— Lo so — disse Jerlet.
— Bisogna che torni da loro al più presto — continuò Linc. — Devono sapere di Beryl. Bisogna che li persuada a non aver più paura.
Jerlet annuì stancamente.
— Se son convinti di dover morire, non si può prevedere come reagiranno…
— D’accordo! — esclamò Jerlet dando una manata al piano del banco. Colto di sorpresa, Linc sussultò e si allontanò fluttuando di qualche metro. — Lo so bene che devi tornare da loro, maledizione. — La capigliatura scomposta del vecchio sembrava un alone fantastico.
— Lo so… ma è che non voglio più rimanere solo. Vorrei tanto che tu restassi qui con me.
Afferrandosi al sostegno del telescopio, Linc si diede una spinta per tornare vicino al vecchio.
— Ma sai bene che devo farlo — gli disse.
— Sì, lo so — ripeté Jerlet con tristezza. — Ma non per questo sono obbligato a essere contento. Nessuna legge della termodinamica sostiene che debba piacermi l’idea di tornare a rimanere solo.
Senza rendersene conto, Linc aveva trattenuto il fiato, ed ora lo esalò in un lungo sospiro. Per un momento aveva avuto paura della reazione di Jerlet. Ma adesso che il vecchio aveva ripreso a scherzare, pure con i suoi modi bruschi, capì che non doveva preoccuparsi. Sarebbe andato tutto bene. Jerlet non avrebbe cercato di trattenerlo.
Il resto della giornata proseguì normalmente. Jerlet rimase nell’osservatorio a studiare Beryl, e Linc scese nell’officina a studiare i nastri delle memorie del computer per imparare come funzionavano e come si potevano riparare gli strumenti e le apparecchiature del ponte di comando.
Questa sarà la parte più ardua della faccenda pensò. Liberare la plancia dai cadaveri e rimettere in funzione gli strumenti. Rabbrividì involontariamente.
A cena, quella sera, Jerlet si lanciò in una lunga dimostrazione sulle impronte digitali, gli schemi retinici, le impronte vocali e tutti gli altri aspetti del lavoro d’indagine.
Linc era confuso. — Perché prendersi tanti fastidi? Ci Conosciamo tutti, no? Perché non limitarci a chiedere a un altro chi è?
Jerlet per poco non si soffocò con un boccone di bistecca sintetica, e poi cominciò a parlare dei crimini e del lavoro della polizia. Quando ebbero finito di mangiare e i piatti furono introdotti nel riciclatore, Linc chiese: — E va bene, ma chi ha ideato il sistema? Chi ha scoperto che le impronte digitali sono sempre diverse da persona a persona? Kirchhoff e Bunsen?
Jerlet si diede una manata sulla fronte. — No, no! Quei due hanno elaborato i principi della spettroscopia. La tecnica delle impronte digitali è opera di un poliziotto. Un inglese che si chiamava Sherlock Holmes, mi pare. Ci dev’essere un nastro nel computer che spiega bene tutto.
Linc si esaminò i polpastrelli e vide l’insieme di sottili righe curve che formavano dei disegni. Quando rialzò gli occhi, Jerlet era paurosamente impallidito e grosse vene bluastre gli pulsavano sulla fronte.
— Cosa c’è?
— Ahhh… che male — ansimò il vecchio. — Devo aver… mangiato… troppo… troppo in fretta…
Linc si alzò e gli andò vicino.
— No… mi… passerà…
Senza stare a discutere, Linc lo sollevò dalla sedia e lo spinse a spallate. Avrebbe voluto portarlo in braccio, ma era tanto grosso che non riusciva ad abbracciarlo, anche se la gravità ridotta rendeva sopportabile il suo peso.
Lo portò in infermeria. Jerlet ansimava e gemeva mentre Linc lo adagiava sul lettino. Dopo aver attivato la tastiera sul piedistallo metallico accanto al letto, Linc accese i sensori medici. L’infermeria era quasi completamente automatizzata, e Linc non capiva come funzionassero gli apparecchi, ma tenne d’occhio lo schermo sulla parete sopra al letto. Lesse le cifre corrispondenti alle pulsazioni, al respiro, alla temperatura corporea, alla pressione del sangue… Erano tutte rosse, il colore del pericolo. La sinuosa linea verde che tracciava il battito del cuore era discontinua e molto irregolare.
— Cosa devo fare? — chiese Linc a voce alta. Ma gli apparecchi non risposero.
Fu Jerlet a dire con voce rotta: — Premi… il pulsante d’emergenza… di’ al computer medico… attacco cardiaco…
Linc eseguì e sullo schermo apparvero le istruzioni sulla terapia da seguire e su come installare una pompa ausiliaria ventricolare automatica. Linc seguì le istruzioni via via che comparivano sullo schermo. Perse il senso del tempo, ma finalmente riuscì a installare intorno a Jerlet tutte le scintillanti macchine di metallo e di plastica che si agganciarono automaticamente alle braccia e alle gambe di Jerlet.
Ma i numeri sullo schermo erano sempre rossi.
Linc rimase seduto al capezzale. Ogni tanto Jerlet perdeva conoscenza, tornava in sé, ricadeva di nuovo nel torpore.
Linc faceva fatica a tenere gli occhi aperti. I soli rumori nella stanza erano il ronzio degli apparecchi elettrici e il pulsare sommesso della pompa.
— Linc…
Il ragazzo aprì gli occhi con un sussulto. Si era addormentato in piedi.
Jerlet agitava debolmente una mano nel tentativo di toccarlo, ma le macchine lo tenevano saldamente legato al letto.
— Linc… — la voce del vecchio era un sussurro penoso.
— Sono qui. Come ti senti? Cosa posso fare?
— Malissimo… Niente, non puoi far niente. Se le macchine non riescono a tirarmi fuori da questo guaio, per me è finita. Del resto era ora. Ho… — la voce si ridusse a un sussurro incomprensibile.
— Non morire — pregò Linc. — Ti supplico, non morire.
Jerlet strizzò faticosamente un occhio. — Io non vorrei, figliolo… Però sono contento di aver resistito abbastanza… da conoscerti… e istruirti…
— No… — Linc era disperato.
La voce di Jerlet si faceva sempre più debole, e stranamente era diventata più dolce. — Ascolta…
Linc si chinò sulla vecchia faccia devastata. Il respiro usciva dalla bocca in rantoli faticosi che straziavano l’anima a Linc, e a ogni rantolo il grosso corpo sussultava.
— Tu… sai… cosa devi fare?
Linc annuì. Non riusciva a parlare e aveva gli occhi offuscati dalle lacrime.
— Le macchine… le riparerai… In modo da… arrivare a Beryl…
— Sì — mormorò Linc con voce soffocata. — Te lo prometto.
— Bene, — La faccia di Jerlet si distese in un debole sorriso. I rantoli cessarono e gli occhi si chiusero.
— Ti prego! Non morire.
Jerlet socchiuse appena gli occhi. — Puoi farcela anche senza di me.
Linc strinse i pugni sul materasso spugnoso. — Ma io non voglio che tu muoia!
Jerlet si sforzò di sorridere: — Ti… ho detto… che neanch’ io lo… vorrei. Non ho la tempra… del martire eroico, figliolo… ma va’… le macchine devono funzionare… vattene… le macchine possono entrare in funzione da… un momento all’altro…
— Andarmene? Quali macchine?
— Via… vattene… se non vuoi… rimanere congelato anche tu,…
Inconsciamente, Linc si scostò dal letto. Rimase lì un momento, incerto, gli occhi fissi su Jerlet che aveva chiuso gli occhi, I numeri rossi cominciarono a lampeggiare sullo schermo, accompagnati da un tenue, ritmico e insistente bip-bip. Le parole MORTE CLINICA lampeggiarono più volte con tale rapidità che Linc ebbe appena il tempo di notarle. Poi si levò un sibilo acuto dalle macchine intorno al letto, come se i loro visceri meccanici piangessero la morte di Jerlet o si rammaricassero di non essere riuscite a salvarlo. Infine sullo schermo comparve una scritta a grandi lettere verdi: PROCEDIMENTO DI IMMERSIONE CRIOGENICA.
Mentre Linc si allontanava arretrando, sullo schermo apparvero numeri e grafici con rapidità tale che solo una macchina era in grado di leggerli. Le apparecchiature metalliche intorno al letto ronzarono forte, vibrarono e si allontanarono. Linc, affascinato, incapace di muoversi, guardò il corpo di Jerlet affondare lentamente nel pavimento. Le macchine erano immobili e silenziose mentre il letto spariva attraverso una botola. Linc si fece avanti per guardare, ma in quel momento il letto finì di scomparire e la botola si richiuse.
Читать дальше