Sotto la Luna del Satiro
Ringraziamenti Ringraziamenti Ai miei amici, alla mia famiglia e ai miei beta reader – voi sapete chi siete – grazie per aver creduto in me e avermi aiutata a trasformare questo libro nella versione che tenete fra le mani. Alla fantastica Alianne Donnelly, che ha detto, e cito, “Magari, metti Pegaso in quella scena”. Beh, hai creato un mostro, perché non solo ho messo Pegaso in quella scena, ma ha preso il controllo di metà storia ed è diventato un personaggio secondario. Però, onestamente, ti ringrazio. È uno degli aspetti che preferisco del libro. P.S. finisci di scrivere Wolfen perché avevo bisogno di leggerlo, tipo, ieri. ;) Alla mia editor, Leona. Grazie per aver sofferto la Maledizione di Ariston insieme a me. È stato un percorso accidentato, doloroso, stressante, pieno di lacrime e sanguinoso, ma ce l’abbiamo fatta. *abbracci* Ad Ariston… A volte sei stato semplicemente perfido. E poi ti chiedi perché ho lasciato che ti accadessero cose brutte? Vendetta, mio caro. Tutta la sofferenza che mi hai causato, l’ho proiettata verso di te. E poi, certo, innanzitutto, ai miei lettori. Siete grandi!
Prologo
Capitolo uno
Capitolo due
Capitolo tre
Capitolo quattro
Capitolo cinque
Capitolo sei
Capitolo sette
Capitolo otto
Capitolo nove
Capitolo dieci
Capitolo undici
Capitolo dodici
Capitolo tredici
Capitolo quattordici
Capitolo quindici
Capitolo sedici
Capitolo diciassette
Capitolo diciotto
Capitolo diciannove
Capitolo venti
Epilogo
L’autrice
I libri di Rebekah Lewis
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, attività commerciali, luoghi, eventi e incidenti sono prodotti dall’immaginazione dell’autore o utilizzati in maniera fittizia. Qualsiasi riferimento a persone reali, vive o morte, o a fatti reali è puramente casuale.
Copyright © 2015 di Rebekah Lewis
Titolo originale: Under the Satyr Moon
Edito da Leona Bushman
Cover Design di Victoria Miller
Fotografia di Jenn LeBlanc
Tradotto da Rory Mayfield
Tutti i diritti sono riservati. Questo libro non può essere riprodotto, integralmente o parzialmente, in qualsiasi forma senza l’espressa autorizzazione scritta dell’editore, ad eccezione dell’uso di brevi citazioni in una recensione del libro.
Prima stampa, 2014, Breathless Press
www.Rebekah-Lewis.com
Creato con Vellum
Per Sybil Miller
Se potessi esprimere a parole quanto mi manchi,
questo romanzo non avrebbe né fine né inizio.
Semplici parole non potrebbero mai essere abbastanza e nessuno potrà mai prendere il tuo posto.
Ti voglio bene, Mema.
Ai miei amici, alla mia famiglia e ai miei beta reader – voi sapete chi siete – grazie per aver creduto in me e avermi aiutata a trasformare questo libro nella versione che tenete fra le mani.
Alla fantastica Alianne Donnelly, che ha detto, e cito, “Magari, metti Pegaso in quella scena”. Beh, hai creato un mostro, perché non solo ho messo Pegaso in quella scena, ma ha preso il controllo di metà storia ed è diventato un personaggio secondario. Però, onestamente, ti ringrazio. È uno degli aspetti che preferisco del libro. P.S. finisci di scrivere Wolfen perché avevo bisogno di leggerlo, tipo, ieri. ;)
Alla mia editor, Leona. Grazie per aver sofferto la Maledizione di Ariston insieme a me. È stato un percorso accidentato, doloroso, stressante, pieno di lacrime e sanguinoso, ma ce l’abbiamo fatta. *abbracci*
Ad Ariston… A volte sei stato semplicemente perfido. E poi ti chiedi perché ho lasciato che ti accadessero cose brutte? Vendetta, mio caro. Tutta la sofferenza che mi hai causato, l’ho proiettata verso di te.
E poi, certo, innanzitutto, ai miei lettori. Siete grandi!
Lungo i confini di Tespie, Grecia, Beozia, 567 d.C.
Tutto cadeva in rovina. Il tempo e le avversità facevano deteriorare anche le rocce più solide. Rimodellate, erose dagli elementi, niente restava se non la polvere. Eppure, alcune cose ingannavano l’ordine naturale, perlomeno superficialmente – persino l’immortalità mancava di perfezione. I cuori potevano essere rotti. Le anime fatte a pezzi. Il grave peso delle emozioni poteva essere tanto distruttivo quanto qualsiasi forza fisica, ma i danni si verificavano all’interno. Invisibili ai più, eppure avvertiti per sempre da colui che ne portava le cicatrici.
Gocce ghiacciate colpirono il viso di Ariston quando tirò indietro il cappuccio, che non riusciva in alcun modo a proteggerlo dalla pioggia torrenziale. La terra che aveva conosciuto durante l’infanzia conservava solo un vago senso di familiarità. La sua casa era sparita, non era rimasto altro che un cumulo di macerie sulla cima abbandonata di una collina. Il bestiame non pascolava più sulle terre circostanti. Forse, se fosse tornato a casa prima… ma non lo aveva fatto. La vergogna lo aveva tenuto lontano, insieme alla paura di cosa la sua maledizione avrebbe potuto scatenare sulla sua famiglia. Tornare prima sarebbe stato egoista. Ciononostante, mentre se ne stava lì, in piedi, davanti alle ultime tracce rimaste della sua vita mortale, deteriorate e sul punto di sparire, fu sopraffatto dal rimorso.
Gli anni potevano diventare tanto irrilevanti quanto i minuti, quando smettevano di rappresentare il conto alla rovescia per una morte che non sarebbe mai arrivata. Non erano più importanti, non sul serio. La vita di Ariston ormai non era altro che un alternarsi di scopare e nascondersi. Di rifugiarsi la notte nell’oscurità dei boschi, dato che non poteva conservare la forma umana dopo il tramonto, per poi passare la giornata sforzandosi di non cedere ai propri desideri. Il che era ridicolo, considerato che, alla fine, i suoi desideri vincevano, sempre . C’erano giorni in cui si domandava che senso avesse combattere contro quei bisogni, perché non arrendersi e abbandonarsi completamente alla maledizione. La sua umanità diventata spesso un pesante fardello.
Ariston si inginocchiò nel punto in cui una volta c’era stato il focolare. Le rocce frantumate erano sparpagliate, ricoperte di sporcizia e, in alcuni punti, di vegetazione, che ne evidenziava il grado di disuso. La pioggia bagnava le pietre, purificandole dalla loro storia e ricordandogli allo stesso tempo che il suo passato, finché fosse rimasto in vita, non si sarebbe mai potuto cancellare. Come le rocce ai suoi piedi, la sua memoria accumulava sporcizia, mentre pezzi della sua anima si sgretolavano, lasciandolo deforme e non più integro. Dal momento che la morte non era un’alternativa, l’unico modo per adattarsi era andare avanti e non guardarsi mai alle spalle.
La maledizione gli aveva portato via tutto in un attimo. La sua vita, la sua felicità, il suo senso di appartenenza. Andati . Tutti. Non che avesse mai dato tanta importanza a quelle cose quando ancora le possedeva. Avrebbe potuto essere qualcuno . Un marito. Un padre…
Invece, Ariston era svanito negli abissi del tempo, affondando ogni giorno più in profondità. Uno spauracchio usato per tenere i giovani maschi lontani dai vizi e le femmine dall’avventurarsi da sole nella foresta dell’Arcadia, dove aveva vissuto, per timore di cadere preda di un mostro leggendario. Ariston era stato temuto, ridicolizzato e, in rare occasioni, desiderato.
E ora?
Era un mito nelle menti dei mortali – un mostro il cui nome era privo di infamia e nessuno ricordava; non come Pan, che era un dio. O Adone, suo fratello, celebrato da umano per la sua bellezza virile e stimato per questo come un raro “dio mortale”. Adone aveva raggiunto la notorietà attraverso le storie di Afrodite, la bella dea che aveva pianto la morte del suo amante mortale. Quelle stesse storie che si beffavano della verità, visto che Adone non era davvero morto, ma caduto vittima della stessa maledizione di Ariston. Nessuno avrebbe ascoltato dei racconti sul gemello di Adone, perché, alla fin fine, era insignificante.
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