C’era solo un modo per scoprirlo. Avrebbe dovuto richiamare Mirabella e chiederle ulteriori dettagli sulla morte di sua sorella.
Riprese in mano il telefono, sentendosi male per il timore, e digitò il numero.
Con sua confusione, Mirabella non rispose. La chiamata non passò neanche alla segreteria telefonica, il telefono continuò solamente a squillare.
Cassie terminò la chiamata, chiedendosi se vi fosse stato un problema di linea. Mentre compose nuovamente il numero, fece del suo meglio per raccogliere i pensieri.
Non stava impazzendo. Era sicura di non ricordare male la conversazione. Ed era convinta che sua sorella non poteva essere morta. Non in così breve tempo, quando stava bene così di recente.
Forse Mirabella era stufa di dover rispondere a gente che chiedeva di Jacqui, forse lei aveva un ex fidanzato che stava tirando tutti scemi, o magari se ne era andata in malo modo, e in uno scatto d’ira Mirabella aveva deciso di dire una cosa terribile.
Ciò diede a Cassie un barlume di speranza, ma l’unico problema era che non poteva confermarlo. Il telefono continuò nuovamente a suonare senza risposta, e poi il rumore e lo sfregare della porta d’ingresso che si apriva le dissero che le bambine erano a casa.
Dopo una mattinata da sola, e la scioccante scoperta che doveva gestire, era felice di vedere Nina e Venetia. Era grata per la loro compagnia, che le forniva una distrazione dai suoi pensieri agitati.
“Avete passato una bella giornata a scuola?” chiese.
Le bambine sembravano curate e in ordine come quando erano uscite di casa. Cassie aveva dei vaghi ricordi dei suoi giorni di scuola, quando tornava a casa in uno stato di disordine, senza laccio dei capelli o con la borsa rotta o senza giacca.
“Io ho avuto una buona giornata”, disse educatamente Nina.
Venetia fu più loquace.
“Ho fatto una verifica di matematica e sono stata la più brava della classe”, disse, e questo invogliò Nina a parlare di nuovo.
“Domani abbiamo una gara di spelling. Non vedo l’ora, perché la scorsa volta la mia squadra ha vinto”.
“Bravissima per la tua verifica di matematica, Venetia; e Nina, sono certa che sarete bravissimi. Posso aiutarti a fare pratica dopo, se ti va. Ora, avete pranzato entrambe?”
“Sì”, rispose Nina.
“Allora perché non andate a togliervi la divisa e mettervi qualcosa di più comodo? E poi vogliamo trovare qualcosa di divertente da fare per un po’, prima che faccia buio?”
Le ragazze si scambiarono uno sguardo. Era una cosa che facevano spesso, aveva notato Cassie, come se dovessero controllare l’una con l’altra prima di dire di sì”.
“Va bene”, disse Nina.
Mentre le ragazze salivano di sopra per cambiarsi, Cassie si sentì perplessa per il loro comportamento estremamente formale. Si era aspettata che a quel punto fossero rilassate abbastanza da far uscire le loro vere personalità. Era come se le bambine la tenessero a distanza, ed era preoccupata che fossero contrarie alla sua presenza, anche se non sapeva perché.
Ciò rendeva anche difficile interagire con loro; era come se fossero due piccoli robot perfettamente ubbidienti. L’unica conversazione reale che avevano offerto fino a quel momento era riguardo alla scuola.
C’era solo una persona che avrebbe potuto cambiare la situazione, ed era lei. Senza dubbio queste bambine non erano abituate a stare con persone ordinarie, che non erano specialisti super intelligenti o imprenditori, ma lei poteva solo essere se stessa.
Le era passata per la testa l’idea di aiutarle con i compiti, ma si trattava di un’attività noiosa, e in ogni caso le bambine sembravano preferire fare le loro cose da sole e in autonomia.
Cassie pensò di giocare con loro a un vero gioco. Era quello che sembrava mancare nella loro vita troppo seria e senza pause. Certo erano brillanti e destinate al successo, ma avevano ancora solo otto e nove anni, e avevano bisogno di giocare.
Contenta per aver pensato ad un’attività che sarebbe loro piaciuta, dove anche lei avrebbe potuto contribuire con la propria energia ed immaginazione, si diresse al piano di sopra per indossare la giacca.
“Sembra che potrebbe piovere tra poco, ma per ora regge, perciò vi va di uscire a giocare in giardino?” chiese a Nina.
Nina la guardò educatamente.
“Di solito non lo facciamo”, disse.
Cassie si sentì il cuore sprofondare. Queste bambine la stavano respingendo.
Venetia apparve sulla porta della camera di Nina.
“Io vorrei giocare”, disse.
Cassie vide che sulla mensola sopra la libreria di Nina vi erano alcuni giocattoli. Erano troppo in alto perché le bambine potessero raggiungerli, ma c’era una bellissima bambola che sembrava un costosissimo articolo da collezione, un puzzle in una scatola chiusa e una morbida palla colorata.
“Vogliamo uscire a giocare a passaggi?” suggerì, afferrando il pallone.
Di nuovo, le bimbe si scambiarono uno sguardo, come per prendere una decisione.
“Non abbiamo il permesso di giocare con quei giochi”, disse Nina.
Presa dalla frustrazione del momento, per poco Cassie non perse la pazienza e gridò alle bambine. Si sentiva emotivamente distrutta dopo la scoperta della morte di Jacqui, e stava iniziando a percepire questo ostruzionismo come un attacco personale.
Sul punto di esplodere, riuscì ad afferrare l’ultimo scampolo di autocontrollo.
“Ok”, disse, riempiendo la voce di finta allegria il più possibile. “Non avete il permesso di usare quei giochi, ma volete comunque giocare a qualcosa?”
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