Dean Koontz - Sussurri

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A ventinove anni, dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili, la bella e intelligente Hilary Thomas è arrivata al successo. Ma quando viene aggredita nella sua lussuosa villa di Beverly Hills da un maniaco omicida, i peggiori incubi del passato sembrano rimaterializzarsi nei bagliori della lama acuminata del suo aggressore. Non basterà fuggire, non basterà lottare, non basterà nemmeno ucciderlo: lui tornerà, più forte della morte, a ossessionarla, costringendola a scavare disperatamente nei segreti sepolti per scoprire una realtà allucinante. Da Hollywood a Napa Valley, dalle piscine soleggiate delle dimore dei divi alla penombra umida di morte dell’obitorio, il ritmo tranquillo della vita quotidiana in California viene sconvolto da eventi ben più spaventosi e dirompenti dei terremoti ai quali la gente è ormai abituata. Esistono forze, nella mente umana, al confronto delle quali le scosse telluriche sono carezze e le urla di morte soltanto sussurri.

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«Come ho già detto al telefono a Mr Rhinehart» proseguì Rudge, «Mr Frye era lacerato da due desideri opposti. Voleva il mio aiuto, voleva giungere alla radice del suo problema. Ma nello stesso tempo, aveva paura di sbilanciarsi troppo: temeva quello che avrebbe potuto scoprire su se stesso.»

«Che tipo di problema aveva?» chiese Tony.

«Be’, ovviamente il vero problema psicologico, che era la causa della sua ansia, della tensione e dello stress, era racchiuso nel profondo del suo inconscio. È per questo che aveva bisogno di me. Alla fine, forse saremmo riusciti a scoprire il nocciolo della questione, se la terapia avesse avuto successo. Ma non siamo mai giunti a quel punto. Quindi non posso dirvi che cosa aveva perché in realtà non lo so. Ma forse vi interesserà sapere che cosa ha portato Frye da me. Che cosa gli ha fatto capire che aveva bisogno di aiuto.»

«Certo,» intervenne Hilary. «Almeno è un punto di partenza. Che sintomi accusava?»

«Ciò che lo turbava di più, almeno dal suo punto di vista, era un incubo ricorrente che lo terrorizzava.»

Al centro del tavolo c’era un registratore con accanto due pile di cassette: quattordici da una parte e quattro dall’altra. Rudge allungò il braccio e ne prese una dal mucchio più piccolo.

«Registro sempre le sedute e tengo le cassette al sicuro,» spiegò il dottore. «Questi sono i nastri relativi a Mr Frye. Ieri sera, dopo aver parlato con Mr Rhinehart, ho ascoltato parte di queste registrazioni per cercare di trovare qualche passaggio significativo. Avevo l’impressione che sareste riusciti a convincermi a collaborare e pensavo che sarebbe stato meglio ascoltare i problemi di Bruno Frye dalla sua viva voce.»

«Stupendo,» esclamò Joshua.

«Questa si riferisce al nostro primo incontro,» disse il dottor Rudge. «Nei primi quaranta minuti, Frye non ha detto praticamente nulla. Era molto strano. Sembrava apparentemente calmo e sicuro di sé, ma mi sono subito reso conto che aveva paura e che stava cercando di nascondere quello che provava veramente. Aveva paura di aprirsi a me. Arrivò quasi al punto di alzarsi e andarsene. Ma io ho continuato a parlargli dolcemente, molto dolcemente. Negli ultimi dieci minuti, mi ha confessato perché era venuto da me, ma dovevo strappargli le parole una alla volta. Ecco comunque parte della registrazione.»

Rudge infilò la cassetta nel registratore e premette un tasto.

All’udire quella voce familiare, dal tono rauco e gracchiante, Hilary avvertì un brivido lungo la schiena.

Frye parlò per primo:

«Ho un problema.»

«Che tipo di problema?»

«Di notte.»

«Sì?»

«Ogni notte.»

«Vuol dire che ha problemi legati al sonno?»

«In parte sì.»

«Può spiegarsi meglio?»

«Faccio un sogno.»

«Che tipo di sogno?»

«Un incubo.»

«Lo stesso ogni notte?»

«Sì.»

«Da quanto tempo si ripete?»

«Da quando mi ricordo.»

«Da un anno? Due anni?»

«No, no. Da molto più tempo.»

«Cinque anni? Dieci?»

«Almeno trenta. Forse di più.»

«Ha lo stesso incubo ogni notte da almeno treni’anni?»

«Esatto.»

«Ma sicuramente non tutte le notti.»

«Sì, senza tregua.»

«Che cosa sogna?»

«Non lo so.»

«Non si tiri indietro.»

«Non mi tiro indietro.»

«Lei vuole dirmelo.»

«Sì.»

«È per questo che è venuto qui. Quindi me lo dica.»

«Vorrei farlo, ma non so davvero che cosa sogno.»

«Come fa a sognare la stessa cosa per trent’anni di fila senza sapere di che cosa si tratta?»

«Mi sveglio urlando. So che è per via di un sogno. Ma non riesco mai a ricordarlo.»

«E allora come fa a sapere che è sempre lo stesso sogno?»

«Lo so e basta.»

«Non è sufficiente.»

«Sufficiente per che cosa?»

«Sufficiente per convincermi che si tratta sempre dello stesso sogno. Se è così sicuro che l’incubo è ricorrente, deve avere qualche altra motivazione.»

«Se glielo dicessi…»

«Sì?»

«Penserebbe che sono pazzo.»

«Non uso mai la parola ‘pazzo’.»

«Ah no?»

«No.»

«Be’… ogni volta che mi sveglio dopo un incubo, ho l’impressione che ci sia qualcosa che mi striscia addosso.»

«Che cos’è?»

«Non lo so. Non riesco mai a ricordarlo. Ma è come se qualcosa cercasse di infilarsi nel naso e nella bocca. Qualcosa di disgustoso. Cerca di infilarsi dentro di me. Spinge agli angoli degli occhi, cercando di farmeli aprire. Sento che si muove sotto i vestiti. Anche nei capelli. È dappertutto. E striscia, si insinua…»

Nello studio di Nicholas Rudge, tutti avevano gli occhi fissi sul registratore.

La voce di Frye era sempre gracchiante, ma piena di autentico terrore.

A Hilary parve di scorgere il viso dell’uomo distorto dalla paura, con gli occhi spalancati, la pelle cadaverica e la fronte imperlata di sudore.

Il nastro proseguì:

«È una cosa sola che le striscia addosso?»

«Non lo so.»

«O sono più cose?»

«Non lo so.»

«Che aspetto ha?»

«E… orribile… disgustosa.»

«Perché questa cosa vuole entrare dentro di lei?»

«Non lo so.»

«E prova sempre questa sensazione dopo un sogno?»

«Sì. Per un minuto o due.»

«Oltre alla sensazione di qualcosa che striscia, avverte qualcos’altro?»

«Sì. Ma non è una sensazione, è un rumore.»

«Che tipo di rumore?»

«Sussurri.»

«Vuol dire che si sveglia e immagina di sentire persone che bisbigliano?»

«Esatto. Sussurrano, sussurrano, sussurrano. Tutt’attorno.»

«Chi sono queste persone?»

«Non lo so.»

«Che cosa sussurrano?»

«Non lo so.»

«Ha l’impressione che cerchino di dirle qualcosa?»

«Sì. Ma non riesco a capire.»

«Non ha una teoria, una supposizione? Non può cercare di indovinare?»

«Non distinguo le parole, ma so che dicono cose cattive.»

«Cose cattive? In che senso?»

«Mi minacciano, mi odiano.»

«Sussurri di minaccia.»

«Sì.»

«Quanto tempo durano?»

«Più o meno come quelle cose… striscianti.»

«Circa un minuto?»

«Sì. Le sembro pazzo?»

«Per niente.»

«Coraggio, sembro un po’ matto.»

«Mi creda, Mr Frye, ho udito storie molto più strane della sua.»

«Continuo a ripetermi che, se sapessi quello che dicono quei sussurri e se capissi che cosa mi striscia addosso, riuscirei a ricordare anche il sogno e forse non lo farei più.»

«E proprio questo il modo per affrontare il problema.»

«È in grado di aiutarmi?»

«Be’, dipende soprattutto da quanto lei vuole aiutare se stesso.»

«Oh, io voglio sconfiggere questa cosa, davvero.»

«Allora probabilmente ce la farà.»

«Ormai mi perseguita da anni, ma non mi sono ancora abituato. Ho paura ad andare a letto. Ogni sera, ho tanta paura.»

«Si è mai sottoposto a una terapia prima d’ora?»

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