiungere, detective Anderson?”
“Stando a quanto è emerso dai colloqui preliminari con vicini di casa e amici, tutto quello che sappiamo è che era un uomo molto apprezzato. Era un vigile del fuoco volontario, e prendeva parte a iniziative benefiche ogni volta che poteva. Faceva da assistente allenatore per una squadra di football amatoriale. Ho sentito io stesso cinque persone e abbiamo almeno una dozzina di testimonianze in archivio. Quell’uomo era completamente pulito.”
Chloe annuì, ma aveva già sentito quella versione in numerose occasioni. Quasi tutti riuscivano a dare l’impressione di essere perfettamente puliti. Ma lei sapeva che bastava scavare un po’ per trovare crepe nella superficie, che spesso poi portavano alla scoperta di oscuri segreti.
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