Blake Pierce - La Porta Accanto

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“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha creato con maestria personaggi dalla psiche talmente ben descritta da farci sentire dentro la loro mente, a provare le loro stesse paure e fare il tifo per loro. Questo libro è ricco di colpi di scena e vi terrà svegli fino all’ultima pagina.” --Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il Killer della Rosa) LA PORTA ACCANTO (Un Mistero di Chloe Fine) è il primo libro di una nuova serie thriller di Blake Pierce, autore del best-seller Il Killer Della Rosa (Libro #1, download gratuito), che ha ottenuto più di 1000 recensioni da cinque stelle. Chloe Fine, 27 anni, tirocinante nella Squadra Ricerca Prove dell’FBI, si ritrova costretta ad affrontare il proprio oscuro passato quando la sorella gemella, piena di problemi, ha bisogno del suo aiuto e un cadavere spunta nel suo paesino di provincia.Chloe ha l’impressione che la sua vita sia finalmente perfetta: si è trasferita in una nuova casa nel suo paese natale insieme al fidanzato, la sua carriera nell’FBI è promettente e all’orizzonte si profila il matrimonio.   Tuttavia, ben presto impara che non tutto è come sembra in quel sobborgo di periferia. Chloe inizia a scorgere l’altra faccia della medaglia: i pettegolezzi, i segreti, le bugie. Oltre a ciò, è anche perseguitata dai suoi demoni personali: la misteriosa morte della madre, quando aveva 10 anni, e l’arresto di suo padre. Quando spunta un nuovo cadavere, Chloe capisce che il suo passato e quella cittadina potrebbero essere la chiave per la risoluzione di entrambi i delitti.Thriller psicologico dall’intensa carica emotiva, con un’ambientazione intima e una suspense mozzafiato, LA PORTA ACCANTO è il libro #1 in una nuova, avvincente serie che vi terrà incollati alle sue pagine fino a tarda notte.Il libro #2 nella serie di CHLOE FINE è già prenotabile.

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Il sangue aveva imbrattato tutta la moquette alla base delle scale. Credo che mio padre abbia cercato di spostare il corpo…”

La voce di Chloe si affievolì. Trovava sempre più difficile restare concentrata su quei vecchi lacci delle scarpe. La scena era troppo vivida perché potesse ignorarla.

“Danielle è lì in piedi, proprio davanti alla mamma. Ha le mani e i vestiti sporchi di sangue. Papà sta urlando al telefono, chiedendo di mandare in fretta qualcuno perché c’è stato un incidente. Quando chiude la conversazione, mi guarda e inizia a piangere. Lancia il telefono dall’altra parte della stanza, facendolo rompere contro il muro. Poi viene verso di noi e si china, dicendo che gli dispiace… Dicendo che l’ambulanza sta arrivando. Poi guarda Danielle e farfuglia qualcosa tra le lacrime, che noi capiamo a malapena. Sta dicendo che Danielle deve andare di sopra a cambiarsi i vestiti.

“È quello che fa, e io la seguo. Le chiedo cosa è successo ma lei non vuole parlarmi. Non sta neanche piangendo. Dopo un po’ sentiamo il suono delle sirene. Ci sediamo insieme a papà, aspettando che ci dica cosa succederà. Ma non ce l’ha mai detto. Arriva l’ambulanza, poi la polizia. Un poliziotto gentile ci accompagna fuori sulle scale e rimane con noi finché papà non viene portato via ammanettato. Finché non portano fuori il corpo della mamma…”

All’improvviso l’immagine dei lacci consunti delle scarpe svanì e Chloe era di nuovo a sedere sulla scalinata, che aspettava che la nonna l’andasse a prendere. Il poliziotto in sovrappeso era con lei e, anche se non lo conosceva, la faceva sentire al sicuro.

“Tutto ok?” Chiese Skinner.

“Sì” disse Chloe con un sorriso nervoso. “La parte di papà che lancia il telefonino… Me l’ero completamente dimenticata.”

“E cosa ha provato ricordando?”

Era una domanda difficile. Suo padre era sempre stata una persona irascibile, ma vederlo compiere quel gesto dopo quello che era appena successo a sua madre lo faceva quasi apparire debole, vulnerabile.

“Sono rattristata per lui.”

“Lo ha mai incolpato per la morte di sua madre da quando è successo?” Chiese Skinner.

“A essere sincera, dipende dai giorni. Dipende dal mio umore.”

Skinner annuì e abbandonò la sua posizione, alzandosi e guardandola con un sorriso rassicurante.

“Credo che per oggi possa bastare. La prego di chiamarmi se le capita di avere un’altra reazione del genere davanti ad una scena del crimine. E, comunque, vorrei che ci rivedessimo. Potremmo fissare un appuntamento?”

Chloe ci pensò su, poi annuì. “Va bene, ma sto per sposarmi e ho ancora molte cose da preparare; i fiori, la torta… È un incubo. Posso richiamarla con una data più precisa?”

“Certamente. Fino ad allora… Rimanga vicina all’agente Greene. È un brav’uomo. E ha fatto bene a mandarla da me. Voglio che lei sappia che, essendo all’inizio della sua carriera, il fatto che sia dovuta venire da uno psicoterapeuta per risolvere i suoi problemi non significa nulla. Non è indicativo del suo talento.”

Chloe annuì. Lo sapeva, ma era comunque bello sentirlo dire la Skinner. Si alzò e lo ringraziò. Mentre usciva dalla porta per tornare nella sala d’aspetto, rivide il padre che lanciava il telefonino. Poi però le sovvenne anche un commento che aveva fatto; non che se lo fosse scordato, ma fino a quel giorno era rimasto confuso.

Aveva guardato Danielle e, con voce fin troppo agitata, aveva detto: “Danielle, tesoro… Vai a cambiarti i vestiti. Non abbiamo molto tempo prima che arrivino.”

Quel commento continuò a frullarle in testa per tutto il pomeriggio, facendola rabbrividire. Era come se stesse spingendo per aprire una porta che era rimasta chiusa negli ultimi diciassette anni.

CAPITOLO SETTE

Danielle si svegliò alle otto, con la sensazione di non aver dormito bene, o di non aver dormito affatto. Era rientrata dal lavoro alle 2:45 per poi crollare sul letto alle 3:10. Di solito non aveva problemi a dormire fino alle undici, a volte persino più tardi; invece, quando aprì gli occhi quella mattina alle 8:01, non riuscì più a riaddormentarsi. A dire la verità, era da quando aveva scoperto che Chloe si sarebbe trasferita in città che non riusciva a dormire bene. Le era sembrato quasi che il suo passato la stesse lentamente seguendo, e che non avrebbe smesso finché non l’avesse inghiottita.

Stanca e di malumore, Danielle si fece la doccia, poi fece colazione. Tutto ciò con l’album Too Dark park degli Skinny Puppy come colonna sonora. Mentre metteva la tazza sporca nel lavello, si ricordò che quel giorno sarebbe dovuta andare a fare la spesa. Di solito questo non l’avrebbe seccata. Ma a volte capitava che avesse la sensazione che stare in mezzo alla gente sarebbe stato un errore… Che le persone fossero lì a guardarla, in attesa che commettesse un errore per poi puntarle il dito contro.

Inoltre, temeva che allontanarsi da casa avrebbe dato all’autore delle lettere l’occasione di seguirla. Danielle immaginava che uno di quei giorni l’autore avrebbe smesso di scherzare e l’avrebbe semplicemente uccisa.

Forse quel giorno era proprio oggi.

Guidò fino al supermercato, perfettamente consapevole che quello era uno di quei giorni… Uno di quei giorni in cui aveva paura di tutto. Uno di quei giorni dove si sarebbe costantemente guardata alle spalle. Guidò in fretta, passando addirittura con il rosso, nell’impazienza di portare a termine quella commissione.

Fin da quando Danielle aveva iniziato a ricevere quei messaggi inquietanti sotto la porta, stare in posti pubblici le causava ansia. Era fin troppo facile immaginarsi la persona che aveva scritto le lettere che la seguiva. Persino al bar, si chiedeva se l’autore non fosse una delle persone sedute al bancone che lei aveva appena servito. Quando andava a comprare del cibo d’asporto al ristorante cinese, lui la stava forse seguendo, aspettando l’occasione per aggredirla mentre tornava alla macchina?

Anche dopo essere arrivata sana e salva alla sua destinazione ed essersi precipitata dentro il supermercato praticamente correndo con un carrello delle ruote cigolanti, la preoccupazione era ancora lì. L’autore delle lettere avrebbe potuto essere lì con lei, tra gli scaffali del supermercato, magari osservandola dalla corsia dei cereali per la colazione.

Quella paura così concreta la perseguitava dal giorno dopo quello che era successo con Martin. Era sopraffatta dalla paranoia, e teneva la testa bassa e incassata nelle spalle. Se qualcuno avesse voluto guardarla in faccia, l’avrebbero dovuto fare di proposito, fermandosi e chinandosi. Si detestava per essere così. Aveva sempre avuto problemi simili, il che era il motivo per cui la maggior parte delle sue relazioni raramente duravano più di un mese. Sapeva, durante la sua permanenza a Pinecrest, di aver sviluppato la reputazione di essere una specie di sgualdrina, ma in realtà non è che le piacesse andare a letto con chiunque. Era solo che, quando si sentiva abbastanza a suo agio con un ragazzo da andarci a letto, subentrava la paranoia e cominciava a pensare male di lui. Allora lo mollava, lasciava passare un po’ di tempo per riprendersi, poi ricominciava.

Quando era tornata a Pinecrest qualche anno prima, le cose erano migliorate leggermente. Quando aveva lasciato Boston le era sembrato di battere in ritirata… Ma andava bene così. Almeno era tornata in un luogo che le era familiare. La cosa più difficile a cui abituarsi era la mancanza di ragazzi con cui uscire. All’inizio le aveva creato problemi, anche se era riuscita a rovinare ogni singola relazione che avesse iniziato. Ecco perché il litigio con Martin l’aveva turbata così tanto.

Naturalmente c’erano anche i lati negativi di Pinecrest. Troppe persone si ricordavano di lei e di Chloe. Si ricordavano delle povere, piccole sorelle Fine, che erano finite a vivere con i nonni dopo che la madre era morta e il padre era stato arrestato.

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