Brower Dawn - Confessione Di Una Piantagrane

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Confessione Di Una Piantagrane: краткое содержание, описание и аннотация

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Jason Thompson, il conte di Asthey ha bisogno di sposarsi, e Lady Samantha Cain è determinata a essere la fortunata donna  che lo condurrà al sacro vincolo del matrimonio. Come la maggior parte degli scapoli Jason Thompson, il conte di Asthey. non ha alcuna intenzione di sposarsi. Resta fedele a quell'idea  finché non gli vengono lette le ultima volontà di suo nonno: se non si fosse sposato entro sei mesi dalla sua morte, avrebbe perso tutta la sua eredità. Se fosse per lui non gliene fregherebbe molto, ma purtroppo ha delle proprietà da salvaguardare.. Si trova quindi nella necessità di prendere una decisione difficile a cui mai e poi mai avrebbe voluto pensare. Lady Samantha Cain è sul punto di diventare una zitella. Suo fratello ha bloccato ogni gentiluomo intenzionato a corteggiarla. Lei non lo avrebbe mai ammesso in pubblico, ma in cuor suo era felice che il fratello agisse a quel modo.E' innamorata da sempre di un solo uomo. Il problema è che lui non l'ha mai vista come una potenziale moglie. Quando Samantha viene a conoscenza dei problemi che lui ha con la sua eredità, decide che è il momento di farsi avanti. Non ammetterà di essere innamorata di lui, ma gli offre un matrimonio di convenienza. Asthey vorrebbe rifiutare un'unione simile, soprattutto con lei, che un po' detesta. Però, ora che lei si è offerta, dovrà trovare una soluzione adeguata che non offenda nessuno e scendere a patti con se stesso.

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"Sì", rispose Jason distrattamente. "Per le donne non è facile parlare di cose private, con un uomo in giro.."

Avrebbe dovuto lasciare il club e fare una visita all'avvocato di suo nonno, e capire finalmente di cosa si trattava. Ma non gli andava. Preferiva starsene lì, al Coventry Club, a rilassarsi e forse anche a ubriacarsi un po’. Una volta brillo, si sarebbe trascinato per le scale che conducevano alla camera che il club gli metteva a disposizione e sarebbe crollato sul suo letto, per risvegliarsi solo il giorno dopo con i postumi di una brutta sbronza. Stava diventando davvero bravo nell’arte di ignorare i problemi!

"Quindi, capite perché sono al club, oggi." esclamò Shelby. Bevve un sorso di brandy. "Ora ditemi perché VOI siete qui. Non dovreste essere nelle terre selvagge del Surrey o qualcosa del genere? "

"Non c'è niente d’interessante per me, in quel posto." mormorò Jason. Dopo la morte del nonno, nemmeno la sua bella tenuta lo rendeva felice.

"Non c'è vostra madre lì?" Shelby lo guardò di sbieco..

"Considerando che non lascia mai il castello, suppongo di sì.." Jason deglutì altro brandy. Bruciava mentre gli scendeva in gola. Ma a lui quel senso di calore gli piaceva... Gli dava delle sensazioni, a differenza dell’enorme senso di vuoto che si portava dentro. “Lei è a suo agio lì. Chi sono io per distoglierla dai suoi piaceri?” sussurrò, con stizza. Forse stava diventando troppo duro con lei. Aveva vissuto troppo con il nonno e poco con lui. Ma in fondo sapeva che sua madre lo aveva fatto per sentirsi sicura e protetta, dopo quello che aveva passato, e non poteva darle torto. Ma una parte di lui si sentiva come se lei lo avesse tradito. Non amava vederlo, e non riusciva a sopportare la sua presenza. Jason assomigliava troppo a suo padre: stessi capelli biondi e occhi blu, stessi zigomi cesellati e stesso fisico atletico. Stesso tutto. Era per questo che sua madre diventava triste, quando erano insieme. La sua presenza fisica le scatenava sentimenti repressi, come l’amore e la rabbia.... Non avrebbe mai voluto fare del male a sua madre, né emotivamente né fisicamente. Quindi, per il suo bene, preferiva rimanerne lontano. Oddio, che casino era la sua vita!

"Questo è tutto? E non dovreste recarvi al castello per conoscere le ultime volontà di vostro nonno? "

Jason fece roteare il brandy rimasto nel bicchiere. "Non ho bisogno di scapicollarmi nel Surrey per saperlo."

"E allora? Cosa avete intenzione di fare?” chiese ancora Shelby.

Jason prese la lettera che aveva in tasca e la gettò addosso a Shelby. Quindi inghiottì il brandy rimasto in un sorso solo. Si alzò e andò a riempirsi nuovamente il bicchiere, mentre Shelby leggeva la lettera dell'avvocato. Si sedette e attese. Non ci volle molto prima che Gregory alzasse lo sguardo per incontrare il suo.

"Perché avete deciso di ignorarlo?"

"Non lo so." Si passò una mano tra i capelli. “Forse perché sarebbe come accettare la morte di mio nonno, metterci davvero una croce sopra. Non mi sento ancora pronto a rassegnarmi alla sua scomparsa. E’ stato più di un padre, per me. "

"Temo che sia passato abbastanza tempo, ormai - disse Shelby, dolcemente. Allungò una mano e la posò sul braccio di Jason. “Andate a incontrare l'avvocato. Non potete rimandarlo oltre. "

Gli mancava troppo suo nonno. Shelby aveva ragione però. Doveva andare dal procuratore legale. Ignorarlo così a lungo era già stato abbastanza stupido.

"Capisco ciò che intendete, e non posso che concordare con voi. Ma non riesco a farlo…"

"Vi farebbe piacere se vi accompagnassi?- chiese Shelby – Pensate che vi aiuterebbe a trovare la forza necessaria per recarvi al castello?”

Andare con Shelby? Aveva davvero bisogno di qualcuno che gli tenesse la mano mentre onorava i suoi doveri e la smetteva di comportarsi come un moccioso spaventato? Forse sì. Magari ci sarebbe riuscito, questa volta. Sapeva che doveva farlo, non importava quanto gli sarebbe costato. Il dovere è dovere.

“Potrei aver bisogno di qualcuno che mi dia un calcio nel culo. Vi sentireste in grado di fare questo per me? " esclamò, con triste sarcasmo.

"Sarebbe un piacere! - scherzò Shelby - Ma prima ho una cosa da chiedervi."

Jason si accigliò. Aveva quasi paura di sapere di cosa si trattava. “Cosa?"

"Oh, una stupidaggine! Sono sicuro che non vi creerà alcun problema accontentarmi!” Tese la mano. "Datemi la vostra pistola."

Jason non andava da nessuna parte senza la sua pistola. Era una delle cose che lo faceva sempre sentire al sicuro. Non poteva neanche immaginare di lasciare il club disarmato! "Perché?" chiese con stizza e paura.

"Perché è ora che abbandoniate questo stupido modo di sentirvi protetto." Shelby sorrise. "E se proprio sarò costretto a prendervi a calci nel culo fino a casa vostra, voglio essere sicuro di non prendermi una pistolettata in faccia.”

Sapete che non potrei mai…" balbettò Jason.

"Oh sì, invece! - lo interruppe Shelby - Magari non per uccidermi ma di sicuro per essere lasciato in pace.”

Jason inclinò la testa di lato e considerò questa possibilità. C’erano state molte volte in cui Shelby si sarebbe meritato una bel colpo in fronte. Il suo amico non era certo la persona più affabile del mondo! Diamine, a pensarci bene, non era affabile per niente! "Se prometto di non spararvi, posso tenerla?" disse.

"Assolutamente NO – esclamò Shelby con fermezza - La lascerete qui, al club." Alzò la mano per intimare a Jason di non interromperlo. "Prima di aggiungere altro ... Può darsi che manterrete la vostra promessa di non spararmi, ma che dire dell’avvocato che dovrete incontrare? E se vi facesse saltare la mosca al naso? Potreste perdere le staffe, e addio! Quindi, la pistola rimarrà qui.”

"Bene," cedette Jason. Chiaramente, non disse nulla dello stiletto che si portava dietro. Almeno, con quello si sarebbe sentito un po’ più al sicuro. Anche se avrebbe preferito tenersi la sua pistola... "Visto che insistete, la lascerò nella scrivania di Harrington. In questo modo uno dei novellini del club non la troverà e non sparerà incidentalmente a qualcuno, giocandoci da imbecille. ".

"Non me ne parlate. Nessuno è peggio del Conte di Barton! Giurerei che sta diventando più stupido ogni giorno di più! ". Shelby alzò gli occhi al cielo. "Harrington dovrebbe dargli una raddrizzata, prima che faccia altri danni!”

Avendo avuto a che fare con Barton in passato, Jason conosceva bene l’assoluta mancanza di cervello del giovane Conte. Chiamarlo idiota era un complimento. "Questo è uno dei motivi per cui Harrington ha l’aiuto vostro e di Darcy." Ghignò con cattiveria. "A voi il piacere di raddrizzare i deficienti che non distinguono la testa dal culo!”

"Per favore, non parliamone! –rabbrividì Shelby - Ora andate a nascondere la vostra pistola e andiamo via da qui. Se ci mettiamo in viaggio adesso, riuscirete a parlare con l’avvocato prima di sera.”

Jason brontolò un po', ma fece come Shelby aveva detto. Quindi tornò dal suo amico, che appariva molto più rilassato di prima. Shelby finì il suo brandy e posò il bicchiere sul tavolo. "Andiamo." disse..

Jason annuì e lo seguì fuori dalla stanza. Uscirono dal club e si diressero insieme verso l'ufficio dell’avvocato. Non sapeva cosa gli avrebbe detto il legale, una volta lì, ma ormai era rassegnato all’idea di affrontarlo. Jason non era un codardo ed era tempo di finirla di comportarsi come tale. Respirò profondamente e si preparò all’incontro. Sarebbe stato penoso, ma aveva Shelby con sé. Il che doveva contare pur qualcosa ...

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