Javier Salazar Calle - Ndura. Figlio Della Giungla

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Miglior romanzo per ragazzi del 2014 in Spagna! Una persona senza speciali conoscenze si trova sola, in mezzo alla giungla, dopo che il suo aereo si è schiantato e deve imparare velocemente per poter sopravvivere a tutte le sfide che gli si presenteranno. Una storia che ti insegna cosa si può fare quando ti spingono al limite.
Miglior romanzo per ragazzi del 2014 in Spagna! Quando una persona comune, chiunque di noi, si trova improvvisamente in una situazione di vita o di morte nel mezzo della giungla, SAPREBBE SOPRAVVIVERE? Questo è il semplice dilemma offerto al protagonista della nostra storia, che, tornando da una tranquilla vacanza in Namibia, un tipico safari fotografico, si vede coinvolto in un’inaspettata situazione di sopravvivenza estrema nella giungla di Ituri, nella Repubblica del Congo, in Africa, quando l'aereo su cui viaggia viene abbattuto dai ribelli. Un luogo dove la natura non è l'unico nemico e dove sopravvivere non è l'unico problema. Un'avventura con l'aroma di quelle classiche, di sempre, che rendono questo libro il piatto perfetto per sfuggire alla realtà e provare l'angoscia e la disperazione del protagonista di fronte alla sfida che gli si presenta. In questo libro si mescolano in modo naturale l'emozione e la tensione della sfida di sopravvivenza, il degrado psicologico del protagonista nel corso della storia e lo studio approfondito dell'autore sull'ambiente, i suoi animali, le piante e le persone. Ci insegna anche che la percezione dei nostri limiti spesso è sbagliata, a volte nel bene e a volte nel male. Una lettura senza dubbio consigliata.

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Quando non ne potei più, mangiai una scatola di mele cotogne intera e bevvi la lattina rimasta, nascondendo tutti i resti, inclusa una delle due coperte che mi erano rimaste. Perché ne volevo due? Meno peso portavo meglio era. Inoltre, erano molto calde e quando portavo lo zaino avevo l'impressione che mi stessero arrostendo la schiena, portavo la maglietta incollata permanentemente al corpo per il sudore, il che produceva una sensazione spiacevole. Avevo anche iniziato a provare una costante sensazione di vertigini, forse perché ero disidratato per mancanza di acqua. Non c'era da stupirsi, le bibite avrebbero dovuto dissetare sul momento ma non idratavano molto. L'effetto yo-yo, lo chiamava un mio compagno di classe della scuola, a causa dello zucchero diceva.

Siccome si stava facendo buio e non avevo voglia di tornare a dormire così scomodo su un albero, cercai un posto un po' riparato, con la terra asciutta, fabbricai un esiguo materasso di foglie e rami verdi, mi raggomitolai come potei, coperto dalla piccola coperta e con lo zaino come cuscino e mi addormentai. Avevo trascorso il mio primo giorno intero nella giungla ed ero più che stufo, ero esausto e volevo che tutto questo finisse in tutti i modi.

GIORNO 3

COME COMINCIANO LE MIE SOFFERENZE

Qualcosa mi stava attaccando, sentivo come mi pungeva su tutto il corpo. Mi alzai di scatto, completamente sveglio di colpo e urlando. Guardai le mie mani ed erano coperte di formiche rossastre con la testa molto grande, il mio corpo ne era completamente ricoperto. Mi pungevano di continuo, da tutte le parti. Mi tolsi i vestiti, quasi strappandoli e iniziai a scuotermi il corpo con le mani, saltare, agitarmi e contorcermi come la coda di una lucertola, urlando e gemendo per il dolore. Alcune mi entrarono in bocca, costringendomi a sputare ancora e ancora, altre le sentivo nel naso, nelle orecchie, ovunque. Era come se un intero sciame di api avesse deciso di attaccarmi nello stesso momento. A poco a poco riuscii a sbarazzarmi delle formiche, ma mi ci vollero circa dieci minuti prima che notassi che nessuna di loro correva più impunemente sul mio corpo. Un'infinita colonna di formiche 9attraversava il punto in cui mi ero sdraiato. Tutto il mio corpo era rosso per i colpi che mi ero dato per staccare le formiche e pieno di macchie ancora più rosse per i morsi ricevuti da quei dannati insetti. Tutto mi prudeva così tanto che non sapevo nemmeno da dove cominciare a grattarmi. Sebbene non ne avessi addosso più nessuna, di tanto in tanto avevo l'impressione di notare qualcosa che correva da qualche parte e mi agitavo di nuovo convulsamente.

Quando riuscii a dominare un po' la mia rabbia e frustrazione, presi lo zaino e lo scossi da tutte le formiche, e feci lo stesso con la coperta e i vestiti che avevo sparso per terra. Indossai solo le scarpe da ginnastica e misi il resto nello zaino. Afferrai alcune pietre e alcuni rami e li lanciai furiosamente contro la colonna ordinata, mentre insultavo le formiche. Per un momento persi il controllo, la rabbia mi investì. Sì, le formiche avevano la colpa di tutto, dovevo ucciderle, mi avevano portato a questa stupida situazione e avrebbero pagato per questo. Le pestai ancora e ancora, furioso, frenetico, come posseduto dall’ardore di una distruzione inarrestabile. Alcune mi salirono su per le gambe e mi morsero di nuovo, ma non sentivo più nulla, il dolore aveva cessato di esistere per un momento. Un pensiero solitario nella mia testa: uccidere le formiche. Calciavo, colpivo quelle a terra e schiacciavo quelle che avevo sul corpo con pesanti manate, spiaccicandole contro le mie gambe, le mie braccia o il mio petto. Per alcuni minuti quella fu la mia unica guerra, il mio unico mondo: pestoni, colpi con le mani, urla di furia, di frustrazione soppressa per troppo tempo. Un Gulliver furioso che distrugge il mondo di Lilliput. Poi mi allontanai di qualche passo, crollai per terra e rimasi per un po' come perso, totalmente abbandonato al mio destino, cieco a ciò che stava accadendo intorno a me, ignaro di qualsiasi cosa che non fosse il niente, il vuoto interiore. Alla fine reagì. Durante la notte mi era sembrato di sentire il mormorio di un ruscello vicino, così andai a cercarlo, nudo, riluttante, tremante, con tutto il corpo che mi pungeva, bastone in mano e zaino in spalla. Dietro di me una miriade di formiche schiacciate e molte altre che correvano in giro nella loro danza particolare di follia disorganizzata.

Effettivamente, il mio orecchio non mi aveva ingannato. Un fiume largo circa cinque metri si apriva la strada attraverso la foresta sotto il mio naso. La mia prima intenzione fu quella di togliermi le scarpe e gettarmi in acqua, ma mi ricordai qualcosa sulle sanguisughe, così prima ispezionai attentamente l'acqua sulla riva, permettendo alla prudenza di vincere la mia disperazione per un momento. Il solo pensiero che una sanguisuga potesse attaccarsi al mio corpo, agganciata, succhiandomi il sangue, mi scosse. Toccando l'acqua con la mano, notai che non era così fredda da non poterla sopportare per un po'. Mi sembrò di non vedere nulla, tranne alcuni bellissimi pesciolini rossi, alcuni più colorati di altri; erano troppo piccoli per sfamare e troppo carini per ucciderli. Avevano un corpo allungato e appiattito, la coda divisa in tre parti, quella centrale simile alle piume degli uccelli, gli occhi proporzionalmente grandi rispetto alla testa, avevano una colorazione blu iridescente, ma, quando i raggi del sole si riflettevano su tutto il loro corpo, una gamma incredibile dal blu al viola si sfumava sulle loro squame 10. Cercai qualcos'altro come piranha, coccodrilli o qualcosa del genere ma non trovai nulla. Così decisi di farmi un bagno dopo aver bevuto un po' d'acqua.

Entrai un po' in acqua, assicurandomi prima con il bastone che il terreno fosse solido, con le scarpe addosso, perché avevo paura che mi mordesse un insetto o qualcosa mi si conficcasse. Il primo impatto mi causò un brivido per il contrasto dell'acqua con la temperatura esterna, anche se presto mi abituai. Intorno a me volavano alcune libellule dai colori vivaci, con le loro forme allungate e il loro volo veloce e sicuro; c’erano anche molti insetti, che volavano tanto quanto correvano sulla superficie dell'acqua come se fosse una pista di pattinaggio.

Quando l'acqua raggiunse le mie ginocchia mi fermai e mi bagnai tutto il corpo con l'aiuto delle mani. L'effetto rinfrescante dell'acqua sugli infiniti morsi delle formiche, sugli innumerevoli graffi e sul ginocchio infiammato mi diede una indescrivibile sensazione di sollievo. Poter stare in acqua per un po', dimenticandomi di tutto, godendo di ogni secondo, mi produsse uno stato di profondo rilassamento. Chiusi gli occhi e immersi la testa nell'acqua, trattenendo il respiro il più possibile, sentendo la freschezza che scorreva attraverso la mia pelle, avvolgendola e accarezzandola delicatamente. Per un breve momento tutti i problemi e le preoccupazioni svanirono. Bevvi anche grandi boccate d'acqua, fino a quando mi sentii completamente sazio. Quando uscii dall'acqua, ero determinato a sopravvivere in un modo o nell’altro, il mio animo si era rinforzato, il mio spirito pronto per la lotta.

Udii un rumore in un albero vicino e mi nascosi rapidamente nella boscaglia. Mi avevano già trovato, nudo e impreparato, sicuramente mi avrebbero ucciso, assassinato senza pietà, sacrificandomi come un vile animale. Non volevo morire, non avrei potuto ingannarli? Non meritavo un po' di pace? Non ne avevo avuto abbastanza con le formiche? Le immagini di Juan mitragliate dai ribelli apparvero nella mia testa come una successione di brevi lampi, il corpo senza vita di Alex seduto sull'aereo dopo l'incidente con il sangue che gli scorreva sulla fronte mi tormentò di nuovo. Mi immaginai sanguinante dai vari buchi nel mio corpo prodotti dagli spari dei ribelli, steso a terra ai piedi di un grande albero, loro ridendo, io agonizzando. Il dolore... Sbirciai tra le foglie degli alberi e finalmente scoprii l'origine del suono: una scimmia alta circa cinquanta centimetri con una coda altrettanto lunga, la faccia bluastra, su ogni lato tra occhio e orecchio una fascia di pelo scuro, una chiara fascia trasversale sopra gli occhi, la maggior parte del corpo di colore marrone giallastro, con gola, petto e pancia bianchi 11. Forse non ero predestinato a morire quel giorno. A poco a poco ne apparvero altre e cinque di loro si unirono, saltando da un ramo all'altro e lanciando strilli acuti. Stavano giocando o qualcosa del genere, si appollaiavano su un ramo e lo agitavano con energia mentre urlavano. Forse erano in calore, non lo sapevo, ma fu un grande spettacolo. Lentamente il mio cuore ricominciò a battere alle sue pulsazioni normali. L'ultima cosa che vidi fu una di loro raccogliere qualcosa dal suolo, che da lontano sembrava una scolopendra, e mangiarsela.

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