Keith Dixon - Storey

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Storey: краткое содержание, описание и аннотация

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Lei disse, ‘Un tipo è passato di qui per parlare con te ieri sera. L’ho sentito bussare alla tua porta ripetutamente, sono uscita. Ha detto che lavorava con te, voleva parlare.’

‘Che aspetto aveva?’

‘Poco più alto di te, capelli chiari rasati, grandi labbra, molto rosse, come se portasse il rossetto o qualcosa del genere.’

‘Rick. Immaginavo sarebbe venuto.’

‘Grazie per avermi avvertito.’

‘Cosa gli hai detto?’

‘Ora guarda, qui viene il bello, sai? Sono quasi sempre stata una ragazza piuttosto tranquilla, ma così mi fai perdere la pazienza, Storey. Non ho bisogno di tutta la tua storia passata a riversarsi all’entrata di casa mia. Ho la mia vita, sai? Capisco se devi occuparti dell’organizzazione del funerale e tutto, ma non dovevi mollare tutto di colpo. Non mi interessa il tuo stress, non mi interessa del tuo lavoro. Non mi interessa delle tue librerie. Non hai il diritto di buttarmi tutto addosso e andartene nel Midlands.’

‘D’accordo. Mi sono comportato male. Quindi, cos’hai detto a Rick?’

Ora la poteva vedere a fissare il soffitto, cercando di ricordare cosa le aveva detto il consulente riguardo al controllo della rabbia. Stava contando fino a dieci. O immaginando gli angeli. Lui non aveva idea di cosa fece per calmarsi.

Disse, ‘Gli ho detto che te ne eri andato. Non ho detto dove o perché. Ho fatto finta di non sapere. Non è quello che volevi?’

‘Non hai menzionato mio padre? O Coventry?’

‘Ho seguito le tue istruzioni.’ Sembrava roba forte ora, era un po' arrabbiata, un tono che riconosceva bene. ‘Cosa vorrebbe questo Rick, in ogni caso? Pensavo avessi dato le dimissioni.’

‘L’ho fatto. Probabilmente pensa che può farmi cambiare idea. Si è sempre creduto un po' uno strizzacervelli. Pensava di conoscermi meglio di quanto mi conoscessi io.’

‘Dai, Storey, tu non ti conosci affatto. Brancoli nel buio.’

‘Mi inchino al tuo sapere superiore.’

‘Guarda la tua storia recente. Ti dirà tutto quello che devi sapere.’

‘Devo andare. Il microonde ha appena suonato.’

‘Sì, giusto, non lasciare raffreddare il tuo hamburger.’

‘E’ un polpettone.’

‘Così ti sei già integrato. Mi fai paura, davvero.’

‘Ti chiamo quando mi sono sistemato meglio.’

‘Pare che andrà così,’ disse, attaccando il telefono.

CAPITOLO TRE

JANICE LO VIDE attraverso la vetrina prima di entrare. La faccia tosta — sedersi nel suo posto preferito, rilassarsi su quella sedia nonostante appartenesse a lui. Lo vedeva di bell’aspetto del tipo carnagione scura, come Pierce Brosnan se avesse avuto genitori greci, quel tipo di mento scuro irsuto e la nera peluria spessa. Gli abiti sembravano cadergli bene addosso, mostrando il suo petto robusto e i suoi fianchi stretti, quelli di un uomo che si manteneva in forma, non un ragazzo senza struttura. Non aveva nessun angolo morbido, era definito e spigoloso e i suoi occhi sembravano guardarti dentro.

Poteva essere interessante. Bello conoscere un uomo che potrebbe prendere il comando, per una volta. Vide questo in lui, quella brama di dominare, di fare andare le cose a modo suo. Le sarebbe potuta piacere la sfida, se non avesse avuto altri piani.

Così eccolo lì, ad alzare gli occhi dal suo libro ora, vedendola e sorridendole allo stesso tempo, sapendo che avrebbe varcato la soglia, e aspettando solo che lei arrivasse. Il sorriso non ha toccato il suo sguardo , pensò lei, era qualcosa che aveva fatto con la bocca, un dovere sociale, prendendo atto che il gioco stava per iniziare.

Disse, ‘Pensavo non saresti mai tornata, visto che sono stato così sgarbato e tutto il resto. Pensavo di avere rotto la magia.’

Lei guardò la sua camicia scollata, a mostrare un po' di peluria riccia affiorare, la giacca blu navy che indossava sopra che probabilmente era di Next e proveniente da un negozio di beneficenza, il libro ora a faccia in giù sul tavolo – Furore – e pensò a quello che faceva per vivere: perito assicurativo. Non se l’era bevuta. Lui si comportava come se avesse una missione, qualcosa che avrebbe fatto nella vita, un qualche posto dove sarebbe stato. Non era uno scribacchino o qualcuno che osservava cifre e faceva calcoli. C’era troppa vitalità nei suoi occhi. Qualcosa di sinistro ma intrigante.

Disse, ‘Offrimi un caffè.’

Lui la fissò per un momento ma poi sospirò e si alzò e andò al bancone facendole un cenno disinvolto mentre si metteva in fila. Non le aveva nemmeno chiesto cosa volesse. Probabilmente già lo sapeva dopo tutto il tempo passato a guardarla.

Non stare al suo gioco , diceva lei a se stessa. Non farti ammaliare .

Si sedette e prese fuori il suo Microsoft Surface Pro 3 portatile, aprì la tastiera flessibile e toccò lo schermo per evidenziare il file aperto. Appoggiò il suo smartphone Moto G sul tavolo accanto ad esso. Le piacevano i suoi congegni e conosceva i nomi e le caratteristiche di ciascuno di essi. E per qualche ragione voleva convincere questo Storey che era sincera, che era una giornalista per davvero, che il suo lavoro era in qualche modo importante. Di solito quando entrava da Starbucks scriveva il giornale, o talvolta lavorava a una delle sue didascalie. Le spie le chiamavano così – false identità create per salvarsi la pelle. Lei ne aveva circa dieci al momento e ogni giorno provava ad aggiungere un altro particolare, un’altra caratteristica o eventi di vita, almeno a due delle identità . Inventandosi man mano.

Dandole qualcosa da fare mentre aspettava che David fosse cotto al punto giusto.

Storey tornò con il caffè per lei e un altro per sé.

Lei disse, ‘Non sei venuto per due giorni.’

‘Ti sono mancato?’

‘Non mi può mancare qualcuno che non conosco.’

‘Devo scusarmi con te.’

Lei stava mettendo dello zucchero nel suo caffè e si fermò.

Disse, ‘Non ti stavo pedinando. Non voglio che lo pensi. Mi è capitato solamente di essere qui quando sei entrata. Ho pensato che sembravi interessante. Sai cosa voglio dire, vedi qualcuno e pensi che ti piacerebbe conoscerlo, vedere come parla e cos’ha da dire.’

Si appoggiò indietro e la guardò, come se pensasse di stare a farle un regalo.

Janice si trattenne un attimo, poi disse, ‘Ti dispiace se mi metto a lavorare? Anche se mi piacerebbe stare qui a chiacchierare.’

Le piacque il modo in cui lui sorrise e poi scosse la testa con approvazione, come se la gara in cui si stavano misurando fosse avanzata di livello e lui sapesse che avrebbe dovuto alzare la posta in gioco. Ma non stare al suo gioco, non farti ammaliare.

Nell’aprire il portatile lo girò in modo che lui non potesse vedere lo schermo. Non c’era scritto nulla sul documento a parte un titolo – Fasi successive – osservò la pagina vuota per un po', poi batté qualche tasto, mettendo per iscritto il suo nome attuale e il ruolo, tanto per fare qualcosa. Araminta Smith, giornalista. Si era imbattuta in questo nome in una recita che avevano fatto a scuola e le era sempre piaciuto. Sembrava di classe, la parte di Araminta.

Storey ignorò il suo distanziarsi, sollevò il suo libro e continuò a leggere.

Irritata nonostante dipendesse da lei, disse, ‘È bravo, Steinbeck?’

Lui abbassò il libro.

‘Ha vinto il premio Nobel per il suo peggiore romanzo. Immagina quanto è bravo. Hai visto Furore , il film?’

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