Improvvisamente la mancanza di luce dall’interno parve sinistra – come una sorta di allarme. «Mamma? Papà?» chiamò mentre lentamente si allungava per aprire la porta col piede.
Questa si spalancò, rivelando l’ingresso e il piccolo corridoio che conosceva così bene. La casa era proprio buia, ma quando entrò andando contro all’avvertimento della sua paura crescente, istantaneamente si sentì a suo agio. Da un’altra zona della casa sentiva la televisione – i familiari ping e applausi della Ruota della fortuna, un classico in casa loro da sempre.
Avvicinandosi alla fine del corridoio e poi al soggiorno, vide la ruota alla televisione montata sopra al caminetto, uno schermo davvero enorme che dava l’impressione che Pat Sajak fosse proprio in soggiorno.
«Ehi» disse Olivia guardandosi intorno nella stanza buia. «Grazie mille per avermi aiutata con la roba. Lasciare la porta socchiusa è stato…»
Doveva essere una battuta, ma quando le parole le ebbero raggiunto la gola non ci fu niente di divertente in loro.
Sua madre era sul divano. Poteva anche essere addormentata e nient’altro non fosse stato per tutto quel sangue. Ce l’aveva sul petto e inzuppava il divano. Ce n’era così tanto che la mente di Olivia all’inizio non riuscì quasi a comprendere. Vederlo con i suoni della ruota della Ruota della fortuna lo rendeva in qualche modo ancora più difficile da comprendere.
«Mamma…»
A Olivia parve che il cuore le si fosse fermato. Indietreggiò lentamente mentre la realtà di ciò che stava vedendo faceva presa. Le sembrava che una piccola parte della mente si fosse scardinata e stesse galleggiando nello spazio da qualche parte.
Un’altra parola le si formò sulla lingua – papà – mentre indietreggiava lentamente.
Ma fu allora che lo vide. Era proprio lì, sul pavimento. Era disteso proprio davanti al tavolino da caffè e aveva addosso tanto sangue quanto sua madre. Stava a faccia in giù, inerte. Ma sembrava gattonare, come se avesse cercato di fuggire. Mentre osservava tutto, Olivia gli vide addosso quelle che sembravano almeno sei visibilissime coltellate alla schiena.
Improvvisamente capì perché sua madre non aveva risposto al messaggio. Sua madre era morta. Anche suo padre.
Sentì un urlo risalirle in gola mente faceva del suo meglio per sbloccare le gambe. Sapeva che chiunque fosse stato poteva essere ancora lì. Il pensiero funzionò – fece uscire l’urlo, fece salire le lacrime, e sbloccò le gambe.
Olivia uscì di corsa e fuggì – fuggì – e non si fermò finché le urla alla fine non le si incastrarono in gola.
Buffo quanto velocemente fosse cambiato l’atteggiamento di Kate Wise. Durante il suo anno di pensionamento, avrebbe fatto tutto quel che poteva per evitare il giardinaggio. Il giardinaggio, il lavoro a maglia, i club di bridge – e persino i club di lettura – li aveva evitati come la peste. Sembravano tutti dei cliché che facevano le pensionate.
Però i pochi mesi di nuovo in sella all’FBI le avevano fatto qualcosa. Non era così ingenua da pensare che l’avessero reinventata. No, l’avevano semplicemente rinvigorita. Aveva di nuovo uno scopo, una ragione per attendere il giorno successivo.
Perciò fu forse per quello che trovava accettabile essere ricorsa adesso al giardinaggio come passatempo. Non era rilassante come aveva creduto. Anzi, la rendeva ansiosa; perché investire tempo ed energie nel piantare qualcosa se si combatteva contro il meteo per assicurarsi che rimanesse in vita? Eppure c’era della gioia – mettere qualcosa nella terra e vederne i frutti nel tempo.
Aveva cominciato con i fiori – margherite e bougainvillea all’inizio – e poi aveva proseguito piantando un piccolo orto nell’angolo destro del giardino sul retro. Era lì che attualmente stava accumulando la terra su una pianta di pomodoro arrivando lentamente alla realizzazione che non aveva avuto alcun interesse nel giardinaggio finché non era diventata nonna.
Si chiese se avesse qualcosa a che fare con l’evoluzione della sua natura materna. Amiche e libri le avevano detto che c’era qualcosa di diverso nell’essere una nonna – una cosa con cui una donna non entrava mai in contatto finché era madre.
Sua figlia Melissa le aveva assicurato che era stata una brava madre. Era una rassicurazione di cui Kate aveva bisogno di tanto in tanto, dato il modo in cui aveva trascorso la sua carriera. Aveva messo di proposito la carriera prima della famiglia per troppo, troppo tempo, e si considerava fortunata che Melissa non ce l’avesse mai avuta con lei – tranne nel periodo successivo alla morte del padre.
Ah, l’unico lato negativo del giardinaggio, pensò Kate mettendosi in piedi e spolverandosi via la terra dalle mani e dalle ginocchia. I pensieri tendono a vagare. E quando succede, il passato comincia a farsi strada, non invitato.
Lasciò il giardino, attraversando il prato sul retro della sua casa di Richmond, Virginia, per arrivare al portico. Fece attenzione a levarsi le Keds sporche di terra giunta alla porta. Gettò anche i guanti lì accanto, volendo evitare di portare terra in casa. Aveva trascorso gli ultimi due giorni pulendola. Faceva da babysitter a Michelle, sua nipote, quella sera, e anche se Melissa non era una maniaca della pulizia, Kate voleva che casa sua brillasse. Erano passati quasi trent’anni da quando era stata in compagnia di un bambino e non voleva rischiare.
Guardò l’orologio e si accigliò. Aspettava compagnia tra quindici minuti. Quello era un altro aspetto negativo del giardinaggio: il tempo ti scivolava via facilmente.
Si rinfrescò in bagno e poi andò in cucina per mettere su del caffè. La bevanda era quasi a metà quando suonò il campanello. Rispose subito, felice come sempre di vedere le due donne con le quali da circa un anno e mezzo aveva trascorso qualche ora almeno due volte a settimana.
Jane Patterson entrò per prima nell’ingresso, portando un vassoio di pasticcini. Erano danesi fatti in casa e avevano vinto la gara Carytown Cooks per due anni di seguito. Clarissa James entrò dietro di lei con un’ampia ciotola di frutta fresca a pezzi. Indossavano entrambe mise carine che avrebbero funzionato sia per un brunch a casa di un’amica che per uno shopping normale – cosa che entrambe facevano abbastanza.
«Hai fatto ancora giardinaggio, vero?» chiese Clarissa mentre sistemavano il cibo sull’isola della cucina.
«Come fai a saperlo?» chiese Kate.
Clarissa le indicò i capelli appena sotto le spalle, dove si assottigliavano in punta. Kate si voltò e si accorse di aver lasciato una riga di terra che in qualche modo le era finita sui capelli. Clarissa e Jane risero mentre Jane toglieva l’involto di plastica dai danesi.
«Ridete quanto volete» disse Kate. «Non lo farete più quando le piante di pomodoro saranno cariche.»
Era un venerdì mattina, il che automaticamente la rendeva una bella mattina. Le tre donne si sistemarono attorno all’isola della cucina di Kate, sedute sugli sgabelli a mangiare e bere caffè. E mentre la compagnia, il cibo e il caffè erano tutti buoni, era ancora difficile non far caso a ciò che mancava.
Debbie Meade non era più parte del gruppo. Dopo la morte di sua figlia, una delle tre vittime di un assassino che alla fine Kate aveva preso, Debbie e il marito, Jim, si erano trasferiti. Vivevano da qualche parte vicino alla spiaggia nella Carolina del Nord. Debbie mandava fotografie della costa di tanto in tanto, solo per rigirare un pochino il coltello nella piaga. Vivevano lì da due mesi ormai e sembravano felici – di essersene andati dalla tragedia.
La conversazione fu più che altro leggera e piacevole. Jane raccontò di come il marito stesse adocchiando la pensione per l’anno successivo e di come si fosse già messo a pianificare di scrivere un libro. Clarissa condivise delle notizie sui figli, adesso sui venticinque anni, e di come di recente avessero entrambi ricevuto una promozione.
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