Il gattino era tutto nero, dato che le sue pezzature si vedevano solo in controluce, nero su nero. Lo chiamai Possidente. Era piacevole tornare a casa la sera e trovare ad attendermi il mio piccolo Possidente.
Durante la successiva metà dell'anno fummo impegnate a organizzare la grande dimostrazione delle donne. Ci furono molte riunioni, ad alcune delle quali incontrai di nuovo il Vice-Nunzio, e così cominciai a guardare sempre se c'era. Mi piaceva osservarlo mentre ascoltava le nostre discussioni. Alcuni sostenevano che la dimostrazione non doveva essere limitata ai torti subiti dalle donne e ai loro diritti, perché l'uguaglianza è un diritto di tutti. Altri sostenevano che non doveva dipendere in alcun modo dal sostegno di stranieri, ma restare un'iniziativa strettamente yeowiana. Il signor Yehedarhed li stava ad ascoltare, ma io mi risentii. «Io sono una straniera,» affermai. «Questo significa che non conto nulla per voi? È un modo di ragionare da padroni, come se voi foste superiori agii altri popoli!» La dottoressa Yeron soggiunse, «Crederò all'uguaglianza come diritto di tutti il giorno in cui lo vedrò scritto sulla Costituzione di Yeowe». La nostra Costituzione, infatti, ratificata dal suffragio universale durante il mio soggiorno ad Hagayot, si riferiva solo ai cittadini maschi. Lo scopo della dimostrazione fu esplicitato alla fine in una richiesta di emendamento della Costituzione che comprendesse nella definizione di "cittadino" anche le donne, che definisse modalità di voto segreto, garantisse libertà di parola, di stampa e di assemblea, e istruzione gratuita per tutti i bambini.
Mi distesi sui binari insieme ad altre settantamila donne, in quella calda giornata. Cantai con loro. Ascoltai il suono formato da tante voci di donne che cantavano insieme, un suono così intenso, così profondo.
Avevo cominciato a parlare di nuovo in pubblico mentre stavamo reclutando donne per la grande manifestazione. Era un dono che avevo, e ne facevo uso. Qualche volta bande di ragazzi o di uomini ignoranti venivano a provocarmi e a minacciarmi gridandomi, «Donna-Boss, Donna-Padrona, sesso nera, tornatene da dove sei venuta!» Una volta mentre mi gridavano quel "tornatene da dove sei venuta" mi chinai sul microfono e dissi, «Non posso tornare. C'è una canzone che cantavamo spesso nella piantagione in cui ero schiava,» e cantai,
Oh, oh, Yeowe!
Nessuno mai più tornerà!
Quella canzone li mise a tacere per un po'. Lo sentirono anche loro, quell'atroce dolore, quel desiderio cocente.
Dopo la grande manifestazione l'attività frenetica non venne mai meno, ma c'erano periodi in cui veniva meno l'energia, in cui "il movimento non si muoveva", come scherzava la dottoressa Yeron. Durante uno di questi periodi andai da lei a proporle di metter su una tipografia per stampare libri. Era da tempo uno dei miei sogni, nato quel giorno ad Hagayot in cui Seugi aveva pianto toccando le sue parole.
«Le parole volano via,» dissi. «Tutte le parole o le immagini nella rete volano via, e chiunque può alterarne la memoria, ma i libri restano. I libri durano. Sono il corpo della storia, come dice il signor Yehedarhed.» «Ci sono gli ispettori,» obiettò la dottoressa Yeron. «Finché non otterremo l'emendamento della Costituzione sulla libertà di stampa, i Capi non permetteranno a nessuno di pubblicare qualcosa che non sia stato scritto sotto loro dettatura.»
Non volevo rinunciare all'idea. Sapevo che nella regione di Yotebber non avremmo potuto pubblicare niente di politico, ma feci presente che avremmo potuto pubblicare racconti e poesie di donne della regione. Altri sostennero che sarebbe stato uno spreco di tempo. Discutemmo a lungo sull'argomento sviscerandone ogni aspetto. Il signor Yehedarhed rientrò da un viaggio all'ambasciata, lassù a nord, nella Vecchia Capitale. Stette ad ascoltare le nostre discussioni, ma non si pronunciò, il che mi deluse. Avevo contato sul suo appoggio al mio progetto.
Un giorno stavo rientrando da scuola nel mio appartamentino che si trovava in un grande edificio, vecchio e rumoroso, non lontano dal lungofiume. Mi piaceva quel posto perché le mie finestre si aprivano fra i rami degli alberi, e attraverso gli alberi potevo scorgere il fiume, largo sei chilometri in quel punto, che scorreva tranquillo in mezzo a strisce di rena, cespugli acquatici e isolotti coperti di salici nella stagione secca, e sfiorava il limitare degli argini nella stagione umida quando era gonfiato dai temporali. Quel giorno, mentre stavo per arrivare a casa, incontrai il signor Yehedarhed con due delle sue guardie del corpo dalle facce scorbutiche che lo seguivano come di consueto. Mi salutò e mi chiese se potevamo parlare. Imbarazzata, non trovai di meglio che invitarlo a salire di sopra da me.
Le sue guardie rimasero nell'atrio. Io avevo una sola stanza spaziosa al terzo piano. Mi sedetti sul letto e il Vice-Nunzio si accomodò su una sedia. Possidente gli si strofinò ripetutamente contro le gambe, ronfando.
Avevo spesso osservato che il Vice-Nunzio si divertiva a deludere le aspettative del Capo e dei suoi accoliti che avevano una grande passione per la pompa, le parate di macchine, l'esibizione di decorazioni e alte uniformi. Lui e le sue guardie del corpo andavano in giro per tutta la città e per tutta la regione di Yotebber sulla sua macchina governativa oppure a piedi. Alla gente lui piaceva per questo. Sapevano, come avevo saputo anch'io, che era stato assalito, picchiato e lasciato esanime per strada da un commando del Partito Mondiale il suo primo giorno qui, mentre passeggiava da solo. I cittadini apprezzavano il suo coraggio e la sua disponibilità a intrattenersi con chiunque e dovunque. Lo avevano adottato. Noi del Movimento di Liberazione lo consideravamo il "nostro Nunzio", ma lo era in realtà degli altri, e anche del Capo. Il Capo poteva essere forse infastidito dalla sua popolarità, ma ne approfittava.
«Così ha intenzione di fondare una casa editrice,» esordì, carezzando Possidente che si era sdraiato zampe all'aria.
«La dottoressa Yeron dice che è del tutto inutile finché non avremo ottenuto gli Emendamenti.»
«Esiste una stampa qui su Yeowe che non è direttamente controllata dal governo,» continuò il signor Yehedarhed accarezzando il pancino di Possidente.
«Stia attento, che la morde,» dissi. «E quale sarebbe?»
«Quella dell'università. Eccoci!» esclamò il signor Yehedarhed guardandosi il pollice. Presentai le mie scuse. Mi domandò se ero sicura che Possidente fosse maschio. Risposi che così mi era stato detto, ma che non mi ero mai presa la briga di controllare. «Ho l'impressione che il suo Possidente sia in realtà una signora,» disse il signor Yehedarhed in un tono tale da farmi sbellicare dalle risate.
Rise anche lui con me, si succhiò il sangue dal pollice e proseguì. «L'università non ha mai contato molto. Era un espediente delle Corporazioni per dare agli schiavi l'illusione di accedere agli studi superiori. Durante gli ultimi anni della guerra era stata chiusa. Dal Giorno della Liberazione è stata riaperta ed è andata avanti alla bell'e meglio senza che nessuno ci facesse molto caso. Le facoltà sono per lo più antiquate. È tornata in auge dopo la guerra. Il Governo Nazionale le dà un contributo per poter dire di avere un'università di Yeowe, ma non le dà importanza in quanto non ha alcun prestigio. E i suoi membri non brillano certo per la genialità,» Lo disse non con tono di disprezzo, ma semplicemente descrittivo. «Però dispongono di una tipografia.»
«Lo so,» dissi. Tesi una mano verso il mio vecchio libro e glielo mostrai.
Lo sfogliò per qualche minuto. Il suo viso assunse un'espressione quasi di tenerezza. Non potevo fare a meno di guardarlo. Era come guardare una donna con un bambino, un gioco costante e mutevole di richiami e di risposte.
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