Dan Simmons - La Caduta di Hyperion

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In un lontano futuro di straordinaria complessità fantastica, la maggior parte dei pianeti della galassia è collegata da una Rete che permette di trasferirsi in pochi secondi da un mondo all’altro. Ma anche in questo universo, apparentemente perfetto, l’umanità è minacciata da pericoli di sconvolgente portata. Ai margini dell’Egemonia si stanno infatti radunando gli Sciami di migrazione degli alieni Ouster, mentre gruppi dotati di sofisticatissimi strumenti tecnologici e strane sette esoteriche premono per conquistare un potere divino. Paradossalmente, per gli uomini, l’unica speranza di salvezza è un piccolo gruppo di pellegrini sperduti su Hyperion, il mondo nei cui insondabili recessi si nasconde il crudele, onnipotente e misterioso Shrike. Dopo Hyperion, dalla magistrale penna di Dan Simmons un altro grande classico della fantascienza moderna, un romanzo affascinante in cui si fondono l’avventura classica e i temi più inquietanti del cyberspazio.

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Il viaggio dell'aeronave, con buoni venti di coda, richiese solo venti ore. Brawne dormicchiò per parte del viaggio, ma trascorse quasi tutto il tempo a guardare il ben noto paesaggio scorrere in basso.

A metà mattino oltrepassarono le chiuse Karla; Brawne sorrise e diede un colpetto al pacco per il Console. Nel tardo pomeriggio si avvicinarono al porto fluviale Naiade e da tremila piedi di altezza Brawne guardò una vecchia chiatta passeggeri trascinata su per il fiume da mante che lasciavano la tipica scia a V. Si chiese se per caso non fosse proprio la Benares.

Volarono sopra il Bordo, mentre nel salottino superiore servivano la cena, e inziarono la traversata del mare di Erba, proprio quando il tramonto dava colore alla steppa smisurata e milioni di steli s'increspavano alla stessa brezza che teneva in volo l'aeronave. Brawne prese il caffè e si sistemò nella sua poltrona preferita, sulla balconata; spalancò la finestra e guardò scorrere il mare di Erba, simile al panno di un tavolo da biliardo, mentre la luce si affievoliva. Un attimo prima che sul ponte si accendessero le lampade, fu ricompensata dallo spettacolo di un carro a vela che bordeggiava da nord a sud, con le lanterne che oscillavano a prua e a poppa. Brawne si sporse e udì con chiarezza il rombo della grande ruota e lo schiocco della vela di fiocco, mentre il carro virava con forza per cambiare rotta.

Nello scompartimento il letto era pronto, quando Brawne risalì a mettersi in vestaglia; ma dopo la lettura di alcune poesie, tornò sul ponte panoramico e vi rimase fino all'alba, sonnecchiando in poltrona e gustando il fresco profumo di erba che proveniva dal basso.

Si fermarono a Riposo del Pellegrino quanto bastava a fare provvista di cibo fresco e di acqua, rinnovare la zavorra e cambiare equipaggio, ma Brawne non scese a fare due passi. Intorno alla stazione della funivia si vedevano le luci di lavoro; quando infine il viaggio riprese, l'aeronave parve seguire la fila di torri di sostegno dei cavi che s'inoltrava nella Briglia.

Era ancora buio, quando attraversarono le montagne; uno steward girò a chiudere le finestre per pressurizzare gli scompartimenti, ma Brawne scorse ancora di sfuggita le vetture della funivia passare da picco a picco fra le nuvole più in basso e le luccicanti distese di ghiaccio sotto la luce delle stelle.

Poco prima dell'alba sorvolarono Castel Crono, le cui pietre emanavano ben poco senso di calore anche nella luce rosata. Poi comparve il deserto, a sinistra la Città dei Poeti brillò di bianco e il dirigibile scese verso la torre di ormeggio, in fondo al lato orientale dello spazioporto.

Brawne non si era aspettata che qualcuno venisse ad accoglierla. Tutti i suoi conoscenti pensavano che avrebbe fatto il volo nello skimmer di Theo Lane, nel tardo pomeriggio. Ma Brawne aveva ritenuto che l'aeronave fosse il modo giusto per viaggiare da sola con i propri pensieri. E aveva avuto ragione.

Ma ancora prima che il cavo di ormeggio si tendesse e che calassero la rampa, Brawne scorse nella piccola folla il viso del Console. Accanto a lui c'era Martin Sileno, che corrugava la fronte e socchiudeva gli occhi nella poco familiare luce del mattino.

— Quel maledetto Stan — brontolò Brawne, ricordando che adesso i collegamenti a microonde funzionavano e in orbita c'erano satelliti per telecomunicazioni.

Il Console l'accolse con un abbraccio. Martin Sileno sbadigliò, le strinse la mano e disse: — Non potevi trovare un'ora più scomoda per arrivare, vero?

La sera ci fu una festa. Era qualcosa di più della partenza del Console il mattino dopo… gran parte della flotta della FORCE tornava indietro e anche una parte considerevole dello Sciame Ouster sarebbe andato via. Una decina di navette ingombravano il piccolo campo accanto alla nave del Console, mentre gli Ouster rendevano l'ultima visita alle Tombe del Tempo e gli ufficiali della FORCE si fermavano per l'ultima volta alla tomba di Kassad.

La stessa Città dei Poeti ora aveva quasi un migliaio di residenti a tempo pieno; molti di loro erano artisti e poeti, anche se Sileno sosteneva che fossero solo dei poseurs. Per due volte avevano tentato di eleggerlo sindaco; per due volte Martin Sileno aveva declinato l'invito e aveva imprecato a gran voce contro i futuri elettori. Ma l'anziano poeta continuava a mandare avanti le cose, a dirigere i lavori di restauro, a giudicare le controversie, ad assegnare alloggi e a programmare voli di rifornimento da Jacktown e da punti più a sud. La Città dei Poeti non era più la Città Morta.

Martin Sileno diceva che il quoziente di intelligenza collettivo era più elevato, quando il luogo era rimasto deserto.

Il banchetto si tenne nel padiglione da pranzo, da poco ricostruito; la grande cupola echeggiò di risate, quando Martin Sileno lesse poesie licenziose e altri artisti eseguirono scenette comiche. Oltre al Console e a Sileno, al tavolo rotondo di Brawne sedevano sei ospiti Ouster, compresi Freeman Ghenga e Coredwell Minmun, e anche Rithmet Corber III, vestito di pelli cucite a mano e di un alto cappello a cono. Theo Lane giunse tardi, scusandosi; raccontò le più recenti storielle di Jacktown e si accostò al tavolo per unirsi al dessert. Lane era stato menzionato recentemente come candidato del popolo alla carica di sindaco di Jacktown nelle elezioni di Quartomese che presto si sarebbero tenute — sia gli indigeni, sia gli Ouster, sembravano apprezzare il suo stile — e per il momento non si era mostrato restio ad accettare la nomina, se gliela avessero offerta.

Alla fine del banchetto il Console invitò a bordo della nave alcuni amici scelti, per ascoltare musica e bere altro vino. Brawne e Martin e Theo si sedettero sulla loggia, mentre il Console suonava con sobrietà e sentimento brani di Gershwin e Studeri e Brahms e Luser e i Beatles, e poi ancora Gershwin e infine il bellissimo Concerto per pianoforte n. 2 in Do minore di Rachmaninoff.

Poi, nella fioca luce, guardarono la città e la valle, bevvero ancora un po' di vino e chiacchierarono fino a notte.

— Cosa si aspetta di trovare, nella Rete? — domandò Theo al Console. — Anarchia? Governo della plebaglia? Ritorno alla vita dell'età della pietra?

— Questo e altro ancora, probabilmente — sorrise il Console. Fece girare nel bicchiere il cognac. — Sul serio, prima che l'astrotel smettesse di esistere, ci sono state raffiche sufficienti a far capire che, a parte alcune difficoltà reali, gran parte dei mondi della vecchia Rete se la caverà bene.

Theo Lane reggeva lo stesso bicchiere di vino che centellinava dalla sala da pranzo. — Secondo lei, perché le trasmissioni astrotel hanno smesso di esistere?

Martin Sileno sbuffò. — Dio si è stancato di vederci scarabocchiare sulle pareti del cesso fuori di casa.

Parlarono di vecchi amici, si chiesero che cosa facesse in quel momento padre Duré. Avevano sentito parlare della sua nuova carica, in una delle ultime trasmissioni. Ricordarono Lenar Hoyt.

— Pensate che diventerà automaticamente Papa, alla morte di Duré? — domandò il Console.

— Non credo — disse Theo. — Ma almeno avrà una possibilità di rivivere, se il crucimorfo che Duré porta sul petto funziona ancora.

— Chissà se verrà a cercare la balalaica — disse Sileno, traendone alcuni accordi. Nella luce soffusa, pensò Brawne, l'anziano poeta sembrava ancora un satiro.

Parlarono di Sol e di Rachel. Negli ultimi sei mesi, centinaia di persone avevano cercato di entrare nella Sfinge; uno solo vi era riuscito: un Ouster silenzioso di nome Mizenspesht Ammenyet.

Gli specialisti Ouster avevano trascorso mesi ad analizzare le Tombe del Tempo e la traccia di maree ancora esistenti. In alcuni edifici, dopo l'apertura delle Tombe erano comparsi geroglifici e scritte cuneiformi stranamente familiari che avevano portato almeno a ipotesi erudite sulle loro diverse funzioni.

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