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Ursula Le Guin: Il pianeta dell'esilio

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Ursula Le Guin Il pianeta dell'esilio

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Riconobbe il profilo della testa e il sorriso. Era quella ch'egli amava stuzzicare, quella che era indolente, insolente, dolce di carattere, solitaria; la bambina nata fuori stagione. Come diavolo si chiamava?

— Ti porto un messaggio, Anziano.

— Da parte di chi?

— Chiamava se stesso con un gran nome… Jakatabat-bolterra? Non riesco a ricordarlo tutto.

— Alterra? È il nome che i Nati Lontano danno ai loro capi. Dove hai visto quell'uomo?

— Non si tratta di un uomo, Anziano, si tratta di un Nato Lontano. Ti manda i suoi saluti, e il messaggio che oggi si recherà a Tevar per parlare con l'Anziano.

— L'ha davvero fatto? — disse Wold, annuendo leggermente col capo, e ammirando la sfacciataggine della ragazza. — E tu sei la sua messaggera?

— Per caso mi ha rivolto la parola…

— Certo, certo. E sapevi, cugina, che tra gli Uomini del Territorio del Pernmek, una donna non maritata che rivolge la parola a un Nato Lontano viene… punita?

— Punita in che modo?

— Non importa.

— Gli Uomini del Pernmek sono una banda di mangiatori di kloob, e si rapano il cranio. Che cosa possono saperne dei Nati Lontano? Non vengono mai alla costa… Una volta, non so più in che tenda, ho sentito dire che l'Anziano del mio Clan ha avuto una Nata Lontano come moglie. In altri tempi.

— Questo è vero. In altri tempi. — La ragazza rimaneva in attesa, e Wold andò indietro con la mente; andò molto indietro, a un'altra epoca: il passato, la primavera. Colori, fragranze da lungo tempo svanite, fiori che non sbocciavano da quaranta fasi lunari, il suono quasi dimenticato di una voce… — Era giovane. È morta giovane. Prima ancora che giungesse l'estate. — E dopo qualche istante, aggiunse: — Inoltre, il caso è diverso da quello di una ragazza non maritata che parli a un Nato Lontano. C'è davvero una differenza, congiunta.

— E perché?

Sebbene fosse impertinente, la ragazza meritava una risposta. — Ci sono molte ragioni, e alcune sono più valide delle altre. Soprattutto questa: un Nato Lontano prende una sola moglie, e quindi la vera donna che lo sposasse non avrebbe figli.

— E per quale motivo non li avrebbe, Anziano?

— Le donne non chiacchierano dunque più, nella tenda femminile? Siete tutte così ignoranti? Perché umani e Nati Lontano non possono concepire insieme! Non ne hai mai sentito parlare? O il matrimonio risulta sterile, o si hanno interruzioni della gravidanza, mostri deformi che non giungono a termine. Mia moglie, Arilia, che era una Nata Lontano, morì di parto, dando alla luce un feto deforme. La sua gente non ha leggi; le loro donne sono come gli uomini, sposano chi vogliono. Ma tra la vera Umanità c'è una legge: le donne giacciono con uomini veri, sposano uomini veri, generano figli umani!

Ella parve un po' delusa e sconsolata. Infine, guardando lontano, verso la fretta e l'alacrità di coloro che si trovavano sulle mura della Città Invernale, disse: — Ottima legge, per donne che abbiano uomini con cui giacere…

Aveva l'apparente età di venti fasi lunari, la qual cosa significava ch'era davvero la ragazza nata fuori stagione, giusto nel mezzo della Carestia Estiva, quando non nascevano bambini. I figli della primavera ormai avevano il doppio o il triplo della sua età, erano sposati una o due volte, prolifici; i nati d'autunno erano ancora bambini. Ma qualche nato di primavera l'avrebbe presa come terza o quarta moglie; non aveva ragione di lamentarsi. Forse egli stesso avrebbe potuto combinarle un matrimonio, sebbene la cosa dipendesse dalla genealogia di lei. — Chi è tua madre, congiunta?

Ella mantenne fissi gli occhi sulla sua fibbia della cintura, e disse: — Shakatany era mia madre. L'hai dimenticata?

— No, Rolery — egli rispose, dopo qualche istante. — Non l'ho dimenticata. Senti, ora, figlia, dove hai parlato con questo Alterra? Si chiamava forse Agat?

— Questa è una parte del suo nome.

— Allora io ho conosciuto suo padre, e il padre di suo padre. È un consanguineo della donna… della Nata Lontano di cui parlavamo. Probabilmente si tratta del figlio di una sua sorella o di un suo fratello.

— Un tuo nipote, dunque. Un mio cugino — disse la ragazza, e scoppiò improvvisamente in una risata. Anche Wold sorrise di fronte alla grottesca logica di quella parentela.

— L'ho incontrato quando sono andata a vedere l'oceano — ella spiegò, — laggiù sulle sabbie. Prima, avevo visto giungere un corriere, dal nord. Nessuna delle donne ne è al corrente. Ci sono notizie? La Migrazione al Sud sta per cominciare?

— Forse, forse — disse Wold. Aveva dimenticato ancora una volta il suo nome. — Corri, ragazza, va' ad aiutare le tue sorelle nei campi — disse, e scordandosi di lei e della ciotola di bhan che aspettava, si alzò pesantemente e fece il giro dell'ampia tenda dipinta di nero, per andare a osservare i lavoratori che sciamavano attorno alle case di terra e alle mura della Città Invernale, e, dietro di loro, il nord. Il cielo settentrionale, quella mattina, era molto azzurro, cristallino, gelido sopra le colline spoglie.

Ricordava in modo ancora assai vivido il tempo passato in quelle tane affollate, scavate nella terra e dal soffitto a cono: i corpi ammassati di un centinaio di dormienti, mentre le donne più anziane rimanevano sveglie e tenevano accesi i fuochi che riempivano di calore e di fumo tutti i pori, e l'odore dell'erbaverna che bolliva, il rumore, il tanfo, il tepore invernale della vicinanza, in quei covi scavati sotto il terreno ghiacciato. E la fredda, linda immobilità del mondo sovrastante, sferzato dai venti o coperto di neve, quand'egli e gli altri giovani cacciatori si spingevano assai lontano da Tevar per dar la caccia agli ucceldineve e ai korio e ai grassi wespri che scendevano dall'ultimo settentrione seguendo il tracciato dei fiumi coperti di ghiaccio. E lassù, dirimpetto a lui, sull'altro versante della vallata, da una macchia di granoverno s'era sollevata la testa ciondolante e bianca di un diavolo della neve… E prima di allora, prima della neve e del ghiaccio e delle bestie bianche dell'inverno, c'era già stato un tempo chiaro e luminoso come questo: chiare giornate di vento dai riflessi d'oro, e di cielo azzurro e gelido sulle montagne. Ed egli, che non era ancora un uomo, ma soltanto un moccioso tra gli altri mocciosi e le donne, alzava lo sguardo per osservare alcune facce bianche e dal naso schiacciato, con penne rosse e mantelli di una strana pelliccia grigia e piumosa; voci che parevano il latrato di una bestia avevano gridato parole ch'egli non comprendeva, mentre gli uomini del suo Clan e gli Anziani dell'Askatevar rispondevano con voce dura, intimando ai faccia-piatta di andarsene. E in precedenza c'era stato un uomo che era giunto dal nord, di corsa, con metà della faccia bruciata e insanguinata, gridando: «I Gaal, i Gaal! Hanno assalito il nostro accampamento di Pekna!…».

Più chiara di qualsiasi voce presente, egli aveva udito echeggiare nella sua mente quel grido roco, per tutto il corso della sua vita, per tutte le sessanta fasi lunari che lo separavano dal ragazzetto che ascoltava ad occhi spalancati, e che separavano l'antica giornata luminosa dalla giornata odierna, altrettanto luminosa. E dov'era Pekna? Perduta sotto le piogge e le nevi; e il disgelo della primavera aveva spazzato via le ossa dei massacrati, le tende rovinate, il ricordo, il nome stesso.

Ma non ci sarebbe stato alcun massacro questa volta, allorché i Gaal si fossero spinti a sud attraverso il Territorio dell'Askatevar. Se n'era preso cura personalmente. C'era qualche lato positivo, nel sopravvivere al proprio tempo e nel ricordare i passati affanni. Non un solo clan, non una sola famiglia degli Uomini dell'intero Territorio rimaneva nelle Terre Estive, a farsi cogliere alla sprovvista dai Gaal o dalla prima tormenta. Erano tutti a Tevar. Duemila uomini, e i piccoli nati dell'autunno, fitti come foglie, che ti correvano fra le gambe, e le donne che chiacchieravano e spigolavano nei campi come stormi di uccelli migratori, e gli uomini che sciamavano a costruire le case e le mura della Città Invernale, con le vecchie pietre sulle vecchie fondamenta, a dare la caccia all'ultima delle bestie in migrazione, a tagliare e accumulare un'infinita quantità di legno proveniente dalla foresta e di torba proveniente dalle Paludi Asciutte, ad accerchiare gli hann per portarli entro grandi stalle, e dar loro da mangiare finché l'erbaverna non fosse cominciata a spuntare. E tutti, in queste fatiche che ormai duravano da mezza fase lunare, avevano obbedito a lui, ed egli aveva obbedito all'antichissimo Costume dell'Uomo. Alla venuta dei Gaal, avrebbero chiuso le porte della città; alla venuta delle tormente avrebbero chiuso la porta delle case di terra, e sarebbero sopravvissuti fino a primavera. Sarebbero sopravvissuti.

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