Dirimpetto alla chiesa della Gavinana sorge una casa, una volta Battistini, oggi appartenente ai Traversari. La porta principale essendo elevata assai dal terreno, vi si salisce mediante una scala a due branche che lasciano uno spazio di alquante braccia quadrate davanti la porta.
Qui sta Maramaldo volgendo di tratto in tratto lo sguardo verso la porta Apiciana per vedere e il Ferruccio giungesse. Finalmente l’empia voglia gli rimase soddisfatta; si apre la folla, e il Ferruccio, tratto a vituperio con ineffabile angoscia sopra i bastoni delle picche, si avvicina alla casa Battistini.
Maramaldo con subito alternare diventa in volto bianco e vermiglio. Glielo distesero ai piedi, e lui stette lungo tempo a guardarlo senza potere profferire parola, poi cominciò tra lo scherno e la rampogna:
“Infelice! Vedi a che ti ha ridotto il folle pensiero di resistere alle armi di sua maestà Carlo V imperatore e re, e del Beatissimo Padre? Vedi, sconsigliato, come in mala ora lasciavi il fondaco? Credevi forse che il combattere battaglia fosse così agevole che misurare panni? Stolto!
Tu hai senza scopo empito i sepolcri di tuoi concittadini. Tu, alla vanità che ti rode compiacendo, hai sagrificato migliaia di uomini. Dio ti ha riprovato, Dio ti confonde ai miei piedi; io potrei calpestarti, e tu lo meriteresti; ma rispetto in te il segno del cristiano e ti risparmio. Il Signore nella sua misericordia ti concede spazio sufficiente di vita per riparare ai tuoi falli; adempi al comando dell’Eterno e chiedi pubblica perdonanza all’imperatore…”
E questi vedendoselo ormai venire addosso, lo guarda in volto e sorridendo gli dice:
“Tu tremi! Ecco… tu ammazzi un uomo morto”.
E il ferro dell’assassino penetrò fino al manico nell’intemerato petto del prode Ferruccio. La bandiera nemica serve di lenzuolo funerario al Ferruccio… Lui lo vede… esulta e spira l’anima immortale.
La donna fuggendo e il vecchio inseguendo scorrono in piano di Doccia, rivedono la fonte dei Gorghi, il rivo delle Catinelle, si accostano a Gavinana, piegando a destra lungo le mura, e finalmente ansanti si fermano nel bosco delle Vergini a piì di un castagno. In verità uno dei più belli che crescano in quel campo, dove ne vegetano dei bellissimi, e nel suo tronco, ad arte scortecciato, mostrava una croce.
Cadendovi davanti genuflessa, appoggiandovi le mani una sopra l’altra, e su le mani declinando la testa, stette la donna immobile, bianca e, dove il palpito del seno non l’avesse dimostrata viva, uguale in tutto a statua di marmo.
E il vecchio le veniva accanto piegando anch’egli i ginocchi e, come lei, le mani e il capo appoggiando al tronco del castagno, senza parlarle, senza consolarla, senza pure toccarla; i suoi dolori erano di quelli che per parole non si placano; soltanto piangeva.
Immemore dapprima di ogni cosa terrena, la derelitta per quel pianto incessante si sentiva a mano a mano, dai truci fantasmi della immaginazione chiamata agli affanni della vita; allora si accorgeva del vecchio, che le plorava a canto e le si abbandonava nelle braccia, con le sue guancie premeva le guancie di lui, e confondevano insieme l’alito, i sospiri, le lagrime. Quanta inenarrabile angoscia aveva accumulato il Signore sul capo di quelle due creature!
I montanari, indovinando la causa per cui loro non potevano abbandonare coteste rupi, li compassionavano, ed anzi anch’essi, miti sotto il flagello di Dio, con ossequio religioso li proseguivano. Allo approssimarsi del verno, più che altrove, diviene squallida la natura su i monti, il vento si agita inquieto giù per le valli, lungo le forre, e il mormorio che nasce dalle foglie cadute menate in volta e diffondentesi per tanto spazio di paese, rassembra un lamento che mandino gli alberi e la terra nel vedersi rapire la bella veste di cui andarono superbi nelle migliori stagioni dell’anno.
Una sera dei primi giorni del verno, all’ora del crepuscolo, in quel momento in cui la luce e le tenebre si contendono il cielo, e l’anima umana vacilla tra le cure della vita e i pensieri della eternità, in cotesto istante, che anche all’assassino viene involontaria una preghiera della infanzia su i labbri, e nel cuore un pensiero per la madre che lo amò tanto, in quell’ora di mestizia e di pace, Lucantonio si presentò al metato [17]della casa nuova. Teneva in collo, sorreggendola col braccio destro, Annalena, che dalla pieghevolezza dei contorni sembrava addormentata, se non che la destra le pendeva inerte lungo il fianco, la manca dietro il dorso del vecchio, e questi si aiutava sorreggendosi forte al bastone, il capo aveva scoperto, i suoi capelli bianchissimi si disegnavano nella porpora del crepuscolo, gli avresti detti tinti nel sangue. Giunto in mezzo al metato, volgendosi ai montanari quivi raccolti, con ferma voce e non pertanto sinistra domandò se alcuno di loro per amore della Madonna e per i suoi danari avesse voluto accompagnarlo al piano delle Vergini con palo e zappa, onde assisterlo in un’opera pia.
“Per amore della Vergine e vostro senz’altro”, – risposero i montanari, – “noi vi accompagneremo”; e le loro donne, mogli e figlie, fosse pietà, fosse voglia curiosa, o l’una cosa e l’altra, vollero ad ogni patto seguitarli.
Procederono a due a due come in processione silenziosi; veniva ultimo il vecchio; lui non aveva permesso a nessuno di toccare Annalena; e sì che quel peso doveva gravarlo, e ad ogni passo che mutava, pareva accostarsi di un anno al sepolcro. Ad un tratto il vecchio proruppe nel cantico dei morti e supplicò al Signore Perché nella sua immensa misericordia avesse compassione di lui. E gli altri vennero ad ogni verso rispondendogli, sebbene ignorassero chi e dove fosse il defunto.
Lucantonio gli fece fermare nel bosco delle Vergini, a piì di un castagno, ordinando scavassero colà dove additava. Tolta alcun poco di terra, la vanga incontra stritolando ossa umane; il montanaro lascia l’arnese ficcato nella terra e rifugge inorridito.
“Continua l’opera, montanaro”, – con voce solenne riprende Lucantonio, – “tu non profani le ossa dei morti, io riunisco la moglie al marito, questa ch’io tengo su le braccia è la sposa, lo sposo giace là dentro, il sepolcro sia il talamo di ambedue. Ieri all’alba ella svenne e diventò fredda… io la esposi al sole… l’avviluppai in caldi pannilini… col mio fiato mi sono ingegnato riscaldarle le mani, ma ella si è fatta sempre più fredda… l’ho chiamata co’ nomi più cari… Vieni, le ho detto, sebbene questo pellegrinaggio mi avvelenasse il sangue, vieni, andiamo a visitare la fossa di Vico. Non mi ha risposto… Io l’ho tenuta per morta: ella difatti è morta…”
Il montanaro continua a scavare la fossa, e il vecchio soggiunge favellando ai circostanti:
“O madri! questa povera creatura non conobbe sua madre: o padri!… ella non ebbe le paterne carezze… La sua anima fu tesoro di amore… e per lungo tempo la sventura si appigliava ai lembi di questo e di quello, interrogando: Chi devo amare? Imperciocchì io l’era servo, e quando ella ebbe trovato un gentile garzone, prode e dabbene, Dio glielo ha tolto. Questi giovani appena si conobbero nella vita, ora staranno insieme una eternità. Lode al Signore!”
I montanari mal sapendo se quella lode al Signore uscisse sincera dal labbro del vecchio, o in fondo a quel discorso sonasse accento di disperazione, scherno o rampogna, piansero, calarono il corpo di Annalena nella fossa – e le pregarono pace.
La notte diventò profonda, i montanari tolsero commiato; Lucantonio voleva pagarli, ma si ristette, Perché le lacrime non si pagano. Il vecchio cortese chiamò un fanciullino che gli era stato sempre al fianco e, postogli nelle mani quanto si trovava a possedere di danaro, gli parlò sommesso: Quando tuo padre avrà fame, e tu dagli questo.
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