Louis dormì sonni agitati. Si svegliò diverse volte, bagnato di freddi sudori. E finalmente il rettangolo d’ombra raggiunse il sole. Louis si mise a sedere, vegliando sugli altri.
Il burattinaio, il conquistatore del cosmo, continuava a volare lontano dalla zona dei fiori-specchio.
Svegliò Teela e lo kzin. Bisognava ripartire. Nell’oscurità, osservarono i girasoli: lunghi steli, petali larghi, piante dall’aspetto innocuo. Forse dormivano. Forse aspettavano la nuova alba per scatenare i loro riflessi ustionanti.
Si alzarono in volo. Louis si annullò in un lungo sonno da drogato. Si svegliò che era ancora buio, e osservò la zona. I girasoli stavano diradando. Verso Spinward nacque uno strano chiarore.
Louis osservò, stordito. Pensò a una lucciola gigante, imprigionata nel campo sonico. Poi sorrise di sé. La luce si fece più forte, contro lo sfondo scuro dell’Anello, vagando nello spazio.
Chiamò Speaker: — Che cosa vedi, laggiù?
— Quello che vedi tu.
— Andiamo a dare un’occhiata?
— D’accordo.
Virarono in direzione della luce. Le girarono attorno, come pesciolini curiosi che osservano una bottiglia calare sul fondo. Era una costruzione di dieci piani, sospesa a trecento metri dal suolo.
— Un castello sul Mondo ad Anello? — si stupì Teela.
Un’unica, immensa finestra si apriva sulla facciata, la comprendeva interamente, formando in una curva la parete e il soffitto del castello. Nella luce dell’interno, videro un labirinto di tavoli disposti a cerchio. Nello spazio vuoto, al centro dell’incommensurabile salone, si alzava una scultura in filo metallico.
Sotto il castello, una città immersa nel buio. Speaker vi passò sopra a volo radente, osservandola rapidamente nella mezza luce dell’Arco. Risalì. Disse che la città somigliava a Zignamuclickclick.
— Deve avere una sorgente di energia autonoma — rifletté Louis.
— Ancora in azione da quando è scomparsa la civiltà degli Anellari? — La domanda di Teela sembrò ragionevole. — Louis, Speaker… guardate!
I volocicli passarono sotto il castello. Louis si spaventò: la massa del castello, sospesa sopra di lui, lo sconcertò. La parete inferiore del castello brillava di finestre illuminate. Pazzesco, pensò Louis. Chi aveva costruito il castello? E come? Che cosa lo teneva sospeso? Lo stomaco gli si contrasse. Vinse la nausea. Guardò ancora, e scoprì una piscina sfarzosamente illuminata.
Era vuota. L’incavo della piscina era rivolto verso il suolo. Come avrebbe potuto restarvi l’acqua, con la forza di gravità dell’Anello? Lo chiese a Speaker. Lo kzin non seppe che cosa rispondere.
Sul fondo della piscina era depositato un enorme scheletro: ossa lunghissime, femori piatti, tibie, e un cranio allungato dall’aspetto mostruoso.
— È un bandersnatch Jinziano — disse Teela. — Mio padre era cacciatore. Aveva allestito la camera dei trofei nella carcassa di uno di questi animali.
— Che cosa può avere spinto gli Anellari a portare i bandersnatch nel loro mondo?
— Perché sono decorativi — rispose Teela con prontezza.
— Stai scherzando? — disse Louis. — Sono orrendi. Animali da incubo.
Be’, in fondo, perché no? Perché i costruttori non avrebbero dovuto razziare centinaia di sistemi astrali per popolare il loro mondo artificiale? Se, per ipotesi, avevano le navi con i motori a fusione, potevano anche farlo. Era ovvio che ogni cosa vivente del Mondo ad Anello vi era stata trasportata da qualche altre luogo. Girasoli, bandersnatch. E che altro?
Girasoli (Speaker in fiamme per una luce riflessa, che urlava nell’interfono).
Città galleggianti nell’aria (sempre in procinto di cadere con risultati disastrosi).
Badersnatch (intelligenti e pericolosi. Lo sarebbero stati anche lì; i bandersnatch non cambiano).
E la morte? La morte era sempre la stessa, ovunque.
Rifecero il giro esterno del castello in cerca di aperture. Le finestre, rettangoli e ottagoni, sfere e cristalli sul pavimento, erano tutte chiuse. Trovarono un posteggio per veicoli volanti con una porta immensa, costruita come un ponte levatoio che serviva da rampa di atterraggio; era alzata e chiusa, proprio come un ponte levatoio. Trovarono una scala mobile a spirale lunga cento metri sospesa come una molla da materasso alla punta più bassa del castello. L’estremità terminava all’aria aperta. Qualche forza l’aveva strappata via, lasciando travi e pioli spaccati. Conduceva a una porta sprangata.
— Che Finaglo se la porti via! Vado a sfondare una finestra — disse Teela.
— Ferma! — le ordinò Louis. Era sicuro che l’avrebbe fatto. — Speaker, adopera il disintegratore. Facci entrare.
Speaker tirò fuori la scavatrice Slaver, alla luce che irrompeva dalla grande finestra panoramica.
Louis conosceva il funzionamento del disintegratore. Tutti gli oggetti che capitavano entro il suo raggio acquistavano improvvisamente una carica positiva tanto forte da scinderli. I burattinai avevano modificato l’arma aggiungendo un secondo raggio parallelo per eliminare la carica dei fotoni. Louis non si era servito del secondo raggio per scavare la buca nel campo dei girasoli e sapeva che non sarebbe stato di alcuna utilità neanche in questo caso.
Avrebbe dovuto immaginare che Speaker, invece, se ne sarebbe servito ad ogni occasione.
Due punti della grande finestra ottagonale, distanti pochi centimetri l’uno dall’altro, acquistarono due cariche opposte, con una differenza potenziale tra di loro.
Il lampo fu abbagliante. Louis serrò gli occhi accecato dalle lacrime e dal dolore. Un rombo di tuono scoppiò improvviso. Nella calma attonita che ne seguì, Louis sentì le particelle di sabbia conficcarglisi nel collo, nelle spalle e sul dorso delle mani. Rimase a occhi chiusi.
— Dovevi provarlo — disse.
— Funziona alla perfezione. Ci sarà molto utile.
— Tanti auguri. Non puntarlo contro paparino, se no si arrabbia.
— Non fare lo screanzato, Louis.
I suoi occhi riacquistarono la vista. Trovò migliaia di minuscole schegge di vetro sul suo corpo e sul veicolo. Vetro volante! Il campo sonico doveva avere trattenuto le particelle, lasciandole poi cadere su tutte le superfici orizzontali.
Teela era già sospesa in aria in una cavità grande quanto una sala da ballo. Gli altri la seguirono.
Louis si svegliò a poco a poco, provando una sensazione di grande benessere. Giaceva appoggiato sul braccio sopra una morbida superficie. Il braccio gli si era intorpidito.
Si girò dall’altra parte e aprì gli occhi.
Si trovava in un letto, col viso rivolto verso un alto soffitto bianco. Sentì un intoppo sotto le costole. Era il gomito di Teela.
Già , era vero. Avevano scoperto il letto la sera precedente; un letto largo come un campo da mini-golf, in una camera enorme che sarebbe appartenuta al seminterrato se il castello fosse stato in posizione consueta.
A quel punto avevano già ammirato molte cose stupefacenti.
Era un castello autentico, con una sensazionale sala da banchetti. I tavoli era disposti intorno a un tavolo centrale a forma di anello piazzato sopra una piattaforma rialzata. Al centro dell’anello era situata una poltrona dall’alto schienale, simile a un trono. Teela, che aveva voluto provarla, aveva scoperto la maniera per sollevarla tra il pavimento e il soffitto, e di mettere in funzione un riproduttore acustico che amplificava la voce dell’occupante del trono, dandole un tono imperativo. La poltrona ruotava insieme alla scultura che la sovrastava.
Si trattava di una scultura leggerissima e con molti spazi vuoti. Aveva l’aspetto di una forma astratta, ma quando Teela cominciò a farla ruotare apparve chiaro che era un ritratto.
Rappresentava la testa di un uomo, completamente calvo.
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