«Zitta. Sto pensando».
Con un lamento, mi lasciai cadere a letto coprendomi la testa con la trapunta.
Senza far rumore, mi fu subito accanto. Sollevò la coperta per guardarmi. Mi si sdraiò vicino. Con la mano mi spostò i capelli dalla guancia.
«Se non ti disturba, preferirei che non ti nascondessi il viso. Mi è mancato più di quanto potessi immaginare. Adesso... dimmi una cosa».
«Cosa?», chiesi, riluttante.
«Se tu potessi esaudire un desiderio, quale sceglieresti?».
Lo guardai, scettica. «Di stare con te».
Scosse la testa, impaziente. «Qualcosa che tu non abbia già».
Non capivo dove volesse arrivare, perciò riflettei per bene sulla risposta. Ciò che dissi era vero, magari impossibile.
«Vorrei... che non toccasse a Carlisle farlo. Vorrei che fossi tu a trasformarmi».
Restai in attesa della sua reazione, inquieta, nel timore che la furia che avevo visto esplodere a casa sua riaffiorasse. Con mia sorpresa, restò pensieroso.
«E cosa saresti disposta a dare, in cambio?».
Non credevo alle mie orecchie. Restai a bocca aperta di fronte alla sua compostezza e mi lasciai scappare la risposta senza nemmeno pensarci.
«Qualsiasi cosa».
Abbozzò un sorriso e increspò le labbra. «Cinque anni?».
Sul mio volto spuntò un’espressione a metà strada tra sofferenza e terrore.
«Hai detto qualsiasi cosa», ribadì.
«Sì, ma... sfrutteresti quel tempo per trovare una scappatoia. Devo battere il ferro finché è caldo. E poi, è troppo pericoloso restare umana, per me almeno. Quindi, qualsiasi altra possibilità va bene».
Si rabbuiò. «Tre anni?».
«No!».
«Allora per te non vale niente!».
Ripensai a quanto desiderassi che fosse lui a trasformarmi. Meglio fingere e non farglielo capire. Avrei avuto più margine di manovra. «Sei mesi?».
Alzò gli occhi al cielo. «Non sono abbastanza».
«Allora un anno», risposi. «È il mio massimo».
«Concedimene almeno due».
«Neanche per idea. Diciannove posso anche compierli. Ma ai venti non voglio nemmeno avvicinarmi. Non credere che possano restare una tua esclusiva».
Ci pensò su per un minuto. «Va bene. Lasciamo perdere i limiti temporali. Se vuoi che sia io a compiere il gesto... lo farò ma a una condizione».
Mi sentii mancare la voce. «Quale?».
Il suo sguardo era prudente. Parlò lentamente: «Prima sposami».
Restai a fissarlo, in attesa. «Okay. È uno scherzo».
Sospirò. «Così mi ferisci, Bella. Ti chiedo di sposarmi e la metti sul ridere».
«Edward, per favore, sii serio».
«Sono serio al cento per cento». Mi lanciò un’occhiata che non lasciava spazio alle battute.
«E dai», risposi con un velo di isteria nella mia voce. «Ho soltanto diciotto anni».
«Be’, io quasi centodieci. È ora che metta la testa a posto».
Guardai fuori dalla finestra buia, sforzandomi di non cedere al panico.
«A dire la verità, il matrimonio non è la mia massima priorità, sai? Renée e Charlie ne sono rimasti letteralmente dissanguati».
«Interessante metafora».
«Sai bene cosa intendo».
Riprese fiato. «Per favore, non dirmi che hai paura di assumerti un impegno tanto solenne». Sembrava incredulo e il perché era chiarissimo.
«Non è proprio così», ribattei. «Ho... paura di Renée. Ha idee molto precise a proposito del matrimonio prima dei trent’anni».
«Perché preferirebbe vederti dannata per l’eternità, piuttosto che sposata». Fece una risata cupa.
«Non ci scherzerei troppo».
«Bella, se pensi che sposarsi sia impegnativo quanto barattare la propria anima con una vita eterna da vampiro...», scosse il capo, «se non sei abbastanza coraggiosa da sposarmi, allora...».
«Be’», lo incalzai. «E se lo fossi? Se ti chiedessi di portarmi subito a Las Vegas? Diventerei un vampiro in tre giorni?».
Sorrise, scoprendo i denti splendenti al buio. «Come no», disse certo del mio bluff. «Prendo la macchina».
«Uffa», mormorai. «Ti lascio diciotto mesi».
«Niente affatto», rispose sorridendo. « Questa è la mia condizione».
«Va bene. Mi rivolgerò a Carlisle, dopo il diploma».
«Se proprio ci tieni». Si strinse nelle spalle e il suo sorriso divenne assolutamente angelico.
«Sei impossibile», dissi con un lamento. «Un mostro».
Sghignazzò. «Per questo non mi vuoi sposare?».
Mi lamentai di nuovo.
Si chinò verso di me. I suoi occhi fondi come la notte bruciavano come lava e frantumarono la mia concentrazione. «Bella, per favore», sussurrò.
Per un istante dimenticai di respirare. Quando mi ripresi, scossi la testa con forza per fare ordine nel mio annebbiamento improvviso.
«Sarebbe stato meglio se ti avessi regalato un anello?».
«No! Niente anelli!». Fu quasi un urlo.
«Ecco, ci sei riuscita», sussurrò.
«Ops».
«Charlie si sta svegliando. Meglio che me ne vada», disse Edward rassegnato.
Il mio cuore cessò di battere.
Lui mi osservò per un momento. «Trovi infantile che mi nasconda nell’armadio?».
«No», sussurrai impaziente. «Per favore, resta».
Sorrise e scomparve.
Al buio, irrequieta, aspettavo che Charlie venisse a controllare. Edward sapeva quel che faceva ed ero pronta a scommettere che dietro la sua reazione stupita e offesa ci fosse ancora uno stratagemma. Certo, l’opzione Carlisle rimaneva ma, ora che sapevo di avere una possibilità di essere trasformata da Edward, lo desideravo più di ogni altra cosa. Però, che razza di imbroglione.
La porta si spalancò.
«Buongiorno, papà».
«Ah, ciao, Bella». Sembrava preso in contropiede. «Non pensavo fossi già sveglia».
«Eh, sì. Aspettavo che ti alzassi anche tu per fare la doccia». Feci per scendere dal letto.
«Aspetta», disse Charlie e accese la luce. Restai accecata per qualche istante e badai a non guardare verso l’armadio. «Prima, parliamo un po’».
Non riuscii a controllare la mia espressione infastidita. Mi ero dimenticata di chiedere un alibi ad Alice.
«Sei nei guai, lo sai, vero?».
«Sì, lo so».
«Negli ultimi tre giorni sono quasi impazzito. Torno a casa dal funerale di Harry e tu non ci sei. Jacob non ha saputo dirmi altro, se non che te n’eri andata con Alice Cullen e che temeva fossi in pericolo. Non mi hai lasciato un numero, non ti sei mai fatta viva. Non sapevo dove fossi, né quando—o se—saresti tornata. Riesci a renderti conto di come... come...». Non riuscì a terminare la frase. Riprese fiato e proseguì. «Hai un motivo valido per non costringermi a spedirti a Jacksonville seduta stante?».
Lo guardai torva. Eravamo arrivati alle minacce, dunque? D’accordo, gli avrei risposto per le rime. Mi sedetti, avvolgendomi nella trapunta. «Sì! Perché non ci andrò».
«Aspetta un attimo, signorina...».
«Ascolta, papà, mi prendo tutta la responsabilità delle mie azioni e tu hai il diritto di mettermi in castigo fino a quando ti pare. Farò anche le pulizie, laverò i panni e i piatti finché non ti sembrerà che ho imparato la lezione. Penso sia tuo diritto anche cacciarmi via, ma non per questo andrò in Florida».
Arrossì all’istante. Prima di rispondere cercò di calmarsi.
«Potresti spiegarmi dove sei stata?».
Oh, merda. «C’è stata... un’emergenza».
Restò a fissarmi, in attesa della mia brillante spiegazione.
Sbuffai rumorosamente. «Non so cosa dirti, papà. Più che altro, è stato un malinteso. “Ho sentito dire, gira voce” eccetera e la cosa è diventata più grossa di com’era».
Mi guardava assolutamente scettico.
«Ecco, Alice ha detto a Rosalie che mi ero tuffata dallo scoglio...». Mi arrabattavo a cercare una storia che fosse il più vicina possibile alla verità, in modo che la mia incapacità di raccontare bugie credibili non rovinasse tutto, ma, prima che proseguissi, l’espressione di Charlie mi ricordò che lui non sapeva niente dello scoglio.
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