Ursula Le Guin - Il pianeta dell'esilio

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— Non mi hanno fermato — egli rispose concisamente a Seiko. — Benissimo; forse domani decideranno qualcosa, basandosi sui nostri suggerimenti. O tra due giorni. Com'è andato, quest'oggi, l'approvvigionamento della Torre? — Il discorso passò ad argomenti d'interesse generale, sebbene tendesse sempre ad accentrarsi su Jakob Agat e a far ritorno a lui. Era più giovane di molti degli altri, e i dieci Alterra erano eletti pari in grado, per tutta la durata del loro mandato di dieci anni al consiglio, ma egli era chiaramente, e per comune consenso, il loro capo, il loro centro. Nessuna visibile ragione di questo stato di cose, a meno che non si trattasse del vigore con cui agiva e parlava; l'autorità si deve poter notare nell'uomo, o in coloro che gli stanno d'intorno? Tuttavia, gli effetti della posizione di predominio si manifestavano in lui sotto forma di una certa tensione e di una certa severità, dovute al pesante fardello di responsabilità ch'egli aveva portato per un lungo periodo, e che di giorno in giorno si faceva sempre più greve.

— Ho commesso un unico errore — egli disse a Dipilota, mentre Seiko e le altre donne del Concilio preparavano e servivano le minuscole, bollenti tazzine cerimoniali di tisana di foglie di basuk; una bevanda chiamata «tii». — Ero tanto infervorato nel cercar di convincere il vecchio della realtà del pericolo rappresentato dai Gaal, che ho l'impressione di avere trasmesso, per un istante. Non verbalmente; ma ha fatto una faccia come se avesse visto uno spettro.

— Tu hai una proiezione sensoriale molto forte, e quando sei sotto tensione ne perdi il controllo. Probabilmente deve avere davvero visto uno spettro.

— Abbiamo perso per tanto tempo i contatti con gli alieni… e siamo così apparentati tra noi, qui dentro, così maledettamente isolati, che non posso fidarmi del mio controllo. Prima trasmetto verbalmente a quella ragazza, giù alla spiaggia, e poi proietto immagini a Wold… si lanceranno su di noi in una caccia alle streghe, se la cosa continuerà, esattamente come hanno fatto nei primi Anni… E dobbiamo convincerli a fidarsi di noi. In un tempo così breve. Se soltanto avessimo potuto conoscere prima la minaccia dei Gaal!

— Be' — cominciò a dire Dipilota, nella sua maniera attenta, — poiché non ci sono altre colonie umane sulla costa a settentrione, è stato soltanto per merito della tua preveggenza nel mandare esploratori a nord, se ora siamo avvertiti. Alla tua salute, Seiko — aggiunse, prendendo la minuscola e fumante tazzina ch'ella gli porgeva.

Agat prese l'ultima tazzina del vassoio, e bevve. C'era un leggero stimolante dei sensi nel tii appena preparato, ed egli fu vivamente consapevole del suo calore astringente, pulito, sulla gola, e dello sguardo profondo di Seiko, della sala spoglia e ampia illuminata dal fuoco, e dal crepuscolo che si stendeva al di là delle finestre. La tazzina ch'egli teneva in mano, di porcellana azzurra, era molto antica: opera del Quinto Anno. I libri stampati con il torchio a mano, chiusi nelle scatole sotto le finestre, erano antichi. Anche il vetro delle finestre era antico. Ogni loro comodità, ogni cosa che permetteva loro di definirsi civili, di rimanere Alterra, era antica. Nell'epoca in cui viveva Agat, e già da molto tempo prima di allora, non c'era stata l'energia, non c'era stato il tempo libero, per poter affermare in modi sottili e complessi l'abilità e lo spirito di una persona. Ora facevano del loro meglio per conservare, per sopravvivere e nulla di più.

Gradualmente, un Anno dopo l'altro, e da almeno dieci generazioni, il loro numero continuò a scemare: molto gradualmente, ma i bambini che nascevano erano sempre meno. Dovettero indietreggiare, raccogliersi insieme per far quadrato. I vecchi sogni di dominio vennero completamente abbandonati. Ritornarono — quando gli Inverni o le tribù ostili degli alieni non provvedevano per primi ad approfittare delle loro debolezze — al loro vecchio centro, la prima colonia, Landin. Insegnarono ai loro figli le vecchie conoscenze e le vecchie usanze, ma nulla di nuovo. E costantemente il loro modo di vivere diventò sempre un po' più umile, tendente a dar maggiore valore alle cose semplici che a quelle sofisticate, alla calma che al cimento, al coraggio che al successo. Si ritiravano.

Agat, fissando la minuscola tazzina che stringeva nella mano, vide nella sua chiara e intatta trasparenza, nell'abilità perfetta che si accompagnava alla sua fattura, e nella fragilità della sua sostanza una specie di allegoria dello spirito della sua gente. Al di là delle alte finestre l'aria aveva lo stesso colore blu trasparente. Ma era fredda: un crepuscolo azzurro, immenso e gelido. Il vecchio timore della sua infanzia si impadronì nuovamente di Agat; il terrore che egli stesso, una volta divenuto adulto, si era spiegato così: questo mondo in cui egli era nato, su cui erano nati suo padre e i suoi antenati di ventitré generazioni, non era la sua casa. La sua razza era straniera. In profondità ne erano sempre stati consapevoli. Erano i Nati Lontano. E a poco a poco, con la maestosa lentezza, l'ostinazione vegetale del processo evolutivo, questo mondo li stava uccidendo: rifiutava l'innesto.

Essi, forse, si sottomettevano con eccessiva condiscendenza al processo, erano troppo disposti ad accettare la morte. Ma una sorta di sottomissione — la loro ferrea adesione alle Leggi della Lega — era stata fin dall'inizio la loro vera forza; ed essi erano ancora forti, presi ad uno ad uno. Tuttavia non disponevano delle conoscenze e delle abilità necessarie per vincere la sterilità e l'aborto precoce che assottigliavano le loro generazioni. Non tutta la sapienza, infatti, era scritta nei Libri della Lega, e di giorno in giorno, di Anno in Anno, alcune conoscenze andavano inevitabilmente perdute, sostituite da qualche altra informazione che riguardava problemi immediati della sopravvivenza. E alla fine erano giunti a non poter neppure comprendere gran parte di ciò che i libri dicevano loro. In verità, che cosa rimaneva del loro Retaggio, ormai? Se un giorno la nave, come nelle antiche storie e nelle antiche speranze, fosse discesa dal cielo avvolta nelle fiamme, gli uomini che ne fossero discesi avrebbero riconosciuto in loro i propri uguali?

Ma non era giunta alcuna nave, né sarebbe mai giunta. Sarebbero morti laggiù; la loro presenza sul pianeta, il lungo esilio e la lunga lotta su quel mondo sarebbero finiti, frantumati come un coccio di terracotta.

Appoggiò sul vassoio la tazzina con somma delicatezza, e si terse il sudore dalla fronte. Seiko lo stava osservando. Distolse bruscamente dalla donna la propria attenzione e cominciò ad ascoltare Jonkendy, Dermat e Dipilota. In mezzo al desolato fiotto dei cattivi presentimenti gli era ritornata brevemente nella memoria, irrilevante eppure simile tanto a una spiegazione quanto a un segno, la leggera, sottile, spaventata figura della ragazza Rolery, che alzava la mano verso di lui dalle rocce cupe, assediate dal mare.

CAPITOLO QUARTO

Gli alti giovani

Il suono della pietra battuta sulla pietra, duro e privo d'echi, echeggiò tra i tetti e le mura incomplete della Città Invernale e raggiunse le alte tende rosse che le circondavano da ogni lato. Ak, ak, ak, ak , continuò il suono a lungo, finché d'improvviso gli si unì un secondo rumore che gli fece da contrappunto: kadak, ak, ak, kadak. Un terzo si aggiunse, con un timbro più acuto, formando un ritmo incespicante; poi un altro, e un altro ancora, e tanti altri, finché ogni intervallo si perse nell'acciottolio costante del suono, nella valanga di colpi secchi ed acuti della pietra picchiata sulla pietra, e nella valanga i singoli ritmi di battuta vennero sommersi, resi indistinguibili.

Quando la valanga sonora precedette senza soluzione di continuità, mirabilmente sostenuta, il più Anziano degli Uomini di Askatevar uscì lentamente dalla propria tenda e passò tra l'arcipelago di tende e fuochi da campo da cui s'innalzava il fumo, nella luce inclinata di un tardo pomeriggio degli ultimi giorni d'autunno. Rigido e pesante, il vecchio attraversò da solo l'accampamento della sua gente ed oltrepassò la porta della Città Invernale, segui un sentiero o una strada che passava con infinite giravolte fra i tetti di legno delle case — questi erano simili a tende, poiché le case non avevano pareti al di sopra del livello del terreno — e giunse a uno spiazzo aperto, in mezzo ai cocuzzoli dei tetti. Laggiù erano seduti circa cento uomini, con il mento appoggiato alle ginocchia, ed erano intenti a picchiare una pietra sull'altra, senza interruzione, presi dalla trance ipnotica e priva di toni della percussione stessa. Wold si sedette a sua volta, così completando il cerchio. Raccolse il più piccolo di due ciottoli consumati dall'acqua che gli stavano di fronte, e con piacevole pesantore lo batté sul ciottolo di maggiori dimensioni: Klak! klak! klak! A destra e a sinistra di lui l'acciottolio continuava senza posa: rintronante ruggito di rumore senza regola, in mezzo al quale si poteva discernere di tanto in tanto un frammento di ritmo. Il ritmo svaniva, ritornava, costituito da un'accidentale concatenazione di colpi. Quando ritornò, Wold lo colse, lo segui e lo tenne. Adesso, alle sue orecchie, il ritmo dominava il suono complessivo. Poi anche il suo vicino di sinistra cominciò a picchiare all'unisono con il ritmo tenuto da Wold, e le loro due pietre presero ad alzarsi e a ricadere insieme; poi anche il suo vicino di destra. Poi altri ancora, in vari punti del cerchio, presero a batterlo, picchiando insieme. Il ritmo si liberò del rumore, se ne impadronì, e costrinse ogni voce dissenziente a rientrare entro il suo unico ritmo ininterrotto: il concorde, robusto battito del cuore degli Uomini dell'Askatevar, che picchiavano e picchiavano, senza posa.

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