Margaret Weis - Ambra e ferro

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La vita sul mondo di Krynn è in rapida evoluzione e persino gli dei ne rimangono sconcertati. Che dire allora dei mortali? Di fronte a forze apparentemente invincibili, una piccola ma determinata banda di avventurieri pone in atto un disperato tentativo di arrestare un’invasione. Mina, enigmatica come sempre, riesce a fuggire dalla sua prigione sottomarina e parte per una ricerca che metterà a dura prova la sua forza di volontà, mentre il male sembra diffondersi inesorabilmente...

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Squarciò l’aria un abbaiare gioioso. Un cane bianco e nero si slanciò dal pianerottolo sui cui stava sonnecchiando al sole. Il cane scese ruzzolando dalle scale, scansando le gambe della gente, quasi mandando a gambe all’aria più di qualcuno.

Sfrecciando sul prato, Atta si lanciò verso Rhys e gli balzò fra le braccia.

Rhys afferrò quel corpo peloso che si dimenava e lo strinse a sé, seppellendo la testa nella pelliccia, con gli occhi umidi di acqua più dolce di quella del mare.

Le finestre con le vetrate dai colori vivaci coglievano gli ultimi raggi del sole pomeridiano. La gente si faceva strada per salire e scendere dalla lunga scalinata che conduceva da terra alla Taverna dell’Ultima Dimora sulla cima dell’albero.

«Solace», disse con soddisfazione Nightshade.

3

«Be’, che io diventi il figlio di un orco dagli occhi azzurri amante degli elfi!» Gerard diede a Rhys una pacca sulle spalle, poi scrollò il capo e quindi gli diede un’altra pacca sulle spalle, e infine rimase lì a sorridergli. «Non mi sarei mai aspettato di rivedervi da questa parte dell’Abisso.»

Gerard osservò una pausa, poi disse per metà scherzando e per metà no: «Immagino che rivogliate indietro il vostro cane che tiene a bada i kender...».

Atta andò di corsa a dimenarsi contro Nightshade e a dargli una rapida leccata, quindi tornò sempre di corsa da Rhys. Si sedette ai suoi piedi, guardando in su verso di lui, con la bocca spalancata e la lingua penzolante.

«Sì», rispose Rhys, abbassando la mano per accarezzarle gli orecchi. «Rivoglio la mia cagna.»

«Lo temevo. Solace adesso ha i kender meglio educati di tutto Ansalon. Senza offesa, amico», soggiunse dando un’occhiata a Nightshade.

«Non mi offendo», disse allegramente Nightshade, poi annusò l’aria. «Che specialità prevede il menu della Taverna stasera?»

«Va bene, voialtri, tornate ai vostri affari», disse Gerard, agitando le mani verso la folla che si era radunata. «Lo spettacolo è finito.» Guardò di traverso Rhys e disse sottovoce: «Confido che lo spettacolo sia davvero finito, no, fratello? Non state per prendere fuoco spontaneamente o qualcosa del genere?».

«Spero di no», rispose con cautela Rhys. Quando era coinvolta Zeboim, lui sapeva che era meglio non promettere niente.

Alcuni si soffermarono ancora, sperando in altro divertimento, ma quando i minuti passarono e non si vide nulla di più interessante di un monaco gocciolante e un kender inzuppato, anche i bighelloni si allontanarono.

Gerard si girò per fissare Rhys. «Che cosa avete combinato, fratello? Vi siete lavato la veste con voi dentro? Anche il kender.» Allungando la mano, strappò via dai capelli del kender un pezzetto di vegetale rosso brunastro e viscido. «Alghe! E il mare più vicino è a centocinquanta chilometri da qui.»

Gerard li scrutò. «Ma d’altronde perché sono sorpreso? L’ultima volta che vi ho visti, eravate entrambi chiusi a chiave in una cella di prigione con una donna pazza. Un attimo dopo eravate scomparsi e a me restava una femmina matta che aveva la capacità di sbattermi fuori dalla cella con un buffetto, e poi mi ha chiuso fuori dalla mia stessa prigione e non voleva lasciarmi entrare. E quindi è scomparsa anche lei!»

«Credo di dovervi una spiegazione», disse Rhys.

«Credo proprio di sì!» grugnì Gerard. «Venite dentro la Taverna. Potrete asciugarvi in cucina, e Laura vi combinerà qualcosa da mangiare...»

«Che giorno è oggi?» domandò Nightshade interrompendo.

«Oggi? Quarto giorno», disse impaziente Gerard. «Perché?»

«Quarto giorno... Oh, la specialità del menu sarà costolette d’agnello!» disse emozionato Nightshade. «Con patate bollite e gelatina di menta.»

«Non penso che sia una buona idea andare alla Taverna», disse Rhys. «Dobbiamo parlare in privato.»

«Oh, ma Rhys...» frignò Nightshade, «sono costolette d’agnello!»

«Andremo a casa mia», disse Gerard. «Non è lontana. Non ho costolette d’agnello», soggiunse, vedendo che Nightshade pareva malinconico. «Ma nessuno sa stufare il pollo meglio di me, scusate se ve lo dico io stesso.»

La gente guardava fisso il monaco e il kender percorrere le strade di Solace e si domandava evidentemente come fossero riusciti quei due a bagnarsi tanto in una giornata in cui splendeva il sole e non c’era una nuvola in cielo. Non erano andati lontano, però, quando Nightshade si fermò di colpo.

«Perché andiamo verso la prigione?» domandò sospettoso.

«Non preoccuparti», lo rassicurò Gerard. «La mia casa è situata accanto alla prigione. Io vivo vicino al carcere, caso mai vi siano seccature. La casa fa parte della mia retribuzione.»

«Oh, be’, allora va tutto bene», disse Nightshade, con sollievo.

«Prenderemo qualcosa da mangiare e da bere, e voi potrete recuperare il vostro bastone già che ci siete, fratello», soggiunse Gerard come ripensandoci. «L’ho conservato per voi.»

«Il mio bastone!» Adesso fu Rhys a fermarsi. Guardò stupito il suo amico.

«Credo che sia vostro», disse Gerard. «L’ho trovato nella cella della prigione quando ve ne siete andati. Avevate tanta fretta», soggiunse sarcasticamente, «che ve lo siete dimenticato».

«Siete sicuro che il bastone sia mio?»

«Se io non ne ero sicuro, Atta sì», rispose Gerard. «Ci dorme accanto ogni notte.»

Nightshade fissava Rhys con gli occhi spalancati.

«Rhys...» disse il kender.

Rhys scrollò il capo, sperando di scacciare le domande che sapeva essere in arrivo.

Nightshade era insistente. «Ma, Rhys, il tuo bastone...»

«… e rimasto in mani sicure per tutto questo tempo», disse Rhys. «Non me ne sarei dovuto preoccupare.»

Nightshade si placò, ma continuò a lanciare occhiate perplesse a Rhys mentre proseguivano il cammino. Rhys non aveva dimenticato il suo bastone. L’emmide era stato con lui quando avevano compiuto quel viaggio inatteso al castello del cavaliere della morte. Il bastone probabilmente aveva salvato loro la vita, subendo una trasformazione miracolosa, mutandosi da consunto bastone di legno in gigantesca mantide religiosa che aveva attaccato il cavaliere della morte. Rhys aveva considerato perduto sul Bastione della Tempesta quel bastone e aveva provato una fitta di rimorso, anche se stava fuggendo per salvarsi la vita, nel doverlo lasciare lì. L’emmide era sacro a Majere, il dio che Rhys aveva abbandonato.

Il dio che a quanto pareva si rifiutava di abbandonare Rhys.

Umiliato, grato e confuso, Rhys rifletté sulla presenza di Majere nella sua vita. Rhys aveva considerato quel bastone sacro un dono di commiato da parte del suo dio, un segno indicante che Majere capiva e perdonava il suo seguace caduto nel peccato. Quando l’emmide si era trasformato nella mantide religiosa per attaccare Krell, Rhys l’aveva considerata l’ultima benedizione del dio. Eppure adesso l’emmide era ritornato. Era stato dato in custodia a Gerard, un ex cavaliere di Solamnia: forse un segno del fatto che di quest’uomo ci si poteva fidare, e anche un segno del fatto che Majere provava ancora un vivo interesse per il suo monaco.

«La via per arrivare a me passa attraverso di te», insegnava Majere. «Conosci te stesso e giungerai a conoscere me.»

Rhys pensava di conoscere se stesso, e poi era arrivato quel giorno terribile in cui il suo disgraziato fratello aveva assassinato i loro genitori e i confratelli dell’ordine di Rhys. Adesso Rhys si rendeva conto di avere conosciuto di sé soltanto il lato che procedeva alla luce del sole lungo la riva del fiume. Non aveva conosciuto il lato di sé che strisciava nel baratro oscuro della sua anima. Non aveva conosciuto quel lato finché questo non si era precipitato fuori a urlare la propria furia e il proprio desiderio di vendetta.

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