Blake Pierce - Mariti Nel Mirino

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“Un capolavoro del giallo e del mistero! L’autore ha svolto un magnifico lavoro, sviluppando i personaggi con un approfondito lato psicologico, descritto con tale cura da farci sentire all’interno della loro mente, provare le loro paure e gioire del loro successo. La trama è molto avvincente e vi catturerà per tutta la durata del libro. Ricco di colpi di scena, questo libro vi terrà svegli fino all’ultima pagina.”--Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il Killer della Rosa) MARITI NEL MIRINO è il libro #13 nella serie di bestseller dei misteri di Riley Paige, che comincia con IL KILLER DELLA ROSA (Libro #1) — scaricabile gratuitamente con oltre 1.000 recensioni a cinque stelle!In questo oscuro thriller psicologico, un ricco marito viene ritrovato morto, e la moglie maltrattata viene accusata del crimine. Richiede l’aiuto di Riley, eppure sembra chiaro, che lei sia colpevole.Ma quando un altro marito ricco e violento viene ritrovato cadavere, viene richiesto l’aiuto dell’FBI, l’agente speciale Riley Paige si chiede: è tutta una pura coincidenza? O potrebbe essere opera di un serial killer?Quello che sembrava il gioco del gatto col topo, in realtà risulta per Riley Paige l’inseguimento di un killer brillante ed imprevedibile, apparentemente senza alcun movente, e determinato a continuare a uccidere, finché non viene catturato.Thriller psicologico mozzafiato, MARITI NEL MIRINO è il libro #13 in una nuova serie affascinante — con un nuovo amato personaggio — che vi terrà incollati alle pagine fino a notte tarda.Il libro #14 nella serie di Riley Paige sarà presto disponibile.

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Rabbrividì. Le punizioni del marito erano sempre crudeli.

Che cosa mi farà stavolta? pensò.

Morgan scosse il capo, provando a scacciare la confusione. La testa le faceva molto male e aveva la nausea. Ovviamente, aveva preso troppi tranquillanti e, dopo, aveva bevuto molto …

In quel momento vide che, non solo, aveva sporcato di sangue uno dei preziosi asciugamani di Andrew, ma aveva anche lasciato le impronte su tutto il piano del bagno. C’era sangue persino sul pavimento in marmo.

Da dov’è venuto tutto questo sangue? si chiese.

Una strana idea si formò nella sua mente …

Ho tentato di uccidermi?

Non riusciva a ricordare di averlo fatto, ma era una possibilità da considerare. Aveva considerato l’idea di suicidarsi più di una volta, da quando era sposata con Andrew. E, se fosse davvero morta per propria mano, non sarebbe stata la prima a farlo in questa casa.

Mimi, la precedente moglie di Andrew, si era suicidata.

Ed anche il di lui figlio, Kirk, soltanto lo scorso novembre.

Quasi sorrise con amara ironia …

Ho appena tentato di continuare la tradizione di famiglia?

Indietreggiò, per guardarsi meglio.

Tutto questo sangue …

Non vide alcuna ferita.

Perciò, da dove veniva il sangue?

Voltandosi, notò che la porta che conduceva alla camera da letto di Andrew era spalancata.

Lui è dentro? si chiese.

Era rimasto addormentato per tutto il tempo, qualsiasi cosa fosse accaduta?

Quella possibilità la lasciò sollevata. Se dormiva così profondamente, forse sarebbe riuscita a sgattaiolare via senza che si accorgesse della sua presenza lì.

Poi, soffocò un gemito, realizzando che non sarebbe stato affatto facile. C’era ancora tutto quel sangue da gestire.

Se Andrew fosse entrato in bagno ed avesse scoperto quella scena orribile, non avrebbe che potuto incolparla, in quale modo.

Andava sempre a finire così.

Il panico in lei aumentò; tentò di ripulire il piano con l’asciugamano. Ma si accorse che non serviva ad alcunché. Non stava facendo altro che spargere sangue ovunque. Avrebbe dovuto usare l’acqua per ripulire tutto.

Fece per aprire il rubinetto ma si fermò in tempo: il suono dell’acqua avrebbe senz’altro svegliato Andrew. Pensò che, forse, avrebbe potuto chiudere la porta del bagno con molta delicatezza e, solo a quel punto, far scorrere l’acqua più silenziosamente possibile.

Attraversò in punta di piedi l’enorme bagno, raggiungendo la porta. A quel punto, infilò con molta circospezione la testa nella camera da letto.

Quello che vide la fece sobbalzare.

Le luci erano soffuse, ma non c’era alcun dubbio: Andrew era disteso a letto, ricoperto di sangue. Anche le lenzuola ne erano impregnate. Vide delle macchie anche sulla moquette.

Morgan si avvicinò precipitosamente al letto.

Gli occhi del marito erano spalancati, cristallizzati in un’agghiacciante espressione di terrore.

E’ morto, comprese. Non era lei ad essere morta, bensì Andrew.

Si era suicidato?

No, questo era impossibile. Andrew non provava altro che disprezzo per coloro che si toglievano la vita, inclusi sua moglie e suo figlio.

“Le persone serie non lo facevano” aveva spesso detto.

Ed Andrew si era sempre vantato di essere una persona seria, chiedendo spesso a Morgan …

“Sei una persona seria?”

Guardando con maggiore attenzione, vide che il corpo di Andrew presentava diverse ferite aperte su tutto il corpo. E, nascosto tra le lenzuola impregnate di sangue, sotto il corpo vide un grosso coltello da cucina.

Chi può averlo fatto? Morgan si chiese.

Poi, una calma strana ed euforica si impadronì di lei, quando comprese …

Finalmente l’ho fatto.

L’ho ucciso.

L’aveva fatto nei suoi sogni molte volte.

E, finalmente, aveva messo davvero in atto quell'idea.

Sorrise e disse ad alta voce, rivolgendosi al cadavere…

“Chi è una persona seria adesso?”

Ma rimase consapevole di non potersi crogiolare in quella sensazione calda e piacevole. Un omicidio restava un omicidio, e sapeva di doverne affrontare le conseguenze.

Non aveva paura e non si sentiva in colpa; provava un profondo senso di appagamento.

Era stato un uomo orribile. Ed era morto. Qualunque cosa potesse succedere, ne era davvero valsa la pena.

Prese il telefono accanto al letto con la mano appiccicosa e fece per digitare il 911 ma poi pensò …

No.

C’è qualcun altro che deve saperlo prima.

Si trattava di una donna gentile, che si era mostrata preoccupata per il suo benessere un po’ di tempo fa.

Prima di ogni altra cosa, doveva telefonare a quella donna e raccontarle che non avrebbe più dovuto preoccuparsi di Morgan.

Finalmente tutto andava bene.

CAPITOLO UNO

Riley notò che Jilly aveva un sonno agitato. La quattordicenne era seduta nel sedile adiacente a lei, la testa appoggiata alla spalla di Riley. Il loro aereo era partito ormai tre ore, e ce ne sarebbero volute altre due, prima di atterrare a Phoenix.

Sta sognando? Riley si domandò, augurandosi che, nel caso, fossero bei sogni.

Jilly aveva avuto delle tremende esperienze durante la sua breve vita, e aveva ancora molti incubi. La sua ansia era aumentata, quando i servizi sociali di Phoenix avevano scritto una lettera, informando dell’intenzione del padre di Jilly di riaverne la custodia. Ora erano in volo dirette a Phoenix, per un’udienza che avrebbe risolto la questione una volta per tutte.

Anche Riley era preoccupata. Che cosa sarebbe successo alla ragazzina se il giudice non le avesse permesso di restare con Riley?

L’assistente sociale l’aveva rassicurata, escludendo un epilogo del genere.

Ma se si fosse sbagliata? Riley si chiese.

Jilly prese ad agitarsi ancora di più. Iniziò a lamentarsi leggermente.

Riley la scosse gentilmente e disse: “Svegliati, tesoro. Stai avendo un incubo.”

Jilly si svegliò di soprassalto, lo sguardo fisso davanti a sé per un istante. Poi, scoppiò in lacrime.

Riley mise un braccio intorno a Jilly, e prese un fazzoletto nella sua borsa.

Chiese: “Che cosa c’è? Che cosa stai sognando?”

Jilly singhiozzò silenziosamente per alcuni momenti. Poi disse: “Non è niente. Non preoccuparti.”

Riley sospirò. Sapeva che Jilly custodiva dei segreti di cui non le piaceva parlare.

Accarezzò i capelli scuri della ragazza e disse: “Puoi dirmi tutto, Jilly. Lo sai.”

Jilly si asciugò le lacrime e si soffiò il naso.

Infine, disse: “Ho sognato una cosa che è accaduta per davvero. Alcuni anni fa. Mio padre era davvero ubriaco, e mi accusava di tutto, come sempre …del fatto che mia madre se ne fosse andata e della sua incapacità a mantenere un lavoro. Di tutto. Mi disse di volermi fuori dalla sua vita. Mi prese per un braccio e mi trascinò fino ad un armadio, per poi buttarmi dentro e chiudere la porta e …”

Jilly divenne silenziosa e chiuse gli occhi.

“Ti prego, continua” Riley la incitò.

Jilly si scosse un po’ e poi proseguì: “All’inizio, avevo paura di urlare, perché pensavo che mi avrebbe trascinata fuori e mi avrebbe picchiata. Mi ha soltanto lasciata lì, come se mi avesse completamente dimenticata. E poi …”

Jilly soffocò un singhiozzo.

“Non so quante ore siano passate, ma tutto è diventato davvero tranquillo. Pensavo che fosse svenuto o andato a letto. Ho aspettato per un tempo infinito, e tutto è rimasto così tranquillo. Infine, ho supposto che avesse lasciato la casa. Lo faceva qualche volta. Andava via per giorni, e non sapevo quando sarebbe tornato, o se lo avrebbe fatto.”

Riley rabbrividì, provando ad immaginare l’orrore della povera ragazza.

Jilly continuò: “Infine, ho cominciato a gridare e a colpire la porta, ma, naturalmente, nessuno poteva sentirmi, e non potevo uscire. Sono rimasta da sola in quell’armadio per … neppure adesso so per quanto tempo. Diversi giorni, probabilmente. Non avevo nulla da mangiare, e certamente non potevo dormire, ed avevo fame e paura. Ho dovuto persino andare al bagno lì dentro e ho dovuto pulire, dopo. Ho iniziato a vedere e sentire cose strane al buio, immagino che fossero allucinazioni. Credo di aver quasi perso la testa.”

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