Da quasi trecento anni il Cicala stava trasportando i propri residenti verso la loro destinazione. Ora, 30 giorni li separano da ciò che sperano sarà la loro nuova casa. Se così sarà, quale significato assumerà il termine “giornata”? Le loro unità di misura sono ancora i minuti e le ore, ma secondo l'orbita del pianeta, la rotazione, ecc., a cosa corrisponde un giorno, o un anno?
L'astronave fu chiamata “Cicala” come la famiglia di insetti terrestri, che raggiungono la maturità dopo un lungo ciclo biologico. Dato il tempo che sarebbe trascorso, il nome sembrava appropriato. Un'altra similarità col proprio omonimo è l'aspetto della nave: sei sporgenze ai lati, come zampe d'insetto (sono rappresentazioni di zampe, sebbene non lunghe e pronunciate, ma corte e squadrate). I loro vari scopi derivano dal bisogno di avere varie e differenti aree per le molte attività a bordo; dopotutto, la nave è contemporaneamente casa, scuola, luogo di lavoro, mezzo di trasporto persone e merci e ogni altra cosa immaginabile. Si prende cura di ogni fase della vita del proprio equipaggio, dalla nascita alla morte.
Capolavoro di ingegneria, rappresenta un testamento dei suoi premurosi creatori. E' insolito usare tali parole per descrivere un'astronave di trecento anni, ma nel vuoto spaziale totale non è invecchiata. Gli interni non furono rifiniti, poiché l'atmosfera interna avrebbe col tempo rovinato le rifiniture. C'è, quindi, soltanto del metallo pulito e liscio, che nei secoli ha sviluppato una patina grigia.
Per molti, moltissimi decenni i membri dell'equipaggio hanno passato le proprie vite a sbirciare le stelle e le costellazioni dai piccoli portali della nave. Nella vastità dello spazio, queste stelle ci danno l'impressione di essere fermi, anche se magari viaggiamo a migliaia di chilometri al secondo. Benché le stelle sembrino immobili, la loro posizione cambia nel tempo. Così è stato per gli astronomi del Cicala. Ogni stella alla fine risultava in una posizione diversa, eccetto una. Fin dall'inizio della missione, nei registri venne indicata la presenza del “Guardiano”. Non compariva in nessuna mappa stellare; semplicemente, un giorno era lì dove non era stato mai. A tutti, fin dall'infanzia, veniva insegnato a riconoscerlo. Lo osservavano mentre diventavano grandi e in seguito lo facevano conoscere ai proprio figli. Era sempre lì: la stella più brillante del firmamento. Era come se avesse compiuto tutto il tragitto assieme a loro, per proteggerli e divertirli. Chi possedeva convinzioni religiose attribuiva la sua presenza alla Divinità. Altri ipotizzavano che forse una razza aliena provasse interesse verso questa specie alle prime armi con i viaggi spaziali. Ma sembra improbabile che un'intelligenza aliena mandi un veicolo per osservare qualcun altro per trecento anni. Per tutte queste generazioni, il Guardiano sarebbe stato il centro dell'attenzione di tutti nella loro osservazione verso l'esterno. Ora, però, a un mese dalla destinazione, c'è molto più di cui restare affascinati.
Quando il Cicala aveva lasciato la Terra, la propria propulsione l'aveva spinta fuori dal sistema solare terrestre. In uno spazio libero da pianeti, asteroidi o altri corpi celesti, si poteva portare la propulsione al massimo. Essendo stata raggiunta la velocità di punta, il sistema di propulsione era stato spento. Tale velocità sarebbe rimasta costante salvo interruzioni o azioni su di essa. E' impossibile immagazzinare carburante a sufficienza per spingere un veicolo per trecento anni; non è neanche necessario, dato che il vuoto spaziale permette una velocità costante. Quando, però, ci si avvicina a destinazione e si sta entrando in un altro sistema solare, è indispensabile rallentare la velocità. Tale rallentamento è effettuato attivando i freni anteriori a poco a poco. La capacità di carburante era tale che, dopo il primo lancio, era rimasto del carburante extra, nel caso di interruzione e conseguente riavvio della missione (problema, questo, non occorso). Ce n'era anche una parte destinata alla ricerca e all'impostazione di un'orbita idonea, una volta arrivati.
Il viaggio non fu vano, e il culmine della missione è vicino. Se Susie riuscirà a vedere i suoi alberi, sarà il tempo a dirlo. C'è ancora molto da fare prima che questo diventi realtà.
Fare le valigie per un viaggio di trecento anni è, a dir poco, un compito arduo. Chi era a bordo del Cicala è sopravvissuto grazie alla pianificazione e ai calcoli di progettisti, creatori, costruttori e visionari. Per quanto grande sia l'astronave, cinquecento persone sembrerebbero comunque troppe per farla funzionare giornalmente. Solo una piccola parte della nave, però, è abitabile. L'equipaggio vive la propria vita dove i sistemi di supporto vitale sono in funzione. Crescere, imparare, essere operativi: questo è tutto ciò che sanno, nella misura in cui gli è stato insegnato da genitori e nonni.
Le altre aree della nave non sono usate per il vivere quotidiano. Ad esempio, l'enorme unità di stasi non ha supporto vitale; vi si recano membri dell'equipaggio sprovvisti di tuta di supporto per recuperare provviste, ma solo periodicamente. Una piccola stanza, separata dall'unità di stasi e dall'area atmosferica tramite paratie, rappresenta il posto adatto alla transizione. Sarebbe illogico sacrificare dell'atmosfera sulla nave ogni volta che si prende qualcosa dal magazzino.
Alcune confezioni in stasi non servivano finché non si fosse arrivati alla loro destinazione e ci si fosse preparati a sbarcare. Altre provviste necessitavano di essere sostituite solo di tanto in tanto. Di alcune cose, tuttavia, c'è bisogno ogni giorno, e vengono tirate fuori in grandi quantità, così da ridurre la frequenza di ingressi nell'unità di stasi;
beni come sostanze nutritive o panni igienici sotto vuoto e pre-inumiditi tre secoli prima. Vi si conservano anche i vestiti, ma non ci sono ampi guardaroba e capi di moda. Per una missione del genere, serve qualcosa di estremamente durevole. Perciò, fu sviluppata una fibra sintetica da indossare per anni, se necessario. Indumenti in pezzo unico venivano portati sia dagli uomini sia dalle donne. Erano smanicati e arrivavano fino a metà coscia; data la loro durevolezza ed elasticità, ne servivano solo poche taglie.
Le due sfide più grandi per gli sviluppatori furono l'aria da respirare e l'acqua che sostenesse la vita. La prima fu completata con gli stessi mezzi usati da chiunque si fosse mai immerso respirando poi aria immagazzinata. Ora, come immagazzinare sufficiente aria per cinquecento persone e per trecento anni?
L'immensità assoluta dell'astronave fu il metodo principale per riuscirci. Benché la sezione atmosferica della nave era piuttosto angusta per cinquecento persone, la nave era decisamente enorme. L'unità di stasi era assai più ampia dell'area abitabile, ma tutte le aree si trovavano all'interno di un unico scafo; era proprio qui che l'aria era immagazzinata (non dentro lo scafo, ma dentro lo spessore delle pareti. A vederla da fuori, uno non si renderebbe mai conto che la lunghezza della nave è data dal susseguirsi di camere di aria immagazzinata e compressa ad altissima pressione, all'interno di una parete spessissima. Tutto tenuto insieme da una blindatura. Le camere non erano comunicanti; venivano usate una dopo l'altra, in sequenza. Così facendo, la perdita di contenimento in una camera non produceva effetti nelle altre. Quando la missione era cominciata, a chi abitava nella nave era stato spiegato anche come ridurre, gradualmente e fino a un certo livello, la quantità d'aria necessaria.
Venne poi realizzata una fonte idrica, tramite l'uso di luci e pannelli trasparenti che producevano condensa, come in una serra. Il vapore condensato viene costantemente recuperato e razionato. Questo macchinario, molto grande, è situato nell'area atmosferica dell'astronave, dove la temperatura è abbastanza alta da attivare l'intero sistema. Il vapore raccolto viene fatto circolare attraverso una serie di tubi e generatori idroelettrici, così da creare energia sufficiente per far funzionare l'illuminazione a basso voltaggio e altri sistemi. L'intero macchinario di condensazione è situato al centro dell'area atmosferica della nave. Tutti i membri dell'equipaggio vi lavorano intorno, consci che la propria stessa esistenza derivi da esso. La quantità di condensa è monitorata e controllata da vicino; essendo estremamente preziosa, non se ne spreca neanche una goccia.
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