Blake Pierce - La Casa Perfetta

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In LA CASA PERFETTA (Libro #3), la profiler criminale Jessie Hunt, 29 anni, appena uscita dall’Accademia dell’FBI, torna a trovarsi braccata dal suo padre assassino, incastrata in un pericoloso gioco del gatto e del topo. Nel frattempo deve correre per fermare un killer in un nuovo caso che la porta nel cuore della periferia, e sull’orlo della propria salute mentale. Jessie si rende conto che la chiave per la sua sopravvivenza si trova nel decifrare il suo passato, un passato che non avrebbe mai voluto dover affrontare di nuovo.Un emozionante thriller psicologico dal ritmo incalzante, con personaggi indimenticabili e una suspense da far battere il cuore, LA CASA PERFETTA è il libro #3 di un’ammaliante nuova serie che ti costringerà a leggere fino a notte fonda.Il libro #4 della serie di Jessie Hunt sarà presto disponibile.

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“Cosa sta cercando esattamente?”

“In questo momento? Solo il tuo tempo, signorina Jessie. Preferirei che non facessi così l’estranea. Sono passati settantacinque giorni da quando mi hai concesso l’ultima volta la tua presenza. Un uomo meno sicuro di me potrebbe prendere questa lunga assenza come un’offesa.”

“Ok,” disse Jessie. “Prometto di farle visita più regolarmente. In effetti, mi assicurerò di passare almeno un’altra volta questa settimana. Come le pare?”

“È un inizio,” rispose lui con tono indifferente.

“Fantastico. E allora torniamo alla mia domanda. Prima ha detto di apprezzare la gioia che deriva da visite inaspettate. Si riferiva a me?”

“Signorina Jessie, anche se è sempre un piacere godere dalla tua compagnia, devo confessarti che il mio commento era effettivamente riferito a un altro visitatore.”

Jessie poté sentire Kat irrigidirsi nell’angolo dietro di lei.

“E a chi si sta riferendo,” chiese, mantenendo lo stesso livello di voce.

“Penso tu lo sappia.”

“Mi piacerebbe che lei me lo dicesse,” insistette Jessie.

Bolton Crutchfield si alzò di nuovo in piedi, ora più visibile sotto la luce, e Jessie poté notare che si stava passando la lingua sulle labbra, come le se lei fosse un pesce appeso a una lenza con cui stava giocherellando.

“Come ti ho assicurato l’ultima volta che abbiamo parlato, ti avevo spiegato che avrei fatto una chiacchierata con tuo papà.”

“E l’ha fatto?”

“Certo che sì,” le rispose con tono noncurante, come se le stesse dicendo l’ora. “Mi ha chiesto di portarti i suoi saluti, dopo che gli ho offerto i tuoi.”

Jessie lo fissò attentamente, cercando un indizio sul suo volto, tentando di capire se stesse nascondendo qualcosa.

“Ha parlato con Xander Thurman,” chiese per conferma, “in questa stanza, nel corso delle scorse undici settimane?”

“Sì.”

Jessie sapeva che Kat stava esplodendo dal desiderio di fargli delle domande per tentare di avere conferma della veridicità della sua affermazione e di come fosse potuto succedere. Ma nella sua testa questo era secondario e se ne sarebbero potute occupare poi. Jessie non voleva che la conversazione venisse deviata, quindi proseguì prima che l’amica potesse dire qualsiasi cosa.

“Di cosa avete parlato?” gli chiese, tentando di mantenere la voce neutra.

“Beh, abbiamo dovuto mantenerci piuttosto criptici, in modo da non rivelare la sua vera identità a coloro che stavano ascoltando. Ma il fulcro della nostra chiacchierata sei stata tu, signorina Jessie.”

“Io?”

“Sì. Se ricordi bene, io e lui abbiamo avuto un incontro un paio di anni fa, e al tempo mi aveva avvisato che un giorno avresti potuto venire a farmi visita. Ma che avresti avuto un nome diverso rispetto a quello che ti aveva dato lui, Jessica Thurman.”

Jessie trasalì involontariamente a udire il nome che non sentiva pronunciare da nessuno da una ventina d’anni. Sapeva che lui avrebbe visto la sua reazione, ma non poté farci nulla. Crutchfield sorrise soddisfatto e continuò.

“Voleva sapere come stava la sua figlia perduta da tempo. Era interessato in ogni genere di dettaglio – che lavoro fai, dove vivi, che aspetto hai adesso, qual è il tuo nuovo nome. È molto ansioso di rimettersi in contatto con te, signorina Jessie.”

Mentre Crutchfield parlava, Jessie si impose di inspirare ed espirare lentamente. Ricordò a se stessa di decontrarre il corpo e fare del proprio meglio per restare calma, anche se era tutta una facciata. Doveva apparire imperturbata mentre poneva la domanda successiva.

“E lei ha condiviso alcuni di questi dettagli con lui?”

“Solo uno,” rispose con tono malizioso.

“E quale sarebbe?”

“La casa è dove risiede il cuore,” le disse.

“Cosa diavolo vuol dire?” chiese Jessie, il cuore che improvvisamente batteva rapidamente.

“Gli ho detto dove si trova il luogo che chiami casa,” disse lui con chiarezza.

“Gli ha dato il mio indirizzo?”

“Non sono stato così specifico. A essere onesto, non conosco il tuo indirizzo esatto, nonostante i miei migliori sforzi per scoprirlo. Ma so abbastanza da poter permettere a lui di trovarlo, se sarà abbastanza sveglio. E come entrambi sappiamo, signorina Jessie, il tuo papà è molto sveglio.”

Jessie deglutì a fatica e si impose di non urlargli addosso. Stava ancora rispondendo alle sue domande e lei aveva bisogno di tutte le informazioni che poteva estrapolare, prima che si fermasse.

“Quindi quanto tempo ho prima che venga a bussare alla mia porta?”

“Dipende da quanto tempo ci metterà a mettere insieme tutti i pezzi,” disse Crutchfield scrollando esageratamente le spalle. “Come ho detto, ho dovuto parlare in modo un po’ criptico. Se fossi stato troppo specifico, avrei lanciato dei segnali di allarme alle persone che monitorano ogni mia conversazione. Non sarebbe stato produttivo.”

“Perché non mi racconta esattamente quello che gli ha detto? In questo modo posso organizzarmi adeguatamente con i tempi.”

“E dove sta il divertimento allora, signorina Jessie? Mi piaci parecchio, ma questo mi sembrerebbe un vantaggio irragionevole. Dobbiamo concedere una possibilità a quest’uomo.”

“Una possibilità?” ripeté Jessie incredula. “Di fare cosa? Di squartarmi come ha fatto con mia madre?”

“Non mi pare per niente corretto,” rispose Crutchfield, apparentemente sempre più calmo, man mano che Jessie si agitava. “Avrebbe potuto farlo al tempo in quel capanno in mezzo alla neve tanti anni fa. Ma non l’ha fatto. Allora perché dare per scontato che voglia farti del male ora? Magari vuole solo portare la sua signorinella a Disneyland per una gita.”

“Mi vorrà perdonare se non sono incline a dargli il beneficio del dubbio,” rispose lei con tono secco. “Questo non è un gioco, Bolton. Vuoi che venga a trovarti ancora? Devo essere viva per poterlo fare. La tua migliore amica non sarà molto loquace se il tuo mentore la fa a pezzi.”

“Due cose, signorina Jessie: prima di tutto capisco quanto questa notizia sia sconvolgente, ma preferirei che non assumessi questo tono familiare con me. Chiamarmi per nome? Non solo manca di professionalità, ma non è da te.”

Jessie rimase in silenzio ribollendo per la rabbia. Ancora prima che le dicesse la seconda cosa, già sapeva che le avrebbe detto ciò che lei voleva. Eppure rimase in silenzio, mordendosi letteralmente la lingua nella speranza ardente che non cambiasse idea.

“E secondo,” aggiunse, ovviamente soddisfatto di vederla così agitata, “anche se godo della tua compagnia, non avere la presunzione di pensare di essere la mia migliore amica. Non dimenticare la tua onnipresente e sempre vigile agente Gentry dietro di te. Lei è davvero un fiorellino: un fiorellino secco e appassito. Come le ho detto in più di un’occasione, quando uscirò da questo posto, intendo darle un saluto speciale, se capisci cosa intendo. Quindi non tentare di scavalcarla per metterti in testa.”

“Io…” iniziò a dire Jessie, sperando di cambiare idea.

“Tempo scaduto, mi spiace,” disse lui interrompendola. E detto questo si voltò, dirigendosi verso la piccola nicchia in cui si trovava il gabinetto, chiudendosi alle spalle il divisorio in plastica e mettendo così fine alla conversazione.

CAPITOLO SETTE

Jessie stava allerta, in guardia per notare qualsiasi cosa o persona che fosse fuori dall’ordinario.

Mentre svoltava verso casa sua, seguendo il solito percorso intricato di prima quello stesso giorno, tutte le precauzioni di sicurezza di cui era stata così fiera solo poche ore prima, adesso le apparivano miseramente inadeguate.

Questa volta si era raccolta i capelli in una crocchia sulla nuca e li aveva nascosti sotto a un berrettino da baseball e al cappuccio della felpa che aveva comprato tornando da Norwalk. Si era appesa davanti al petto la piccola borsa a forma di zainetto. Nonostante quelle misure extra di anonimità, non indossò gli occhiali da sole, preoccupata che potessero limitare la sua visuale.

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