Blake Pierce - Ritorno a casa

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“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha creato con maestria personaggi dalla psiche talmente ben descritta da farci sentire dentro la loro mente, a provare le loro stesse paure e fare il tifo per loro. Questo libro è ricco di colpi di scena e vi terrà svegli fino all’ultima pagina.” ––Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il Killer della Rosa) RITORNO A CASA (Un Thriller Psicologico di Chloe Finee) è il libro #5 di una nuova serie thriller di Blake Pierce, autore del best–seller Il Killer Della Rosa (Libro #1, download gratuito), che ha ottenuto più di 1000 recensioni da cinque stelle.Quando due mariti, migliori amici, vengono trovati morti in un ricco paese periferico, l’agente speciale della sezione VICAP dell’FBI Chloe Fine, 27 anni, viene incaricata di smascherare le bugie di quella cittadina e di trovare l’assassino. Chloe dovrà penetrare la facciata perfetta della città, andando oltre le apparenze per capire la verità su chi fossero quegli uomini e chi potesse volerli morti. Ma in un luogo che prospera nella sua esclusività, non sarà facile da fare.Quali segreti nascondevano quei mariti?Thriller psicologico dall’intensa carica emotiva, personaggi ben costruiti, un’ambientazione intima e una suspense mozzafiato, RITORNO A CASA è il libro #5 in una nuova, avvincente serie che vi terrà incollati alle sue pagine fino a tarda notte. Anche il libro #6 nella serie di CHLOE FINE sarà presto disponibile.

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Stava quasi per raccontargli i suoi sospetti su Danielle, pensando che avrebbe potuto offrirle qualche prezioso consiglio. Ma alla fine decise che era qualcosa di troppo personale - e che metteva a nudo un lato paranoico di lei che non era pronta a mostrare a Moulton.

“Quindi...posso supporre che non ci sia stata una risoluzione con tuo padre, tua sorella e il diario?”

“No... è più che altro...”

Smise non solo di parlare, ma anche di camminare. Il suo appartamento era a un isolato di distanza, ma in quel momento non ci pensava affatto.

“Fine?”

“Sì...”

Non avevo nemmeno pensato a papà. È un po’ che non lo sento... sicuramente non negli ultimi giorni...

“Moulton... forse mi hai aiutato a capire qualcosa. Devo andare.”

“Ehi, sono felice di esserti stato d’aiuto” disse con un pizzico di allegria. “A presto, Fine.”

Chloe concluse la telefonata, quindi compose subito il numero di suo padre. Si portò il cellulare all’orecchio e, dopo un attimo di silenzio, partì il messaggio della segreteria. Restò lì immobile per un momento, cercando di prendere una decisione, sforzandosi di non saltare alle conclusioni presumendo il peggio.

Ma, ad essere sinceri, erano troppe le cose che non tornavano. Considerato quanto suo padre sembrasse ansioso di farsi perdonare, non aveva senso che evitasse le sue chiamate. Certo, era improbabile supporre che anche lui avesse lasciato la città o fosse scomparso, ma il fatto che si stesse verificando la stessa situazione con Danielle...era troppo da ignorare.

Chloe rimise in tasca il telefonino e coprì la distanza rimanente fino al suo appartamento di corsa. La preoccupazione si stava trasformando in paura e improvvisamente aveva l’impressione che ogni minuto che passava potesse aggravare ancora di più quel mistero.

CAPITOLO DUE

Trascorsero esattamente sedici minuti da quando Chloe aveva ricevuto la telefonata di Moulton a quando parcheggiò davanti all’appartamento di suo padre. La sua auto era lì, il che era un buon segno, suppose. Ciò però non servì minimamente ad alleviare il panico che cresceva in lei minuto dopo minuto. Corse su per gli scalini e bussò alla porta con urgenza.

Attese diversi secondi senza ricevere risposta. Ritentò, questa volta picchiando più forte. Si avvicinò, con il naso a pochi centimetri dall’uscio, e disse: “Papà, apri la porta.”

Di nuovo, non ci fu risposta. Nutrendo ben poche speranze, tentò di aprire la porta e si stupì di constatare che non era chiusa a chiave. Mentre l’uscio si spalancava, si rese conto di quanto fosse strano. E improvvisamente, il fatto che la porta fosse aperta non fece che aumentare ulteriormente la sua preoccupazione.

Entrò chiudendosi la porta alle spalle. La villetta a schiera era silenziosa e ordinata. Entrò nel soggiorno, osservando la casa con circospezione. Si guardò intorno alla ricerca di qualsiasi segno che fosse successo qualcosa di insolito, ma non riuscì a trovare nulla, a parte il fatto che la porta d’ingresso non era chiusa a chiave.

Uscì dal soggiorno e percorse il piccolo corridoio che portava alla camera da letto. Anche lì non notò nulla di insolito. Il letto era fatto e c’era un mucchietto di vestiti sporchi di fianco alla cassettiera. Si rese conto che stava praticamente sbirciando nella nuova vita privata di suo padre e questo la mise a disagio. Non voleva pensare a lui come una persona diversa; era venuta a patti con il genere di uomo che era stato realmente e, per quanto la riguardava, era così che voleva ricordarlo sempre.

Lasciò la camera da letto, rimpiangendo la sua decisione di venire lì. Ma, già che c’era, immaginò valesse la pena controllare tutte le stanze. Si diresse in cucina e, prima di entrare, notò la prima cosa che sembrava fuori posto.

Il bollitore era sul pavimento. Non c’era acqua per terra ed era a più di due metri dai fornelli, dove avrebbe dovuto essere. Lentamente, si chinò per raccoglierlo. Le sue dita esitarono, sospese a pochi centimetri dal manico.

C’era una macchia sul lato, di una tonalità rosso scuro che spiccava sull’acciaio. Non era un vero e proprio schizzo, somigliava piuttosto ad una goccia delle dimensioni di una monetina. Era una tonalità di rosso scuro che aveva visto parecchie volte, da quando lavorava al Bureau, quindi non perse nemmeno tempo a chiedersi cosa potesse essere.

Era sangue. Sangue secco, il che significa che era rimasto sul bollitore per almeno otto, dieci ore. Probabilmente più a lungo.

Si inginocchiò vicino al bollitore e cercò di formulare un’ipotesi nella mente. Il primo possibile scenario era che Danielle fosse venuta lì per qualche motivo e che il padre l’avesse aggredita - forse portandola via con sé. Ma non aveva senso, poiché la sua auto era ancora lì. Inoltre, se fosse stato un rapimento premeditato, sarebbe stato più attento a non lasciare prove, e il bollitore era una prova piuttosto evidente.

Ma allora, se non è andata così, cos’è successo?

Non ne era sicura. C’erano molte possibilità da prendere in considerazione. Ma una cosa era certa: con la porta aperta, il sangue sul bollitore, e ora due persone scomparse, aveva abbastanza elementi sospetti per sporgere ufficialmente denuncia.

Chloe prese il telefono dalla tasca e quasi fece una telefonata al direttore Johnson, ma sapeva che sarebbe stato un errore. Tutti i casi che cominciavano così erano sempre gestiti prima dalla polizia locale. Nonostante ritenesse che il Bureau avrebbe potuto gestirlo meglio perché conosceva il passato delle due persone scomparse, era una questione che riguardava la polizia, per il momento.

Chiamò la centrale e, mentre ascoltava la donna che rispose al telefono, fissò quella goccia di sangue chiedendosi se appartenesse a suo padre o a sua sorella.

***

Le pareva surreale essere la persona interrogata. Il detective incaricato di raccogliere la sua deposizione sembrava perfettamente consapevole del terreno sul quale si stava muovendo. Registrare la dichiarazione di un agente dell’FBI riguardo una questione familiare avrebbe potuto, in fondo, essere una grandissima chance per inserire una stella d’oro nella sua carriera. D’altra parte, era sicuramente anche consapevole del fatto che quell’agente dell’FBI lo stava probabilmente studiando mentre svolgeva il suo lavoro.

A Chloe dispiaceva per lui, davvero...perché lo stava effettivamente studiando. Era molto alto e aveva quasi cinquant’anni. Sembrava annoiato, ma anche vigile - lo stesso sguardo che aveva visto in molti altri detective in passato.

Stava facendo un buon lavoro, anche se sembrava incerto su tutta la situazione. Era arrivato con due poliziotti, entrambi ancora intenti a ispezionare la casa. Chloe fu educata, omettendo di dire che aveva già effettuato un’accurata perlustrazione.

“Così afferma che la porta non fosse chiusa a chiave?” le chiese il detective.

Erano seduti sugli sgabelli della cucina, entrambi a guardarsi intorno come se ci fosse qualcosa che gli era sfuggito. “Esatto” confermò Chloe.

“Sa se di solito la lasciava aperta?”

“No, non ne ho idea. Ma non sembra plausibile. È a Washington DC soltanto da un mese. Dubito che si sentisse già così al sicuro.”

“Le viene in mente qualche motivo per cui suo padre potrebbe aver invitato sua sorella qui?”

Non intendeva raccontare di quando Danielle si era introdotta nel suo appartamento per rubare il diario della madre. Se l’avesse fatto, l’attenzione sarebbe stata concentrata tutta su di lei, mentre era suo padre il cattivo qui. Si rendeva perfettamente conto che così avrebbe ostacolato le indagini, ma non aveva altra scelta che mentire.

“Non mi viene in mente nulla. Papà ha cercato di riavvicinarsi a noi, voleva rimettere le cose a posto. Abbiamo una relazione tesa, noi tre. Danielle è sempre stata quella un po’ più disposta a credere alle sue stronzate.” Ecco la bugia. “Quindi forse l’aveva chiamata per riconciliarsi. Non lo so.”

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