Francisco Garófalo - Anestesia

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ANESTESIA

Francisco Garófalo

ANESTESIA

© Francisco Garófalo, 2021

© Traduzione di Genny Becchi, 2021.

© Tektime, 2021.

© Libros Duendes, 2021

www.librosduendes.com

È vietata la riproduzione integrale o parziale della presente pubblicazione in qualsiasi forma, mediante fotocopia o qualsiasi altra procedura, senza il consenso iscritto dei titolari del diritto d'autore.

A Dio, per tenermi ancora in vita. Ai miei genitori, per avermi dato un buon esempio e per avermi dato l'educazione.

A tutti i miei amici che mi hanno ascoltato, che hanno letto la mia opera e mi hanno dato la loro opinione. A loro dedico questo scritto.

I

Era seduto su una panchina a bere una tazza di tè. Viveva in una casa bianca, anche se non gli è mai piaciuto quel colore. Aveva lo sguardo perso, non puntava nessuna direzione. Era calmo, niente lo interrompeva, niente lo disturbava, niente lo tormentava, finché la sua mano non toccò un oggetto quadrato che percepì come un ostacolo nella sua giacca.

La curiosità lo assalì così decise di estrarlo dalla tasca; era un vecchio taccuino rugoso, con le paste sgualcite, sporco dai tanti anni di abbandono. La cosa curiosa per lui fu trovare il suo nome scritto sul quaderno, il titolo recitava Il diario di Lorenzo.

Lorenzo aprì il quaderno per dargli un'occhiata e dopo una breve revisione lo chiuse. Fu invaso da un profondo interesse e angoscia. L'ha aperto di nuovo. Erano parole che non ricordava, frasi senza senso, aneddoti o semplicemente memorie che tempo fa aveva pensato di scrivere? Non ne aveva idea, doveva indagare. Sentì un dolore al petto. Erano eventi che non ricordava più, un'esistenza già vissuta, un'infinità di pensieri che si accumulavano per momenti passati? Doveva scoprire di cosa si trattava. Si sistemò sulla panchina per leggere attentamente.

Io, Lorenzo, ho deciso di scrivere questo diario nel caso in cui un giorno mi dimentichi di ciò che ho vissuto. Non riporto il mio cognome perché non ce l'ho. Le circostanze che mi hanno spinto a compiere atti che non avrei mai dovuto compiere sono quelle che ora mi tormentano nel presente. Sono caduto in debiti in passato e non li ho saldati. Li sto pagando oggi. In realtà, tutti noi paghiamo quello che dobbiamo, anche se a volte un po' di più del dovuto. La cosa peggiore è che non ricordo tutto quello che ho fatto e che ho smesso di fare. Chi desidera ricordare la proprio miseria? Anche se nessuno può affermare che tutta la mia vita sia stata una miseria, forse era già scritto il mio destino. Non lo so.

Non ricordo dove è accaduto tutto questo, né le ore, né i luoghi, né i momenti in cui forse ero felice. Non ricordo molto. Per questo scrivo. Per questo ho scritto: per ricordare, per non dimenticare ciò che ho fatto, per non dimenticare i peccati, per non dimenticare ciò che ho già dimenticato.

Persi mia madre il giorno della mia nascita e non seppi mai dove fosse mio padre. Per questo andai a vivere a casa di mia zia Carlotta. All'epoca non sapevo perché mia zia si prendesse cura di me.

Siamo arrivati alla casa blu che si abbinava all'osso delle sue pareti interne, devo confessare che quei colori non mi piacevano. Non sono stato molto magnanimo con i colori e, devo dirlo, tanto meno ho seguito un ordine cronologico nella mia narrazione. Non credo che un colore faccia la differenza nella vita quotidiana, come sostengono alcuni psicologi narratori di teorie che potrebbero anche essere vere. Personalmente credo che sia pura fantascienza. Solo le nostre buone azioni o le nostre fallanze fanno la differenza.

Il nostro modo di agire e di procedere in questo maledetto mondo, e dico maledetto non perché in realtà lo sia, lo dico solo perché non ho avuto fortuna o perché mi hanno prestato troppo e non ho voluto pagare.

Sappiamo di essere bravi a chiedere, ma molto cattivi a pagare. Lo sappiamo e continuiamo a farlo lo stesso e ci giustifichiamo con il banale pretesto che “siamo umani”. Ma se siamo umani, dovremmo sapere che siamo gli animali più intelligenti al mondo. Forse è la nostra intelligenza che ci uccide. Non lo so e forse non lo saprò mai.

II

Arrivai in un posto dove non ero il benvenuto, dove nessuno era felice della mia presenza. Ero semplicemente un qualcuno che arrivava ad irrompere nella vita di tutti. Ancora di più nella sua di vita. Poco dopo mi sarei reso conto che mia zia non mi amava, né suo marito, né suo figlio, anche se c'era da aspettarselo, ero un essere che con il suo arrivo ha messo a disagio la famiglia, una famiglia che apparentemente stava bene e sottolineo in apparenza perché tutto era una copertura, una vita finta come la maggior parte delle persone. Come la maggior parte delle persone che vivono quotidianamente senza sapere perché vivono. Che non hanno uno scopo e che camminano addormentati nelle strade vuote, piene di fantasmi, senza idee. Di quelle persone meccaniche che vivono perse e imprigionate per le cattive azioni che condannano loro ad una reclusione in libertà, ad una vita senza senso e senza sogni.

Quando feci il mio primo passo, nessuno si rallegrò, quando dissi la mia prima parola, nessuno fu eccitato. Chi potrebbe emozionarsi se per loro era come se non esistessi? Era qualcosa di nullo, nemmeno un rigonfiamento in quella casa. Qualcuno che non è mai stato nelle loro priorità.

Quando compii cinque anni, nessuno mi fece una festa, nessuno mi fece gli auguri, nessuno si ricordò di me, ma lo comprendevo perché nessuno mi amava. Lei è stata l'unica ad avvicinarsi. Me la ricordo. Certo che me la ricordo. Con la sua camicetta rosa, acconciata come se i suoi capelli fossero cachi, le sue labbra rosse, i suoi occhi neri, il suo sorriso che mi ispirava voglia di vivere.

Lei cominciò a diventare la mia ragione di vita, era per lei che mi tenevo in vita in quella casa, era lei che mi faceva respirare; era lei che mi faceva sognare, lei era quella che mi fece gli auguri, che mi diede un bacio come regalo e mi disse Ti voglio tanto bene. E da quel giorno ho capito cosa sarebbe stata lei per me. Sarebbe stata mia moglie per tutta la vita.

Sì, ero un bambino con sogni da bambino, un bambino che amava con l’amore di un bambino; un bambino che si aggrappava a lei perché era l'unica che gli prestava attenzione. Un bambino che desiderava amore.

III

Imparai. Iniziai a conoscere molto. Imparai le cose da solo. Nessuno mi insegnò. Ero un bambino che imparava ogni giorno e passavo tutto il giorno a guardare la TV perché era l'unico modo, per me, di distrarmi e di conoscere il mondo. Ho imparato, o forse no. Che cosa può insegnarci la televisione? Forse molte cose. E la maggior parte delle cose sono cattive, a seconda delle scelte. E cosa può scegliere un bambino di cinque anni? Cartoni animati dove si vede violenza o due tipi sciocchi che fanno da protagonisti e sono anche animali parlanti. È per divertimento, questo è l'obiettivo, almeno così dicono.

Ma la verità è che finisci per comportarti come loro e ti avvolgi in un circolo vizioso di idiozie e di malvagità. Le soap opera cosa ti insegnano? Le canzoni che finiscono per parlare senza senso e senza rispetto per gli ascoltatori? Questa è stata la mia scuola.

Non sapevo selezionare i programmi. I film d'azione mi affascinavano. L'intelligenza che avevano per uccidere e le diverse forme di lotta. Sono finito incastrato in film pornografici che avevo trovato nel cassetto della credenza di mia zia. Una donna apparentemente moralista. Com’è possibile trovare pornografia nel suo cassetto? Apparentemente la falsità della gente non ha limiti e si mettono la maschera in modo che non le riconoscano. Mi sono riempito la testa di stronzate. È quello che il mondo mi offriva in quei momenti e io ne ho approfittato. Ho imparato tutto quello che ho visto, tutto quello che ho ricevuto, tutto quello che sono riuscito a far entrare nel mio cervello. Se me lo chiedete oggi, confesso che è stato il modo peggiore di imparare. Forse avrei dovuto scegliere i libri, ma a un bambino che importa dei testi. Non avrei nemmeno capito le estensioni dei vari capitoli senza senso, perché non avevo la preparazione per decifrare il messaggio nascosto tra le righe, non avevo nemmeno qualcuno che me lo spiegasse. I miei cugini impararono in modo diverso dal mio. Avevano dei genitori che li istruivano e si preoccupavano della loro educazione. Avevano orari per guardare la televisione. Per poter vedere i loro programmi preferiti. Prima dovevano studiare, eseguire i loro doveri e poi alcuni altri consigli dei loro genitori al pranzo e così riuscivano ad ottenere il premio. Tutte le notti, prima di andare a letto, i loro genitori leggevano loro le favole con la morale per imparare cose buone, così da diventare grandi professionisti di successo. Tuttavia, le parole false non danno mai frutti

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